ESTETICA E FILOSOFIA IN SOURIAU

Souriau, come si sarà compreso dai frequenti richiami alle sue opere e al suo pensiero, rappresenta, per così dire, l'esthéticien per eccellenza, quasi un momento di sintesi e piena realizzazione dell'intero movimento dell'estetica francese, senza il quale, peraltro, la sua stessa personalità filosofica perderebbe vigore e prestigio teoretico. Vi è infatti, in lui, sia la tradizione razionalista e kantiana della filosofia francese sia un'attenzione non superficiale ai risultati del positivismo sia, infine, uno studio, spesso criticamente implicito, di Bergson e di alcuni testi della fenomenologia: il ritorno ai "fatti", intesi come le "cose stesse", è l'esigenza primaria della sua filosofia, l'esigenza di aprire un campo epistemologico che ponga nella finitezza il punto di partenza per l'estetica, nei fatti formalizzati e indicatori di trascendenza, nell'esperienza del vissuto come totalità esistenziale.

Come più volte egli stesso ricorda, Souriau, prima di essere estetologo, è filosofo poiché, a differenza di tutti i suoi predecessori, è la ricerca di una soluzione per il problema della conoscenza che l'ha condotto a meditare sull'arte, meditazione che, tuttavia, deve venire svincolata dal dominio filosofico per acquisire un suo proprio campo scientifico, per diventare "scienza estetica". Il problema che apre la strada a questa scienza è però indubbiamente il problema classico della filosofia, l'idea di verità; non una verità metafisica e assoluta - il principio Dio o il principio Uomo - ma la verità dell'essere nel suo instaurarsi, una verità che deve venire afferrata con un concreto "sforzo" umano, con un tentativo dell'uomo di cogliere le forme dell'essere - le forme "essenziali" - tondate nell'empirico in quanto dimensione virtuale dell'esistere ontico. E', in questo senso, un ritorno alle fonti, della filosofia e del conoscere: è il problema "del valore ontologico dell'atto di conoscere, quello della partecipazione del pensiero all'essere"[1]. Il pensiero e costruzione, atto tetico, instaurazione di una serie di forme che svelano il senso del mondo, la stessa "instaurazione cosmica".

Al di là, dunque, di ogni antropocentrismo, Souriau considera il pensiero e le sue forme come fenomeni cosmici e assoluti, come un "cominciamento assoluto" che pone la realtà e l'uomo: il pensiero pensante, il Cogito, "e fattore e funzione di una realizzazione cosmica ideale dell'esperienza vissuta prima di divenire fattore e funzione della sua propria strutturazione e di quella delle cose"[2]. L'uomo è così al servizio del pensiero, che a sua volta è al servizio dell'Essere che si manifesta nel dato cosmico, nella forma. Il pensiero è ontologico, il pensiero richiede un compimento cosmico che è il compimento della sua propria verità.

Già da questa prima sommaria esposizione si comprenderà che la filosofia di Souriau è senza dubbio "inattuale" rispetto a numerose correnti filosofiche contemporanee, con le quali peraltro sempre rifiutò sia il dibattito sia la polemica. Tuttavia, se si guarda al di là del linguaggio, formatosi esclusivamente sui "classici" del pensiero filosofico, Souriau affronta, sin dagli anni venti, una problematica che tornerà anni più tardi nella fenomenologia francese, ovvero la costruzione di una conoscenza ontologica di fronte al mondo e alla realtà ontica che la pone. L'impresa di Souriau precede così quella di Merleau-Ponty nel Le visible et l'invisible, dove si tratta di cogliere e ristabilire l'ordine del vissuto e del fenomenico come fondamento per un ordine obiettivo.

Tale ristabilimento dell'intelligibilità del mondo come conoscenza ontologica di un dato ontico [2] è stata da Souriau intrapresa su vari piani, dove l'estetica occupa un posto indubbiamente privilegiato anche se, in ogni caso, è il pensiero a essere protagonista di una dialettica instaurativa in cui il "fare dell'arte si offre al pensiero filosofico come modello di una realizzazione del reale nel e attraverso l'opera"[3]. Il pensiero si rivela qui come "terrestre" le essenze platoniche sono state riportate sulla terra ed è quindi solo nel mondo sensibile che potremo ritrovare le forme, anzi una certa "virtualità formale", che funge quasi da terreno antepredicativo per le forme stesse. Solo il mondo sensibile ha infatti la pienezza dell'essere: "questo mondo di materie più le forme e di forme secondo le materie; questo mondo in cui nulla è in potenza e tutto in atto" [4]e dove il pensiero è il "mediatore plastico" tra le forme e la materia.

Non è quindi l'io che genera esistenzialmente e ontologicamente i pensieri singolari ma sono tali pensieri che generano questo io, io che li abbraccia e che ne accetta sempre di nuovi: il mondo stesso si instaura in una dimensione coscienziale cosmica che precede il cogito e, anzi, lo fonda. La verità prima non è l'autocoscienza ma il pensiero, che, in quanto pensato, è "nunc cogitatur ergo quid est" o, meglio, "patefit ergo quid est", cioè l'evidenza che costituisce originariamente l'esperienza. Riduzione "esistenziale" che Souriau stesso dichiara essere l'esatta antitesi della riduzione fenomenologica[5], riduzione "che ristabilisce il fenomeno nell'autonomia del suo apparire esistenziale, anteriormente alla sua essenzializzazione come fenomeno di qualche cosa o per qualcuno"[6]. Il fenomeno acquista così la sua esistenza specifica rivelando la sua appartenenza all'essere: "è l'essere che manifesta la sua presenza spirituale ed incita il mondo a creargli un modo di esistenza o riflettere questa presenza"[7].

Vi è così un'esistenza "ontica", già data, e un'esistenza "instaurata" che è, in qualche modo, "inventata". Il primo è il livello dell'esistenza pura o di primo grado, l'aseità, per il quale la spiegazione migliore è ancora l'istanza eleatica "l'essere è", livello in cui la datità dell'esserci si presenta in tutta la pienezza del suo essere e in tutta la povertà di un momento non ancora cosmicamente instaurato. Il secondo grado dell'esistenza, l'esistenza "plurimodale" cosmicamente fondata, deve necessariamente riferirsi al primo grado, al mondo dell'esistenza data che, a sua volta, "ha bisogno delle esistenze di secondo grado per realizzarsi in piena esistenza terrestre (per compiere cosmicamente la sua intrinseca verità d'essere)"[8].

In questo processo instaurativo che porta a compimento il senso del mondo si inserisce in primo piano l'opera d'arte nel suo rapporto intrinseco con le operazioni dell'essere e del pensiero. Infatti, come Souriau scrive nell'Avenir de l'esthétique, la meditazione sull'arte è una conseguenza dell'esame del problema della conoscenza, di un discorso di filosofia generale. Le sue "radici" non sono, come sarà per la fenomenologia e come si notava anche in Bayer, nel "sentire" la bellezza di un oggetto ma nel considerarla immediatamente come il risultato di una "fabbricazione", di un'instaurazione di forme secondo criteri che rivelano il carattere noetico dell'arte, senza permettere che una precostituita idea di Bello (come appare, per esempio, in Ravaisson) ne confonda il campo viziando la positività concreta del suo affermarsi come forma. Il Bello infatti, come avevano compreso molti pensatori inseriti nell'area del positivismo, non è una nozione "specificante": "l'impressione del Bello deve qualificare e vivificare tutta l'estetica" ma "non può esserne l'oggetto"[9].

Il "patefit" implica così un movimento anaforico secondo il quale un essere tende sempre al suo più alto grado di esistenza: e la forma è la promozione anaforica, l'atto attraverso il quale il dato riceve un grado superiore di lucidità. Questo processo è chiamato da Souriau, invece che "creazione" o "invenzione", termini "compromessi" con la psicologia o la teologia, "instaurazione", procedimento che mira alla promozione di un'opera o di una forma che esiste con la sua propria realtà distinta e indipendente da quella di colui che l'instaura. L'instaurazione quindi "il movimento attraverso il quale l'uomo, se non crea propriamente parlando, scopre e attualizza certi tipi o morfemi preesistenti, compie ciò che la natura ha abbozzato o schizzato, in breve porta alla sua realizzazione ciò che dappertutto è incoativo"[10]. Dunque, in quanto instaurazione di una presenza, essa non governa solo l'uomo ma anche le cose e le cose che sono attraverso l'uomo, in primo luogo le opere d'arte. Se è vero, infatti, che l'artista sembra sedotto dalla forma in quanto archetipo o modello, è anche vero che la forma si libera all'artista sempre e soltanto come qualcosa di unico, di particolare, di individuale.

Si è già avuto modo di notare in precedenza che il pensiero di Souriau si caratterizza, in primo luogo, nella ferma opposizione teorica all'intuizionismo di Bergson e al soggettivismo "simpatico" di Basch, che rinunciano a una conoscenza razionale del dato a favore del coglimento del divenire delle sue qualità, vietando così la possibilità di "fissare" la datità formale dell'oggetto, che rimane per loro un 'incognita non ben definita, una realtà ineffabile che ricorda tradizioni mistiche e neoplatoniche. Lo scopo dell'estetica in quanto studio dell'instaurazione delle forme artistiche, non è quindi la ricerca dell'essenza assoluta di un Bello ideale né l'intuizione del flusso concreto del tempo come già di per sé estetico, senza ulteriori determinazioni ontiche dei gradi di esistenza in esso supposti: l'estetica deve invece essere una comunicazione reale con una realtà esterna che, a sua volta, comunica il suo essere.

