Agostino, Nel dubbio la certezza della presenza dello spirito

Agostino mostra quante certezze siano insite in quella attività dello spirito, tanto amata dagli scettici accademici, che è il dubitare. Per il filosofo cristiano diventa facile arrivare dal dubbio alla realtà dello spirito, “perché non c’è nulla di piú presente allo spirito dello spirito stesso”.

 

De Trinitate, 10, 10, 14 e 16

 

1      [14] Ma poiché si tratta della natura dello spirito, rimuoviamo dalla nostra considerazione tutte le conoscenze che ci provengono dall’esterno per mezzo dei sensi del corpo e consideriamo con piú diligenza ciò che abbiamo stabilito, cioè che tutti gli spiriti conoscono se stessi con certezza. Gli uomini hanno dubitato se attribuire la facoltà di vivere, ricordare, comprendere, volere, pensare, sapere, giudicare all’aria o al fuoco o al cervello o al sangue o agli atomi o ad un quinto ignoto elemento corporeo al di fuori dei quattro elementi conosciuti, oppure se tutte quelle operazioni le possa compiere la struttura e l’armonia del nostro corpo; chi si è sforzato di ricordare, di sostenere un’opinione, chi un’altra. Di vivere tuttavia, di ricordare, di comprendere, di volere, di pensare, di sapere e giudicare chi potrebbe dubitare? Poiché, anche se dubita, vive; se dubita, ricorda donde provenga il suo dubbio; se dubita, comprende di dubitare; se dubita, vuole arrivare alla certezza; se dubita, pensa; se dubita, sa di non sapere; se dubita, giudica che non deve dare il suo consenso alla leggera. Perciò chiunque dubita di altre cose, non deve dubitare di tutte queste, perché, se non esistessero, non potrebbe dubitare di nessuna cosa.

         [...]

2      [16] [...] Lo spirito si conosce anche quando si cerca, come abbiamo già mostrato. Ora è del tutto illogico affermare che si conosce una cosa di cui si ignora la sostanza. Perciò mentre lo spirito si conosce, conosce la sua sostanza e, se si conosce con certezza, conosce con certezza la sua sostanza. Ora esso si conosce con certezza, come lo provano le cose che abbiamo detto prima. Ma al contrario non ha alcuna certezza di essere aria, fuoco, corpo o qualche cosa di corporeo. Dunque non è nessuna di queste cose, ed il comando di conoscersi si riconduce a questo: che esso sia certo di non essere alcuna delle cose di cui non è certo e che sia certo solo di essere ciò che esso è certo di essere. Cosí esso pensa il fuoco o l’aria e pensa a qualsiasi altra realtà corporea. E a ciò che esso è non potrebbe affatto pensare nella medesima maniera in cui pensa a ciò che esso non è. È mediante rappresentazioni immaginarie che esso pensa tutte queste cose: il fuoco, l’aria, questo e quest’altro corpo, tale parte o coesione ed armonia del corpo; però non si dice, certo, che lo spirito è tutte queste cose insieme, ma una di esse. Ora, se fosse una di queste cose, esso penserebbe questa cosa in modo diverso da tutte le altre, cioè non per mezzo di una rappresentazione immaginaria, come vengono pensate le cose assenti, che sono state in contatto con i sensi del corpo, sia che si tratti di questi oggetti stessi, o di altri dello stesso genere, ma con una presenza interiore reale, non simulata per mezzo dell’immaginazione (perché non c’è nulla di piú presente allo spirito dello spirito stesso), nella maniera in cui pensa di vivere, di ricordare, di comprendere, di volere se stesso. Esso conosce infatti queste cose in sé, non se le rappresenta per mezzo dell’immaginazione come se esso le attingesse al di fuori di sé, con i sensi, alla maniera in cui attinge tutti gli oggetti corporei. Se esso non si assimila falsamente a nessuno di questi corpi, che si rappresenta, al punto di credersi qualcuna di queste cose, ciò che di sé gli resta, questo solo esso è.

 

(Agostino, La Trinità, Città Nuova, Roma, 1973, pagg. 415-417)