La conoscenza delle opere d'arte è infatti, prima di Merleau Ponty e Dufrenne, già nell'Avenir de l'esthétique del 1929, una "conoscenza", la nascita simultanea dell'oggetto cosmicamente appreso e del soggetto che riflette sulla sua propria esperienza, ovvero dell'opera che viene costruita e del movimento dell'artista verso di essa:

"in questa prospettiva la conoscenza equivale a catturare l'essere con una forma (qui ancora una forma: contenuto metafisico, essenza d'essere, giunta all'essere da una dimensione intellegibile della realtà)"[11].

La forma dovrà così venire instaurata nell'opera non solo dal pensiero puro ma dalle altre forme che qui prende il pensiero, attraverso la mano, l'occhio, l'orecchio, la totalità dei sensi. Come per gran parte dell'estetica francese anche per Souriau l'arte è fare e il fare è atto, quell'atto integrale che è la natura, la natura nei materiali e la natura nell'uomo creatore. Ogni forma d'arte e quindi un processo e insieme il risultato di un processo che ha il suo inizio nel movimento percettivo. L'obiettività della forma è concepita sotto un modo di esistenza virtuale, dell'opera "da fare", che richiede d'essere portata al compimento della presenza: "perché l'opera si possa dire compiuta, basta una specie di analogia sufficiente dei due modi di presenza dell'essere da instaurare"[12].

Il sostegno teorico di questo processo instaurativo sarà, per Souriau, una "scienza estetica" capace di studiare la dialettica anaforica dei processi e delle categorie fondamentali del mondo dell'Arte: la creazione artistica è una promozione di esistenza, un instaurarsi della forma verso il grado di esistenza più "pieno". L'arte è instaurazione, è potenza instauratrice: il valore dell'opera, il sistema assiologico che la qualifica segue dunque e non accompagna l'instaurazione come fondamento. Dire infatti che l'arte è "l'attività instauratrice" significa che in essa sono presenti sia le operazioni pratiche che sboccano nella presenza di una cosa sia lo spirito che anima queste operazioni, una vera e propria "saggezza instauratrice".

L'artista è così all'origine di un "sapere", all'origine del rapporto inscindibile che lega l'arte alla conoscenza: "noi crediamo che il suo atteggiamento davanti alle forme del mondo non sia di gioirne ma al contrario di scrutarle avidamente e attivamente per prenderne conoscenza"[13]. La forma si offre dunque alla conoscenza e la reclama nell'arte, che né è l'organo, anche "nella sfera di quel prolungamento dell'arte che è in qualche modo l'estetica"[14]: l'estetica è conoscenza scientifica di quelle forme, esse stesse conoscitive, che fanno l'arte e che l'arte medesima promuove. Di conseguenza né le forme artistiche né l'estetica quale loro studio scientifico, rigorosa rivelazione della "saggezza instauratrice" all'interno della promozione anaforica, possono avere come correlato la nozione di Bello poiché la bellezza - se deve apparire - è il risultato di una "poieticità artistica, del suo instaurare uno stile e una forma nell'indubitabilità della loro presenza percettiva.

L'unica definizione possibile per l'arte è dunque connessa all'idea di cosa e al lavoro instaurativo che ne consegue: l'arte è l'Essere dove Materia e Forma operano dialetticamente in virtù della mediazione dello Spirito, è l'attività che mira a creare delle cose in quanto forme conoscibili radicate in un Essere, portatrici di una specifica conoscenza cosmologica.

La nozione di forma - che è il centro dell'esame scientifico dell'estetica - nasce dunque in relazione alla "cosa", cosa in cui bisogna riconoscere l'elemento propriamente "formale", ovvero l'insieme delle determinazioni del percepito in quanto tale, l'essenza sensibile che si attualizza nella percezione, e l'elemento "materiale", cioè l'insieme delle necessità che regolano l'attualizzazione del percepito. Se dunque lo scienziato mira a cogliere la "strumentalità" delle forme, l'artista compie, nell'instaurazione, l'esperienza della forma percependo il mondo sensibile nella pienezza della sua attualità, del suo "atto" che costruisce il quid della forma.

Il "lavoro" dell'arte è dunque "suscitato, controllato, finalizzato dalla visione sia immaginativa sia percettiva della cosa determinata che deve uscire da questo lavoro" [15], "cosa in quanto cosa", presenza che unifica in sé il formale e il materiale, punto d'incontro dell'intelletto e della sensibilità. Si compie così quella "riduzione" all'esistenza della cosa che per Souriau, nel volume Les différents modes d'existence, del 1943, è l'opposto radicale della riduzione fenomenologica dove, a suo parere, si perde la specificità esistenziale dell'oggetto. Quando invece l'arte, con la sua "logica", la sua saggezza instaurativa, compresa ed esplicata dall'estetica, deve giustificare l'esistenza di una cosa singolare esteriore che, dal fenomeno-cosa alla cosa-forma mostra la necessità intrinseca alle azioni instaurative del pensiero. L'esistenza "piena", "trionfante" e "ardente" di tale essere singolare è il fine dell'arte in quanto fabbricatrice, fine che non viene raggiunto creando un contesto in cui domina l'una o l'altra fra le categorie estetiche: il sapere dell'arte "è come il fiore o il frutto di una riuscita o di un compimento" e bisogna dunque ben guardarsi dal confondere con una causa ciò che, come la qualità o il bello, è solo un effetto dell'instaurazione artistica, un a posteriori che, malgrado abbia la sua importanza, fa parte di un "ritorno riflessivo" verso l'opera che non è in grado di definirla come forma instaurata.

Non c'e quindi, scrive Souriau, "alcuna necessità razionale di far uscire la realizzazione dell'opera singolare da una concezione prestabilita generale e astratta, da una designazione puramente qualitativa":

"La generazione effettiva dell'opera d'arte non è mai un processo attraverso il quale un ideale si concretizza poco a poco, regolarmente, logicamente in una concezione sempre più dettagliata, sempre più positiva e infine capace di imprimersi nella materia, plastica e sonora"[16].

Ogni opera d'arte porta in sé, nella sua propria quiddità individuale, il suo valore, anche puramente affettivo: e ciò costituisce l'"oggetto-tema" con i vari sentimenti che suscita - oggetto che va differenziato dall'"oggetto-cosa", cui si dirige in primo luogo l'instaurazione della forma e, di conseguenza, la sua logica strutturale, logica complessa che rivela una serie di possibilità instaurative e una natura articolata e stratificata dell'oggetto nel suo relativo "autogenerarsi", nel suo statuto paradossale e rivelatore dell'essere.

L'opera d'arte è un'esistenza "virtuale", forse "inconcepibile" per l'uomo, condizionata comunque dalla cosmicità rivelata dalla sua forma, dall'espressività della forma che si appella sempre di nuovo all'artista e all'osservatore. Vi è una saggezza propria al pensiero costruttivo, "una specie di reciprocità felice fra il pensiero creatore e la virtualità della cosa da instaurare"[17]. La risposta dell'artista alla potenza domandante, che è l'opera da realizzare, a partire dall'abbozzo iniziale sino al momento finale, dà luogo a una serie di "giudizi esistenziali", ovvero a una serie di atti che, nel loro compiersi, rispondono al richiamo dell'opera e, giudicando se stessi, giudicano della forma che stanno instaurando. La prima preoccupazione dell'artista è dunque "nel delimitare, esistenzializzare l'Altro, la cosa da realizzare, pur rispettando l'indipendenza ontica delle sue intrinseche determinazioni d'essere singolare"[18]. La "verità" dell'arte è così il risultato "pieno" di un procedimento instaurativo che si compie nell'indubitabile presenza cosale e percettiva dell'esistenza singolare di un'opera d'arte, opera che richiede tale verità e la pienezza della propria esistenza attraverso la poieticità del fare che attualizza il giudizio dell'artista: "il 'fare dell'artista è un giudizio: la cosa sarà nella sua verità d'essere perché è questa stessa verità d'essere che la chiama per edificarla, per attualizzarla in esistenza singolare"[19]. Tale movimento anaforico si compie nell'opera d'arte realizzata, nella sua evidenza che è insieme definente e definita in rapporto alla copula del giudizio, giudizio che trova la verità dell'opera nel predicato e non nel soggetto ed è quindi, in conformità con i principi generali della sua filosofia, un giudizio ontologico che coglie nell'attività instauratrice la finalità ontica della forma dell'opera d'arte.

La verità che l'opera d'arte raggiunge non è quindi la verità propria alle scienze filosofiche e naturalistiche - una verità che si riferisce al rapporto soggetto/oggetto - ma una verità più profonda, più diretta, una verità che costituisce il cuore stesso dell'Essere e non è quindi mediata o relativa: verità che è resa luminosa dall'idea dell'arte e che la dialettica artistica rende di per sé soddisfacente senza alcun bisogno di richiami o appoggi esterni. L'arte è vera attraverso il lavoro dell'arte, la "cosa" artistica "è vera di una verità intrinseca fatta secondo l'arte, secondo la dialettica provata dell'azione instaurativa"[20], dialettica che permette di porre la cosa esterna nella sua trascendenza come funzione di un fare che è rivelativo dell'essere, dell'oggettività essenziale dell'essere. L'arte de finisce l'oggetto e l'instaura come presenza reale di fronte al pensiero: "l'arte cattura nella sua dialettica instaurativa ciò che sfugge all'architettura kantiana: la sostanzialità del fenomeno, la sua identità essenziale con il noumeno come principio formale"[21].

La creazione artistica ha così compiuto la verità dell'oggetto che instaura, una verità che non è "per" l'uomo ma una verità dell'essere e per l'essere: la "messa in opera" dell'essere, per usare il linguaggio di Heidegger, passando dal virtuale al reale esistente attraverso un processo che è quello del pensiero costruttivo. Ma l'accento non è posto, come accade invece in Heidegger, sul problema generale dell'essere ma su quello particolare della verità singolare dell'opera d'arte, sul suo "essere fatta" come forma concreta. È quindi giusto notare, come suggerisce L. Vitry-Manbrey nel suo volume dedicato a Souriau, che l'estetica è il fondamento dell'epistemologia di Souriau che si forma "nel contesto di questa visione di una conoscenza estetica, come fondamento della conoscenza che partecipa all'essere"[22]. L'estetica, malgrado la sua specificità rispetto alla filosofia, riveste un ruolo importante nell'ambito generale della conoscenza ontologica; e infatti Lalo considerò il risultato più importante dell'opera di Souriau avere realizzato l'alleanza dell'estetica con la filosofia dal momento che "l'ispirazione instauratrice dell'artista è il tipo della rivelazione metafisica delle realtà assolute" e apre quindi alla filosofia "la realtà più profonda dell'ontologia"[23].

L'arte è realizzazione non di un essere indistinto ma dell'essere che diviene ed è opera tecnicamente costruita e concreta: è l'instaurazione nel suo farsi, nel suo divenire forma. Di tale forma l'aspetto più importante, anche se non esaustivo, è l'esistenza "virtuale", rapporto reale fra l'ordine dell'essere e quello della conoscenza. Le forme così compiute realizzano per Souriau uno sforzo cosmologico di architettura "costruendo lo spirituale nel cosmo, invece di lasciare che il cosmo svanisca nel suo intrattenersi con uno spirituale informulabile"[24]. È così evidente, ancora una volta, la polemica antibergsoniana: malgrado la comunanza di uno slancio ontologico produttore, la prospettiva di Souriau mira alla costruzione di un'esistenza formale cosmicamente realizzata mentre Bergson teorizza il suo impressionistico frantumarsi nel tempo durata. È piuttosto Merleau-Ponty, e in seguito Dufrenne, ad avvicinarsi, forse inconsapevolmente, al pensiero di Souriau quando afferma, nei suoi ultimi scritti, che l'Essere è ciò che esige da noi la creazione poiché noi stessi se ne possa avere esperienza. Allo stesso modo "tutto il pensiero di Souriau esprime una volontà di fondarsi empiricamente e, se si sforza di integrare al cosmo la spiritualità latente che ci porta l'evidenza del patefit, questa integrazione deve sempre compiersi attraverso esperienze positive e concrete"[25].

L'instaurazione è così un passaggio dal virtuale al concreto, da un'opera "da fare" a un'opera "fatta": è un "tragitto" dove l'artista non è il demiurgo dominatore e ispirato ma un "lavoratore" che, nel corso del lavoro stesso, risponde alle domande dell'opera nel suo farsi, viene da essa "sfruttato" e ne cerca lo statuto ontologico, sempre fondato nell'esperienza dell'esistenza virtuale. L'atto ontologico e così dipendente dall'attualizzazione formale dell'esperienza anaforica - esperienza estetica che giustifica l'opera nella sua verità organica.

Si può quindi concludere che "l'intellegibilità determinata dal soggetto conoscente non è la ricostruzione ideale soggettiva di un'esistenza ideale obiettiva, ma la costituzione dell'idealità nella percezione": ogni nostra percezione sarà sempre un'apprensione modale dell'essere "cioè un'apprensione regionale e limitata della realtà ontica"[26]. Vi è dunque un'esperienza originaria e indifferenziata - il patefit - che deve essere in qualche modo esplicata attraverso un lungo lavoro instaurativo, che ha il suo modello nell'instaurazione artistica, processo genetico che porta alla conoscenza dell'essere, che, producendo un'opera, manifesta l'essere e lo rende ontologica-mente presente e anche concretamente percepibile. La percezione infatti rivela la "forma", significato reale e concreto (e non quindi platonicamente "ideale" o fenomenologicamente essenzializzato) che esprime gli aspetti sia spirituali sia materiali dell'oggetto. La conoscenza non è per Souriau il tentativo di stabilire un perfetto ordine ideativo, eventualmente fondato sulla sensibilità, ma è un processo che rende via via esplicita la percezione, superficie dell'essere in cui si incontrano l'attività riflessiva della coscienza e l'esperienza cosmica. Così, scrive Vitry-Manbrey, "il mondo della conoscenza e il mondo espresso nel suo aspetto percettivo, un mondo percepito modalmente, cioè in un'esistenza formale reale, ma riferita all'essere"[27].

La percezione estetica costituisce il modello di una genesi che pone un'esistenza cosmicamente realizzata come "predicativa" di una realtà che esiste su un piano che trascende quello della conoscenza. È dunque il predicato e non il soggetto che l'opera d'arte cerca di esprimere, opera che è così, nel suo stesso porsi, un giudizio. In questa rete di rapporti, non estranei alla fenomenologia, fra esperienza e giudizio, l'arte si rivela sempre più come un insieme di atti che tendono a condurre l'essere dal nulla o dal caos iniziale sino all'unicità concreta della sua vera esistenza: atti che, pur riguardando anche l'aspetto esecutivo, traggono la loro natura soprattutto dallo spirito che li anima, "cioè esattamente dalle ragioni di tutti gli atti attraverso i quali si opera tale anafora", "sollevamento progressivo di un essere dal nulla all'esistenza piena"[28]. Ciò differenzia l'arte, fabbricatrice di cose, di esseri particolari che hanno l'esistenza per loro fine, da tutte le altre attività dell'uomo: e tale specificità inizia proprio sul piano del percepito.

La rilevanza centrale attribuita da Souriau alla percezione nella conoscenza delle cose può senz'altro avvicinarlo al contesto del pensiero fenomenologico, favorendo un incontro che, come scrive Dufrenne, "senza dubbio non è stato fortuito"[29]. Rispetto quindi ai possibili agganci ritrovabili in Bayer, legati alla descrizione delle strutture costitutive dell'oggetto, Souriau coglie in misura maggiore alcune esigenze generali della fenomenologia. Il suo pensiero, incentrato intorno alla nozione di essere, non vuole coglierne l'essenza metafisica ma i volti in cui si manifesta, le forme con cui si radica nel reale e nel pensiero empirico, i giudizi cui la sua presenza materiale da luogo. In questo senso la filosofia di Souriau si pone sulla "via mediana" - che è poi quella ricercata da tutta l'estetica francese - fra le tendenze "irrazionalistiche" e "ultrarazionali" della filosofia contemporanea; è un "nuovo organo" che "tenta di preservare il pensiero formale postkantiano da un imprigionamento all'interno di un mondo chiuso, conferendogli la missione di esistere attraverso rapporti reali e positivi con l'ordine dell'ontico - e di esprimere un'apertura sull'essere"[30].

Il pensiero di Souriau è valorizzazione della nostra esistenza attraverso Una realizzazione ontologica del cosmo, in particolare nell'instaurazione di opere d'arte. Tutto quanto esiste nel mondo esteriore -sia cosa o legge - troverà nel pensiero i suoi punti di appoggio:

"attraversando il mondo esteriore alla ricerca delle nature costanti che postulava il ragionamento deduttivo, ci troviamo necessariamente ricondotti al mondo del pensiero; è solo in esso, se ne troviamo, che troveremo dei stabili punti di appoggio"[31].

In questo mondo "formale" la nostra esistenza realizza altre esistenze che ci pongono nuovamente di fronte all'essere: e le realizza lavorando sulla materia, scoprendo in essa i dati cosmologici ché, con la forma percettiva, donano loro l'intimità del significato. Al centro del discorso di Souriau è quindi sempre il "pensato" ma in un senso "cosale", come un organismo semantico con una sua propria forma e struttura, con una realtà "personale" la cui organicità è paragonabile a quella dell'uomo[32].

Sarà ormai chiaro che la filosofia di Souriau non è nata come "estetica" ma in essa si è trasformata grazie alla nozione di "instaurazione". Con ciò egli si è liberato, come Bayer, da qualsiasi "estetica mentale" affermando con chiarezza che l'uomo deve rigettare il soggettivismo contemplativistico per incentrare il proprio interesse sul, l'arte, sulla produzione artistica, sulla poetica nel senso greco del termine[33]. In tutto l'arco della sua opera l'"avvenire dell'estetica" è nella comprensione dei procedimenti costruttivi dell'arte e non, quindi, nella descrizione delle forme e degli aspetti dell'opera. In questo senso l'arte è filosofia e la filosofia arte: entrambe, infatti,

"mirano a portare gli esseri, di cui l'esistenza si legittima da sé, attraverso una specie di dimostrazione evidente di un diritto all'esistenza, che si afferma e conferma per l'estrema realtà dell'essere instaurato secondo una certa dialettica tetica"[34].

La filosofia non può essere divisa in theorein, poiein e prattein, dal momento che c'è azione nella scienza e nell'arte così come ci sono scienza e arte nell'azione, oltre a numerosi rapporti "concreti" fra l'arte e la filosofia: la "simbiosi d'epoca", il valore paradigmatico, il rapporto "speculativo", la considerazione del filosofema come opera d'arte e la stessa vita specifica della filosofia dell'arte. Quest'ultimo punto conferma che "la filosofia non è isolabile, che deve sforzarsi di mobilitare, riunire, esprimere teticamente tutta una situazione del pensiero in un momento in cui sono valide tutte le testimonianze umane"[35]. Dalla filosofia Souriau pretende quindi non solo la ricerca dell'unità interna fra le sue parti ma anche una funzione formatrice e attiva che ne dimostri l'autenticità e il potere di costruire una prospettiva per il futuro dell'uomo: lo slancio instaurativo avvolge la totalità dell'azione umana, quasi come fosse una trama unitaria delle espressioni, sia artistiche sia filosofiche, dell'anafora umana. Come l'arte, e con l'arte, ogni filosofia deve essere instaurativa:

"inizialmente è presa di coscienza del momento presente nella sua totalità umana, con tutte le sue ricchezze, tutte le sue deficienze, le sue aporie, le sue espressioni anche contraddittorie. Ma oltre a ciò essa deve cercare non soltanto l'impatto nuovo, inventivo, che oltre passerà tali aporie: a questo scopo potrebbe bastare l'arte; essa assume una responsabilità che l'arte non ha, quella di una promozione totale realmente anaforica che coordina il momento presente e il momento futuro secondo una gerarchia"[36].

L'arte progredisce in virtù di un continuo arricchimento alla totalità delle opere d'arte che, con linguaggio gnostico, Souriau chiama il Pleroma delle opere; ma la filosofia non può progredire solo aggiungendo nuovi filosofemi al Pleroma. Se così fosse la filosofia non si distinguerebbe in nulla dalle arti mentre essa "esige dalla nuova instaurazione una promozione, un avanzamento dalla totalità del Pleroma secondo un ordine che non è affatto temporale ma al quale il tempo deve poter sottostare perché il progresso sia anche un progresso dell'uomo nella sua esistenza reale"[37]. La funzione anaforica del filosofare tende così alla costruzione di una "grande opera":

"l'ambizione di fare della filosofia l'arte suprema è la chiave della vera efficacia filosofica, perché tutto ciò che può rendere autentico il successo di questa ambizione, non soltanto constata, ma compie il compimento della Grande Opera, al grado di esistenza del Pleroma"[38].

È evidente che tale nozione di arte - di arte "filosofica" - sorpassa il campo delle tradizionali "belle arti"; tuttavia tale ambito; "stretto ed esemplare", è per Souriau una parte non solo importante ma fondamentale di ogni filosofia riflessiva: è infatti l'emblema della promozione anaforica, dell'instaurazione dell'essere. "L'arte - scrive D. Formaggio - diventa dunque l'unica prova sperimentale di quella tecnica o architettura universale che dipende dal principio instaurativo o Arte pura"[39].

Viene così in luce anche la profonda differenza fra le estetiche di Bayer e Souriau, che Feldman accostava sotto la denominazione di "realismo razionalista": là dove il primo tenta di fondare l'estetica come una scienza in grado di definire gli aspetti dell'oggetto estetico in strutture e valori, Souriau tende invece a considerare come un "ostacolo" la nozione di valore, per il suo carattere soggettivo, considerando l'estetica come una "poetica" che conduce la sua instaurazione reale e formale delle opere d'arte sul modello di un'Arte pura filosofica. L'arte è instaurazione di cose, di oggetti, di opere che vivono nella realtà del nostro mondo ma questa attenzione per la sfera della "cosalità", pur sottolineando una comune ispirazione di fondo con l'opera di Bayer, non permette un'identificazione perché è considerata in primo luogo il risultato di un procedimento anaforico. La cosalità della cosa instaurata è garanzia della materialità concreta all'interno della forma strutturata: ma il mediatore di questo rapporto non è uno schema sensibile bensì lo Spirito che informa la materia, il principio generatore dell'Arte pura, del Pleroma. Il lato "aristotelico" di Souriau viene così ben presto assorbito da quello "platonico" o, meglio, neoplatonizzante, per cui il possesso delle forme è "un assoluto e perfetto diletto dell'anima, con la sicurezza di attingere e possedere un Essere"[40].

L'estetica di Souriau è quindi, se la si applica al campo delle belle arti., una "poetica" ispirata e sostenuta dalla instaurazione filosofica; se invece si considera la filosofia come esplicazione dell'Arte pura, è allora tutta quanta questa filosofia a presentarsi come Estetica, in senso metafisico, come definizione dei principi ontologici del movimento instaurativo. Partendo così da Posizioni Opposte e conducendo il suo discorso con differente metodologia (ovvio è infatti il rifiuto dell'intuizionismo bergsoniano), Souriau è in definitiva giunto a conclusioni non in tutto dissimili da quelle di Bergson, fors'anche per il fondo che accomuna tutte le ontologie e per il simile amore nei confronti di alcuni aspetti del platonismo: come Bergson afferma implicitamente nella Perception du changement, è l'intera filosofia a diventare estetica perché il compito del filosofare - che ha sempre un alone etico - è la rivelazione della verità profonda del reale.

In questo contesto, come ben comprese R. Bayer[41], le leggi e le categorie estetiche rischiano di porsi al di fuori dell'arte nella singola specificità delle sue manifestazioni assorbite dalla totalità del principio ontologico. A "salvare" tuttavia Souriau dal misticismo del Pleroma o dal monismo aspecifico di Bergson è proprio la nozione di "forma", che pure rappresenta il "quid" ontologico che anima le opere. Infatti la forma deve essere "instaurata" e ciò può accadere soltanto attraverso un processo di concretizzazione che esige lavoro e strumenti tecnici. Sul Souriau metafisico si innesta dunque il "fenomenologo" delle forme con accenti di descrittivismo Positivista. Sarebbe così un errore dimenticare il contesto in qualche modo "spiritualista" della sua filosofia: ma errore ben più grave sarebbe porre in secondo piano, ridurre alla sola ontologia filosofica, le sue ricerche sull'arte, che si inseriscono invece in modo quasi "naturale" nella tradizione del tardo Positivismo francese, proseguita da Lalo e Bayer.

Il lato "realista" di Souriau non è elemento secondario bensì costitutivo della sua estetica, che non è quindi solo "scienza dell'Arte totale" ma scienza che studia l'instaurazione delle forme artistiche concrete, i loro procedimenti poietici. In questo senso, come scrive G. Morpurgo-Tagliabue Souriau si ispira alla Gestalpsychologie e alle contemporanee filosofie dell'oggetto, a Ehrenfels, Meinong Benussi, Koffka e Koehler: "le leggi dell'instaurazione adottate da Souriau sono dello stesso ordine delle qualità formali di Koffka e delle forme fisiche di Koehler: vi si ritrova la stessa tendenza al rapporto tutto/parte, all'omogeneo, al necessario"[42]. E le forme diventano quindi, grazie anche agli influssi del formalismo francese ed europeo, le opere d'arte nella loro storia, nel loro divenire.

La nozione di opera è, secondo Souriau, al centro della problematica dell'arte sin da quando Aristotele ne affronta il problema nella Metafisica; l'opera non nella sua staticità data ma in quanto collegata, come volevano Alain, Delacroix e Focillon, alla dinamicità dell'azione artistica. Certe "potenze" e strutture risultano così inerenti all'opera: opera che è, in primo luogo, all'inizio della creazione, una potenza che interroga l'uomo, che richiede un compi mento nella sua problematicità che si rinnova anche quando, finalmente conclusa, libera messaggi che gli autori stessi non avevano neppure concepito. "Dal punto di vista della poietica - scrive Souriau - è un fatto molto grande e molto importante che si constata constatando che il potere innovatore e instauratore può essere esercitato dall'opera stessa quando e interamente distaccata dal suo autore e in un modo che, molto spesso, supera e sorpassa le forze proprie di quest'autore"[43]. L'opera possiede infatti una "potenza ontica" che è la sua capacità di esistere intensamente e di esistere come un'esistenza giustificata. L'arte si rivela nell'opera come un dialettica della "promozione anaforica" che deve "condurci verso un'impressione di trascendenza in rapporto a un mondo di esseri di cose che pone col solo mezzo di un gioco che ordina dei quali sensibili sostenuto da un corpo fisico disposto in modo tale da produrre degli effetti"[44].

L'artista può così instaurare un suo proprio "stile": "il suo lavoro, in quanto lavoro dell'arte, è promozione di un sapere che è nel lo stesso tempo e indissolubilmente un poter fare, un potere tecnico: è una tecnica resa adeguata a ciò che l'opera dice"[45]. Discorso "tecnico", "empirico", "fenomenologico" e "positivo", come stato variamente definito, vicino comunque al mondo delle arti, delle forme e degli stili pur non annullando la metafisica intrinseca alla promozione anaforica nella sua tensione ontologica ma anzi affermando, in tale contesto, l'oggettività di un'opera che bisogna comprendere nella molteplicità dei suoi significati[46].

La maggiore parte della produzione saggistica di Souriau risulta dedicata all'estetica e al problema dell'arte, che comunque è presente in tutte le sue opere, dall'Abstraction sentimentale del 1925 alla Couronne d'herbes del 1975, cinquant'anni di ricerche appartate, "inattuali" che, pur portandolo a una grande fama nell'ambiente degli "estetologi", non gli sono valse quel successo "mondano" che in Francia ha arriso, dagli anni trenta sino a oggi, a pensieri spesse volte dubbiosamente vicini ai vari standards delle "industrie culturali". In una ricerca prodigiosamente ricca, e sempre vicina al mondo concreto di tutte le arti, tradizionali o meno, risultano particolarmente importanti per l'estetica due opere separate fra loro da quasi un ventennio, l'Avenir de l'esthétique del 1929 e La correspondance des arts del 1947, opere che peraltro riescono a completarsi in modo vicendevole.

L'avenir de l'esthétique, che ha come sottotitolo "saggio sull'oggetto di una scienza nascente", mostra sin dalle prime pagine che Souriau intende qui parlare di quell'estetica non "assoluta" che vive nella concreta instaurazione delle opere d'arte. Di conseguenza "non lasciare che la filosofia (non più che la storia dell'arte) comprometta l'Estetica è una delle idee dominanti di questo libro: l'avvenire dell'estetica è fra le scienze"[47]. L'estetica potrà così definirsi come "scienza delle forme", in Opposizione anche allo stesso formalismo infatti, per Souriau, le forme dell'opera d'arte "non hanno il significato che rivestono in Focillon, in Wölfflin o anche in Riegl e Dvorak. E gli le vede piuttosto come le 'presenze separate di un'unità, che raggiungono all'improvviso al di là della diversità fenomenica"[48].

Il problema dell'estetica, come già si è notato, è quello del significato cosmologico della creazione. "Creare - scrive Dufrenne commentando Souriau - è per l'artista rispondere all'appello dell'opera, è dunque accrescere la densità ontologica del cosmo"[49]. In questo senso - e in tale contesto filosofico generale - Souriau deduce le prime conseguenze della sua iniziale asserzione specificando che: "1) Di tutte le speculazioni proprie alla filosofia dell'arte, pur interessando molti elementi, i soli che hanno valore scientifico sono quelle che riguardano lo stretto studio positivo della forma. 2) In qualsiasi ordine di problemi scientifici, ogni speculazione relativa alla forma è di natura estetica"[50]. L'estetica sta così all'arte come una scienza teoretica sta alla scienza applicata corrispondente.

Bisogna tuttavia notare che la separazione tra "scienza estetica" e "scienza dell'arte" non giunge mai in Souriau su un effettivo piano teorico, come invece accadeva nella contemporanea Kunstwissenschaft tedesca. Siamo infatti di fronte soltanto a una separazione pragmatica tra le attività dell'artista (il cui compito è costruire delle cose) e dello scienziato "estetologo" che deve invece "conoscere" le forme. Di conseguenza, "l'estetica non canonizza le regole tecniche, non risolve in regole gli stati psichici dell'artista, non cerca le condizioni dello spettatore o del creatore ma cerca il suo posto tra le scienze col ritagliarsi nell'universo il suo dominio diretto"[51]. Tali operazioni, che sono invece tipiche, per esempio, nell'estetica di H. Delacroix, vengono sacrificate alla ricerca delle specifiche conoscenze immanenti dell'attività artistica, delle "forme" nella loro portata cosmologica, nella loro "vita" che rivela l'"architettura" cosmica. L'estetica come scienza non potrà così essere, nel senso di Dessoir, una ricerca di analisi metodologica e normativa sui vari livelli soggettivi e oggettivi della realtà estetica e artistica; e ciò anche se si afferma come un tentativo di cogliere in modo unitario, nel metodo e nella sua finalità gnoseologica, un mondo di "ricerche laboriose" che implicano la necessità "delle nozioni tecniche, di un linguaggio ben fatto, di esperienze esatte, di investigazioni che adattano pazientemente la ricerca al metodo, il metodo alla ricerca"[52].

In queste parole, in cui oggi potrebbe riconoscersi la "poietica" di René Passeron, è evidente che la rigorosità del metodo è imposta dalla materia stessa, ovvero dall'arte che è una forza instaurativa in cui operano forze stratificate ché vanno metodicamente disvelate da una scienza specifica, dall'estetica. Essa avrà quindi come oggetto le arti e i loro materiali e come scopo teoretico il loro studio in "forme concrete" "al di là di ogni preoccupazione di apprezzamento qualitativo e di valore"[53]. Dunque per Souriau le speculazioni scientifiche inerenti al fatto artistico che si occupano in particolare delle connessioni con la psicologia e la sociologia, così come accade in Lalo, hanno validità scientifica solo se conducono "allo stretto studio positivo della forma"[54]. La forma è dunque un quid ontologico che "lontana dall'essere l'attività trascendentale del pensiero" è una "qualità inerente alla cosa", "una particolare quiddità per cui una cosa è quella cosa e non potrebbe essere un'altra"[55].

Lo studio scientifico delle forme, che costituiscono il "sapere" immanente all'arte, è diviso da Souriau in quattro parti - estetica pitagorica, estetica dinamica, estetica skeuologica e psicoestetica - che corrispondono a quattro classi di fatti ben specificabili, che Souriau esamina ed elenca nelle loro modalità "positive" con un'attenzione al loro aspetto fattuale che può ricordare Lalo o Bayer. È tuttavia da queste analisi, secondo la "classica" interpretazione di Feldman, che l'estetica francese acquista la vera consapevolezza della propria autonomia epistemologica riconoscendo nella "forma" una realtà complessa, in connessione a dati percettivo-materiali ma completamente autosufficiente, "cosmo" che si instaura indipendente da ogni giudizio assertorio o valutativo: la "cosalità" dell'arte diviene qui, per la prima volta, "scienza" delle forme che agiscono all'interno dei processi instaurativi. L'efficacia dell'azione dell'artista, scrive infatti Feldman, "non suppone sempre la coscienza della dottrina di cui è verifica e fondamento" anche se "la dottrina si elabora per via di riflessione sull'azione"[56].

Si può così notare che, se anche l'estetica è analisi e descrizione dei processi instaurativi, la sua scientificità si rivela nella ricerca del quid ontologico che ne costituisce la cosalità data e offerta alla percezione, unione di un elemento "formale"

"o, se si preferisce, quidditativo. che è l'insieme delle determinazioni di ciò che è percepito in quanto tale - il to ti en einai - l'essenza sensibile così come si attualizza nella percezione - e di un elemento 'materiale' che consiste nell'insieme delle necessità che regolano il fatto dell'attualizzarsi del percepito"[57].

Al primo posto delle scienza delle forme si pone l'estetica "pitagorica", che tratta delle forme ideali, in un certo senso "matematiche" o "geometriche", operanti nei processi di instaurazione artistica, riferiti in particolare alle loro armonie spaziali. L'estetica "dinamica" studia invece le forme nei loro processi di dispiegamento spazio-temporale, quindi le forme "successive" che si presentano in movimento e, come nella musica, in "lunghezza di tempo". Nel campo delle scienze a queste forme corrispondono i procedimenti della chimica e della fisica. A fianco invece dell'astronomia, della geografia e delle classificazioni naturali si pongono le forme esami nate dall'estetica "skeuologica" che "tratta della forma delle cose, vale a dire di tutto ciò che una forma è in grado di definire nell'universo concreto"[58]. La "psico-estetica", che per Lalo e Delacroix aveva sostanzialmente completato ed esaurito il campo dell'estetica, costituisce qui solo quell'ambito che studia le forme psichiche nella loro varietà tipologica.

Tutte le forme hanno la caratteristica di essere "obiettive", nella misura in cui l'obiettività è un permanere, limite indeformabile che costituisce nel divenire un punto fermo sempre ritrovabile. Ma l'obiettività di queste forme, la cui analisi rigorosa potrebbe a prima vista ricordare la "scienza degli aspetti" di Bayer o addirittura un abbozzo di riduzione eidetica della complessa varietà delle forme artistiche, è essenzialmente nella sua stessa radicalità empirica; la testimonianza dell'unità cosmologica, dell'unità metafisica dell'Essere dove Materia e Forma trovano la loro necessaria mediazione.

Da un lato, quindi, le forme stilizzate rappresentano il pensiero puro della ragione, ma, dall'altro, la loro materialità ne caratterizza la specificità sostanziale, sottolineando che la logica delle forme non è affatto una logica formale, che le forme stesse non sono vuote categorie bensì materialità ordinata e strutturata. Le forme esistono nel mondo sensibile dove, aristotelicamente sempre si pongono in "atto" attraverso l'arte, "attività che mira a creare delle cose in considerazione della loro propria quiddità o forma"[59]: è attività instaurativa che "coglie, filtra, ritiene e pone da lato" gli atti essenziali che strutturano una meditazione indirizzata al contenuto cosmico delle cose. L'idea di attività artistica, a differenza di quanto accade in Bergson ma anche in Brémond e Segond, "non deve essere contaminata dalle idee di contemplazione estetica, di estasi spettacolari, di giudizi soggettivi di gusto, di priorità data al sentimento del bello su quello del vero e così via"[60].

La filosofia e l'arte, nella loro comune essenza di "attività tetica", mirano a porre esseri la cui esistenza si legittima da se stessa, nel loro stesso "essere posti" secondo l'oggettività instaurativa di una dialettica tetica. Siamo quindi tornati all'idea centrale di "instaurazione": instaurazione di un cosmo significante che ha in sé tutto il movimento della realizzazione spirituale.

L'instaurazione filosofica costruisce infatti una cosmologia dove, accanto alla Saggezza e alla Ragione, opera anche una Sur-imagination che rappresenta "il bisogno di andare verso il concreto, verso l'ultimo dettaglio, verso un modo di presenza che attesti particolarmente la sapienza del reale e che in effetti raggiunga il reale"[61]. L'immaginazione, in un ruolo che le è caratteristico nell'ambito del pensiero francese, è la "grande realizzatrice" e una "potenza d'informazione diretta", plasmatrice del reale che sottomette il sogno, la ricchezza del rêve, alla necessità di concretizzarsi, di precisarsi, di rivaleggiare in lucidità con il reale, di diventare esso stesso reale: come in Alain, in Delacroix e, successivamente, in Bachelard, il sogno fantastico non è soltanto un vaneggiamento soggettivo ma un atto costruttivo legato all'oggettività della materia; è, kantiana-mente, un "libero gioco" dell'immaginazione ma un "gioco" che costruisce forme, ovvero le chiavi dell'esistenza, e che mostra la filosofia come "ragione poetica", Arte pura, saggezza instauratrice: nel, "gioco delle forme" l'elemento formale e quello materiale, incontrandosi, costituiscono l'essere nell'attività spirituale dell'Instaurazione, essere che si incarna necessariamente in una Materia, una "realtà esterna" che deve sempre essere formata e che è essenziale per l'attività artistica.

L'instaurazione, pur nel suo indubbio divenire poietico, non può tuttavia dirsi una compiuta teoria della creazione artistica poiché in essa manca un consapevole ripensamento teorico delle possibilità intrinseche all'operare tecnico. La sua concezione, scrive Formaggio, "appare limitata, oscillante tra la più generica riduzione della tecnica a precettistica, pratica di mestiere, o la prospettiva, naturalmente da respingere, di una scienza delle leggi fisiche applicative dell'operare artistico, a puro scopo didattico"[62]. Il "contemplativismo ontologico", il platonico "realismo delle idee" che percorrono il pensiero filosofico di Souriau sembrano quasi impedirgli - nel campo dell'estetica quale meditazione teorica sul compito dell'artista, "esistenziare le forme in una cosa" -, un'adeguata comprensione dei procedimenti tecnici in atto. Tuttavia, "prescindendo dagli sfondi platonizzanti che tendono ad immobilizzare in entità metafisiche le: forme (...), il sistema di Sauriau svela l'implicita coincidenza dell'operare tecnico con l'operare artistico e l'essenzialità della tecnica come unica via di mediazione tra l'infinito possibile ed il reale, determinatissimo presente". E ciò malgrado la ricerca di Souriau non sia stata in grado di passare "dalle forme formate ai processi formanti ed autoformativi" poiché il suo sapere estetico, spesso solo contemplativo nel rivolgersi verso le forme, "non dice assolutamente nulla del fare e del farsi dell'arte"[63].

Il contemplativismo stesso che rischi a di minare alle radici la prospettiva instaurativa è forse anche la causa prima della mancata differenziazione fra oggetto estetico (contemplato, intuito, percepito) e l'opera d'arte storicamente costruita all'inte-rno di un campo dove si intersecano numerosi "saperi" oltre che norme, valori e funzioni ad essi relativi. La forma instaurata appare invece spesso identificarsi nell'ambiguo statuto di un'opera d'arte contemplata come prodotto di un'instaurazione artistica che conduce un essere "dal nulla o dal caos iniziale sino all'esistenza completa, singolare, concreta che si attesta in indubitabile presenza"[64]. E questa presenza formale - il risultato e non il processo genetico - è forse, almeno a livello analitico, il principale interesse dell'estetica di Souriau. Egli infatti sottolinea la cosalità reale e significante dell'opera nella sua presenza hic et nunc ma non dice come l'arte compia, guidi e orienti l'opera stessa mettendo così da lato, sia pure solo implicitamente, il problema della creazione artistica per approfondire la ricchezza cosmologica della forma instaurata.

Il punto di partenza - nell'Avenir de l'esthétique come nella Correspondance des arts - è comunque la "saggezza instauratrice", ovvero "l'acquisizione intuitiva e il possesso, l'uso attivo e concreto di un sapere direttivo, che veda da lontano le conseguenze future e le armonie di un insieme, non escluda né la potenza né l'amore"[65], nei suoi processi di fabbricazione. Su queste basi Souriau vuole scoprire, per la comprensione generale dell'arte, "ciò che è comune a una sinfonia, a una cattedrale, a una statua e a un'anfora; quel che rende paragonabili la pittura o la poesia, l'architettura o la danza"[66]. Non il bello è quindi al centro della scienza estetica ma un principio essenziale, una Forma instaurata in una serie di processi concreti, in una catena di opere d'arte di cui sarà necessario, come già voleva Diderot, determinare differenze e analogie, "una specie di parentela". Estetica comparata sarà così quella disciplina "la base è confrontare fra loro le opere, così come le tecniche, delle differenti arti (come pittura, disegno, scultura, architettura, poesia, danza, musica, ecc.)"[67].

Al centro dell'estetica si pongono quindi gli oggetti, le opere d'arte: ciò che è il risultato concreto dell'instaurazione artistica, quel "dato cosmologico" che possiede un suo proprio universo e che è all'origine dell'universo "vero" dell'Essere. L'opera d'arte - ogni opera d'arte - è un "essere unico" che possiede multiformi modi di esistenza, una pluralità di piani esistenziali che vanno fenomenologicamente indagati per disvelarne il significato profondo e l'intrinseca finalità, diremmo quasi le sue "sintesi estetiche".

Souriau, che sin da giovane aveva conoscenza dei testi di Husserl, e che quindi non ignorava i principi fondamentali delle genesi costitutive della fenomenologia, tenta, pur in un differente contesto storico e teorico, un'analisi "esistenziale" dell'opera d'arte che a volte richiama analoghi tentativi di scuola fenomenologica[68]. Il primo livello sarà costituito dall'esistenza "fisica" dell'oggetto, nella cui corporeità materiale l'opera "comincia a esistere della sua esistenza positiva e veritiera"[69]: e tale fisicità è propriamente, una "regione", la base costitutiva materiale su cui si edifica ogni oggettualità nel suo essere "cosa corporea". È questo il "materiale dell'arte", ciò che le offre la presenza sensibile e un'oggettività "bruta" e indeterminata permeata soltanto da un "gioco" di qualità sensibili che si offrono al creatore o allo spettatore.

Un'opera non è tuttavia costituita solo da tale "gioco di apparenze sensibili" "la cui presenza ha titolo di pure apparenze, di pure qualità sensibili": c'è, per tutte le opere d'arte, uno statuto esistenziale che è quello del fenomeno, e specialmente dell'apparenza ai sensi"[70]. A questo livello l'opera si specifica come costituita non dall'ordine soggettivo delle sensazioni bensì da una serie di qualità sensibili che ne caratterizzano l'esistenza fenomenica nei confronti di quella fisica su cui è fondata. I qualia sensibili si strutturano qui "in un sistema definito e organizzato" [71] o, meglio, è l'arte stessa a organizzare le qualità sensibili e le entità fenomeniche di cui si serve. Se quindi, in riferimento all'esistenza fisica, un colore di un dipinto veniva considerato solo nella sua quantità elementare, nella sua extensio indeterminata, esso diventa nell'esistenza fenomenica una "essenza sensibile", un "atomo qualitativo" che specifica la realtà particolare dell'oggetto. Questo primo livello di organizzazione in sistema delle qualità sensibili, per esempio l'accordo fra colori in un dipinto, non esaurisce tuttavia la realtà complessa dell'opera.

I qualia riescono a organizzarsi solo in un'esistenza "reica", dove l'oggetto è rappresentato con un suo preciso significato: "i fenomeni del colore, della luminosità, dei dispositivi formali - scrive Souriau - evocano una cosa assente, ma di cui mi obbligano a formare un'idea a metà strada fra l'immaginazione pura e la presenza concreta"[72]. Questa "finzione" e "illusione" collettiva è particolarmente evidente nelle arti dette "rappresentative" dove allo spettatore si offre un intero mondo, un mondo "nuovo" che allude a uno spettro di significati rinchiuso in ciò che appare. Per quanto riguarda peraltro le arti non rappresentative, per esempio la musica, anch'esse non possono venire considerate semplicemente un puro gioco di combinazioni qualitative: "noi la sottomettiamo a una serie di interpretazioni più o meno fabulantes, che mettono in gioco delle forme improntate al nostro sistema ordinario di percezione degli oggetti reali" [73] e die ci permettono di inerire sino in fondo al loro significato unitario.

È sul piano dell'esistenza cosale che è possibile, per Souriau, dividere le arti in due grandi gruppi,

"il gruppo delle arti dove l'universo dell'opera pone degli esseri ontologicamente distinti dall'opera stessa; e quello delle arti in cui l'interpretazione cosale dei dati interpreta l'opera senza supporvi un'altra cosa oltre a se stessa - in ogni caso questo piano è solidamente occupato da tutte le arti e fa ugualmente parte del loro svolgersi esistenziale"[74].

Ciò significa che, attraverso l'esistenza reica, si è condotti al coglimento del "sistema delle arti" nella sua completezza, fine cui tende, in ultima analisi, l'intera estetica di Souriau in quanto "scienza". Se infatti, nell'esistenza fenomenica, Souriau aveva cominciato a presentare quelle qualità sensibili che come linea, colore, volume, voce, movimento, luce e suono "giocano" in un oggetto, ora, nell'esistenza cosale, le organizza in una rappresentazione [75] che, kantianamente, diviene il principio di interna divisione del "cosmo" delle arti. Ma prima ancora del "sistema" - su cui si dovrà tornare - il livello cosale mostra anche, come riaffermerà Dufrenne, che la vita di un'opera d'arte non può esaurirsi né nella sua materialità cosale né nell'organizzazione dei suoi aspetti sensibili. Tuttavia non è sufficiente neppure la raggiunta consapevolezza della "semanticità" dell'opera, della sua indubbia "significanza": vi è infatti un ulti che Souriau chiama "trascendente", che è l'orizzonte comunicativo ed espressivo in cui l'opera autonomamente si inserisce, trascendendo, appunto, la sua fisicità e i qualia sensibili che la costituiscono in quanto rappresentazione di un oggetto.

L'opera d'arte occupa, in tutta la sua profondità, la totalità dei quattro piani esistenziali formando un solo essere, un essere unico, reperito, per così dire, a livelli diversi, su dei piani di cui ciascuno ne offre solo un immagine parziale e insufficiente[76], piani che sono fra loro in molteplici, se non innumerevoli, corrispondenze e correlazioni. L'opera d'arte è quindi considerata come una "forma ontologica" dinamica sempre legata ai suoi compiti operativi e agli attivi rapporti con lo spettatore: l'arte si realizza

"nel condurci verso un'impressione di trascendenza in rapporto a un mondo di esseri e di cose che pone con il solo mezzo di un gioco concertato di qualia sensibili, sostenuto da un corpo fisico, prodotto per la produzione di tali effetti"[77].

La definizione dell'arte deriva quindi dall'analisi dello statuto esistenziale delle sue "forme", dalla reale determinazione della loro struttura e dalla loro funzione operativa all'interno della realtà generale dell'opera, essere unico che accanto alla cosalità materiale e "reale" si circonda a ogni momento di un cosmologico affiato metafisico. Ed è proprio questo "affiato metafisico" che non convince R.Bayer: "una tale ontologia della presenza -scrive infatti - ci presenta l'opera d'arte in modo troppo vago e ci dice troppo a suo proposito: non sapremo così, dell'oggetto artistico, niente di preciso, e soprattutto niente di specifico, attraverso questi quattro statuti"[78]. Se quindi per Bayer una definizione generale delle strutture dell'opera sarà necessariamente generica non riuscendo a coglierne gli aspetti costitutivi, i valori intrinseci e le determinazioni categoriali, o comunque rinchiudendoli, attraverso la comparazione, nel vago ambito psicologico delle "similitudini", per Souriau invece i quattro livelli esistenziali sono "i punti cardinali" dell'opera rivelati dall'esperienza artistica stessa, elementi sufficienti "per dare al cosmo dell'opera d'arte una ricchezza strutturale semplificata, stilizzata, organizzata"[79].

Dopo lo "storico" sistema delle arti di Batteaux, ripreso e reso universalmente noto dalla Critica del giudizio di Kant, l'intento sistematico ha avuto in Francia un ruolo non secondario negli studi di estetica anche all'interno del Novecento stesso. Si sono così avuti, per esempio, il tentativo di V. Basch, chiaramente influenzato dal suo soggettivismo, di classificare le arti sulla base dell'immaginazione o, all'opposto, il sistema di Alain, la cui distinzione fra "arti solitarie" e "arti di società" deriva da un attento esame delle "materie" che nelle varie arti sono plasmate da un immaginazione poietica. Questa attenzione per i materiali all'interno del sistema è presente anche in Souriau, che la considera un buon punto di partenza per considerare il rapporto fra l'arte e le arti senza lasciarsi fuorviare da un generico asservimento a principi generali quali il vero, il bello o il bene.

È comunque "sospetto", dopo le rivoluzioni progressive dell'arte contemporanea, e in Francia dopo il surrealismo, il tentativo di rinchiudere le arti (e quindi le opere) in un ontologico circolo sistematico, anche se rinnovato, per finalità e canoni, rispetto ai suoi podromi settecenteschi. Ci si può infatti domandare quale sia l'utilità (o comunque la funzione) per la comprensione teorica della processualità delle arti coglierne alcune proprietà solo in apparenza stabili e definite ma di fatto sempre di nuovo superate non solo dalla storia della disciplina ma dalla stessa storicità significante dell'opera. Oggi, come scrive E. Migliorini, "l'arte si ribella al sistema, s'impossessa del negativo, opera sotto il segno della sottrazione, del rovesciamento, della fuga" e il sistema dunque "con i suoi sottosistemi di poetiche, di tecniche, di consuetudini, pur continuando apparentemente a restare in vita, a mostrare buona salute nelle sue manifestazioni ufficiali, è minato da una corrosione interna, da una nascosta (ma non tanto) contestazione, che lo porta in crisi con tutte le sue belle certezze"[80].

Il sistema di Souriau non sfugge e non può sfuggire a questa critica di fondo. I suoi meriti, che pure esistono, vanno quindi considerati solo in relazione ad altri sistemi, ancor più categorici e totalizzanti. Souriau tende invece a superare la distinzione fra arti maggiori e arti minori, spaziali e temporali (presente, per esempio, nel sistema di Dessoir), figurative o della parola sottolineando invece, in una circolarità che simboleggia il movimento dell'Instaurazione, ovvero dell'Arte, la sola differenza fra arti di primo grado (non rappresentative) e arti di secondo grado (rappresentative). Il sistema appare. quindi come uno strumento "interno" al mondo dell'arte che permette una migliore comprensione delle forme artistiche e delle loro corrispondenze. Perché ciò potesse compiersi, afferma Souriau, sono intervenuti "tutto un insieme di condizioni empiriche, di abitudini, di possibilità agogiche e ritmiche, di necessità o di convenienze sia tecniche sia sociali, in breve, la storia e le condizioni abituali e pratiche dell'attività umana"[81].

Questa serie di faticosi processi ha come scopo ridurre la lista degli elementi impiegati nel sistema alle sole forme pure della linea, del volume, del colore, del chiaroscuro, del movimento, della voce articolata e del suono puro. A partire da questi sette elementi e da; una loro ulteriore divisione si otterrà per Souriau il sistema delle arti, la cui lettura specifica non presenta grandi difficoltà.

Le arti rappresentative (disegno, scultura, pittura, cinema, pantomima, letteratura, poesia, musica descrittiva), ciascuna delle quali è collegata a uno degli elementi formali puri, si fondano sulle arti non rappresentative, rispettivamente arabesco, architettura, pittura pura, giochi di luce, danza, prosodia e musica. Anche se alcune di queste "arti" non sono propriamente tali (per esempio le proiezioni luminose), per Souriau è importante che tutte rinviino comunque ai diversi qualia o principi sensibili, qualia che, come scrive MorpurgoTagliabue, "si incontrano già in parte nei trattati figurativi del Rinascimento (L.B. Alberti, Leonardo, Dolce), in parte anche nella critica formalista moderna (Hanslick, Wölfflin, Berenson)"[82].

Il fatto che il sistema di Souriau ignori le gerarchie e le compartimentazioni delle "arti belle" non significa che costituisca una vera propria "novità", anche se Huisman lo considera una "rivoluzione fondamentale" e Souriau stesso lo definisce "il centro e il cuore d tutto il nostro lavoro"[83]. Si vedrà facilmente, infatti, che si riproducono, malgrado la circolarità, le divisioni di Dessoir fra art spaziali e arti temporali e quelle kantiane fra arti figurative e dell parola. Nuovo è forse soltanto il tentativo di mostrare, attraverso i sistema, "l'espressione concreta di tutto l'insieme organico che forma questo pleroma delle opere d'arte" [84]e, da qui, le loro più profonde corrispondenze, sia "verticali" (fra l'arte pura e la corrispettiva arte non rappresentativa) sia, per così dire, "orizzontali" fra le arti del medesimo grado: esigenze che soddisfano dunque sia il "descrittivismo" positivo (se non positivista, a tratti) di Souriau teso verso le classificazioni, sia la struttura metafisica di base dell sua filosofia, sia la riduzione "fenomenologica" dell'arte a elementi di carattere eidetico, sia, infine, la determinazione, d'ispirazione formalista, a definire l'arte attraverso qualia sensibili che abbiano i caratteri della concretezza e della "visibilità".

Souriau dimostra così che l'ampio campo dell'arte "deborda enormemente le belle arti" mantenendo tuttavia "un medesimo slancio, una medesima azione, una medesima natura, un medesimo spirito"[85]. È una potenza "cosmogonica e ontogonica" che va oltre le regioni della sensibilità e dell'attività cosalmente organizzatrice (cioè percettiva) dell'uomo pur affermandosi come "l'espressione di una messa in ordine della sensibilità percettiva umana, attraversata dalle linee di forza dell'azione instauratrice"[86].

È quindi sulla base della stessa instaurazione, della "comunanza" dello slancio instauratore - un élan i cui frammenti non si dissolvono progressivamente, come nell'esempio bergsoniano dell'Evoluzione creatrice, ma costituiscono positive realtà formali - che Souriau compie analisi comparative fra le singole arti inaugurando un tipo di indagine "sull'oggetto" che avrà grande fortuna nell'estetica francese sino a trasformarsi, e ve ne sono oggi alcuni esempi, in un esame critico delle opere, dove la sospensione di qualsiasi giudizio assiologico è accompagnata anche da una indifferenza per i suoi significati teorico-filosofici e quindi per le regioni materiali in cui si inserisce e per le funzioni intersoggettive che esplica[87].

Il sistema delle arti e il suo diderottiano desiderio di afferrare connessioni e corrispondenze esistono tuttavia, per differenziarli da un analogo comparativismo positivista, solo all'interno di un più ampio sistema cosmologico: ogni opera d'arte pone un universo, un mondo artistico che a sua volta pone apparenze ed esseri. Mondo che vive nella realtà dei dati oggettivi, storici, geografici, culturali, ecc., ma che pure li trascende così come si affranca da un'altra sfera con cui è in diretto contatto, dal mondo formato dalle strutture psichiche, soggettive e interiori, il mondo del rêve, del "libero gioco dell'immaginazione". L'arte non può così venire ridotta, in polemica con molte correnti estetiche contemporanee, né alla storia, né al sogno o all'illusione, né alla sua fondativa struttura sensibile: il mondo dell'arte è essenzialmente autonomo e tale autonomia deriva da un processo di instaurazione "spirituale e cosmico". Non si da infatti instaurazione estetica, scrive Souriau, "senza una deferenza ispirata, inventiva e zelante verso certe norme eterne, universali e perenni di architettonica e d'armonia. di nobiltà, di grandezza e di pienezza significante (...). Non si da accesso all'esistenza sublime, in tutta la sua autenticità, senza una giusta risposta alle questioni che essa pone a ciascuno dei gradi che ci conducono, senza un compimento totale delle sue condizioni, senza una progressione regolata verso questi alti luoghi le cui chiavi sono quelle stesse dell'arte, con tutto ciò che tale termine implica, non solo d'ispirazione e di fervore, ma di rispetto per le leggi alle quali gli dei stessi furono obbligati a subordinare questo cammino efficace verso i luoghi delle loro abitazioni"[88].

Ogni universo posto in essere dall'instaurazione artistica, come affermano i fenomenologi - "ma gli estetologi già lo sapevano", puntualizza Souriau - "e morfologicamente solidale a un testimonio in rapporto al quale si pone e che implica"[89]. Il testimone "essenziale" di fronte al quale si compie l'instaurazione artistica, il gioco di corrispondenze nella ciclica architettura del sistema, non relativizza tutto il processo poiché non è "ne la persona psicologica e concreta dell'autore, né quella di tale o tal altro lettore: e colui che implica in sé e che pone con sé l'universo dell'opera poetica"[90]. Un fine che quindi non può venire ridotto alla psicologia - né oggettiva e scientifica né soggettiva e mistica - ma che soltanto l'estetica può assumere nella pienezza delle sue prospettive scientifiche, dove è preliminare l'esigenza ontologica di "porre un mondo", mondo autosufficiente che ha il suo centro nell'arte, demiurgo che, "malgrado la diversità delle sue creature", opera "secondo qualche grande legge instaurativa, di cui la chiave unica e spirituale è sempre la stessa: uno sforzo per condurre il dato intravisto, abbozzato verso tutto il compimento di cui è suscettibile, verso la sua più intera presenza"[91].

L'essere non viene così rivelato in modo intuitivo e immediato (di qualunque origine sia l'intuizione) nella sua assolutezza ma in quanto "esistente", diversificato nei vari momenti e processi che, al interno dell'arte, manifestano l'anafora esistenziale. La divisione dell'Arte in arti diverse è soltanto la più semplice e la più evidente diversificazione di un'attività che è essenzialmente instauratrice e che mira, dunque, all'individuale, alla singolarità dell'opera, un essere che ha diritto all'esistenza, da promuovere e da compiere in ciò che ha di unico e di particolare. In tale particolarità, nelle "differenze" - così come, in altri livelli, si verificava anche, in Bergson - la frammentazione dell'arte in apparenze sensibili e livelli formali è una comprensione genetica (o una comprensione "in atto", nel possibile che inerisce al suo necessario farsi esistenza) dell'Arte, un ritrovamento della trama metafisica e ontologica dell'azione instaurativa.

Souriau non è quindi un filosofo "ingenuo": sa che l'estetica è in ogni caso "scienza filosofica", sa che l'arte, nel suo processo di instaurazione, non può venire rinchiusa in una definizione, sa che porre i problemi in estetica, come riprenderà in seguito Dufrenne, è la presenza significante ed espressiva dell'oggetto e dell'opera d'arte. Queste consapevolezze teoriche, che in alcuni momenti, in particolare nell'analisi esistenziale dell'opera d'arte, lo portano vicino a certa estetica fenomenologica, al gestaltismo e ad alcuni aspetti del formalismo, ha tuttavia il difetto opposto a quello riscontrato in Bayer. Se là l'indagine specifica, "in miniatura", spesso impediva un chiaro livello di concettualizzazione, qui i grandi esempi descrittivi sono in primo luogo una "prova" (un "essai") di scrittura, che nasconde un fine dove si trascende non solo l'arte ma anche l'estetica come una scienza per mirare all'Arte, alla sfera della metafisica. Certamente, come scrive Souriau, certo "fondo" metafisico "non è meno reale" [92]per il fatto che è metafisico poiché l'instaurarsi. dell'Essere realizza pienamente la funzione formativa e creativa skeuopoietica - dell'arte: ma affermare il carattere cosmologico dell'opera non può soddisfare pienamente se non si è in precedenza determinata la genesi dei suoi diversi piani costitutivi, che non devono esistere nell'"in sé" dell'essere ma nel "per noi" della costituzione intersoggettiva.

La metafisica di Souriau è tuttavia, come nota Feldman, la metafisica di un "razionalista" (in qualche modo, come tutti i filosofi francesi, un "erede" di Cartesio)[93], indirizzata quindi alla comprensione dell'essenza reale delle cose secondo un modello chiaro e: distinto. Se in Cartesio, tuttavia, la verità universale è necessaria delle idee innate era garantita dalla presenza di Dio, essente ed esistente, in Souriau la filosofia raggiunge soltanto, come afferma in un volume del 1955, "l'ombra di Dio" che non può di conseguenza garantire l'ordine finalizzato del reale in un cosmo gerarchicamente organizzato. L'esperienza artistica non diventa mai, come voleva Ravaisson, una creazione assoluta poiché continua ad affermarsi come "promozione dell'essere" "verso un'esistenza intensa, indubitabile, manifesta degli spiriti" [94]che costituisce l'alone metafisico della, presenza delle opere, la loro deferenza "ispirata a norme universali ed eterne d'architettonica e di armonia che li conducono verso una esistenza sublime".

L'olimpo, la cui vista è concessa soltanto a chi è dotato di "senso profetico", è costruito con i capolavori dell'arte che da se stessi giustificano la loro presenza e la pienezza del loro significato, pienezza semantica che fa dell'estetica che la disvela una regione fondamentale, quasi privilegiata, della teoria della conoscenza, della comprensione dell'essere e degli stessi rapporti soggetto/oggetto. Il fine quindi dell'estetica di Souriau, dove l'estetica, come in molte altre correnti contemporanee di varie tendenze, è conoscenza cosmologica, sembra discostarsi dagli scopi "concreti" di Delacroix, Alain, Lalo e dello stesso Bayer; tuttavia, per presentarsi come "scienza", anche in virtù di certe eredità positiviste, l'estetica, pur separandosi da psicologia e sociologia come statuto e metodo, deve essere in grado di compiere un'indagine "sulle cose", sul reale divenire delle forme artistiche. Questo lato per così dire "pragmatico" dell'estetica di Souriau, attento all'autonomia essenziale dell'opera, è comunque senza dubbio quello che ha maggiormente ispirato l'attuale estetica francese da Revault d'Allones a Passeron e Lascault, che prestano attenzione ai processi di instaurazione artistica senza per questo necessariamente risalire al "fondo" metafisico su cui si edifica. Anche questo "fondo", tuttavia, non è privo di "agganci" nell'estetica contemporanea dal momento che, anche a prescindere da rischiosi paralleli con Heidegger, prospettive ontologiche verranno senza dubbio riprese da Dufrenne e inserite a conclusione di una "fenomenologia dell'oggetto", attenta più alla descrizione degli atteggiamenti e delle funzioni del soggetto-spettatore che alle determinazioni normative dell'instaurazione creativa.


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