Aristotele, La polis ideale

Opera di vasto resplro, la Politica di Aristotele – dal cui libro VII, cap. 4-7, è tratto il passo che segue – cerca di delineare l'immagine dello Stato ideale confrontandola con quella dello Stato reale. Anche nella determinazione delle caratteristiche essenziali che lo Stato ideale deve possedere, Aristotele sembra utilizzare come criterio quello della “medietas”, il giusto mezzo che, nel suo pensiero caratterizza anche la virtù etica. Così facendo Aristotele ci appare come uno degli esponenti più signifcativi e tipici della cultura greca classica, che ha sempre visto nel senso della “misura” il criterio dell'ordine e della bellezza. La misura, infatti, è limite, kósmos, tipica manifestazione della natura in cui rifulge la legge della divinità.

Per questo la polis ideale, quella “secondo natura”, non può che elevare la “medietas” a criterio costitutivo. La traduzione è di R. Laurenti, per Laterza, Bari, 1983.

 

Poiché le cose ora dette servono da proemio all'argomento e abbiamo in antecedenza studiato le altre costituzioni, il punto di partenza per il resto della trattazione è dire in primo luogo quali hanno da essere le condizioni fondamen­tali dello stato che debba essere organizzato secondo i nostri voti.[1] Non è possibile che la costituzione migliore si realizzi senza materiale adeguato: perciò bisogna che, come chi costruisce il suo ideale, presupponiamo molto, anche se niente naturalmente d'impossibile. Intendo con ciò il numero dei cittadini e il territorio. Come gli altri artigiani, quali ad es. il tessitore e l'armatore, devono avere la materia adatta al lavoro (e quanto meglio è preparata, di necessità più perfetto riesce il prodotto dell'arte) così anche l'uomo di stato e il legislatore devono avere la materia propria, convenientemente disposta.

                Rientra nel materiale per la costruzione dello stato in primo luogo la massa degli uomini, quanti devono essere e di quale carattere, e ugualmente rispetto al territorio, quanto dev'essere e di che qualità. I più pensano che lo stato felice conviene sia grande: se questo è vero, ignorano quale stato è grande, qual è piccolo, perché giudicano grande lo suto dal numero elevato degli abitanti, mentre si dovrebbe badare non tanto al numero, quanto, e più, alla capacità. In realtà lo stato ha un compito determinato e, di conseguenza, quello ch'è in grado di assolverlo nel modo più completo, si deve ritenere veramente grande:[2] così si potrebbe chiamare Ippocrate più grande, non come uomo, ma come medico, di uno che lo supera per la grandezza del fisico. Non solo, ma anche se si dovesse giudicare la questione badando alla massa della popolazione, non lo si dovrebbe fare in rapporto alla massa così com'è (perché necessariamente negli stati si trova senz'altro un buon numero di schiavi, di meteci, di forestieri) ma a quanti sono parte dello stato e dei quali lo stato si compone come di vere e proprie parti: un numero consistente di costoro è indice della grandezza d'uno stato, mentre lo stato che produce in gran numero operai meccanici e pochi opliti è impossibile sia grande: in effetti, non è la stessa cosa stato grande e stato popoloso.

                Del resto, anche dall'esperienza si prova chiaramente che è difficile, e forse impossibile, che abbia buon ordinamento lo stato troppo popoloso: in realtà di tutti gli stati che hanno fama di essere governati bene, non ne vediamo nessuno che si mostri indifferente di fronte al problema della popolazione. E questo è provato anche da un ragionamento convincente. La legge è ordine e, di necessi­tà, la buona legge è buon ordine: ora un numero troppo smisurato non può avere ordine -- ciò senza dubbio è opera di potenza divina, la stessa che tiene insieme questo universo. E poiché la bellezza di solito risulta di numero e di grandezza, per questo è necessario che sia bellissimo lo stato che ha, insieme alla grandezza, il detto limite.[3] Ma c'è senza dubbio una misura di grandezza anche per lo stato, come per ogni altra cosa, animali, piante, strumenti: ognuno di questi, se troppo piccolo o troppo eccedente in grandezza, non conserverà la propria capacità, ma talvolta rimarrà assolutamente privo della propria natura, talvolta si troverà in cattive condizioni: ad es. un'imbarcazione di una spanna non sarà affatto imbarcazione, e neppure una di due stadi, ché, raggiunta una determinata dimensione, talvolta per la piccolezza, talvolta per la dismisura, pre­giudicherà la navigazione. Ugualmente uno stato, quando ha troppo pochi abitanti, non è autosufficiente (e lo stato è qualcosa di autosufficiente), quando ne ha troppi, sarà autosufficiente nelle esigenze indispensabili, come una nazione, ma non sarà uno stato, perché non è facile che abbia una costituzione: chi sarà infatti, lo stratego di una massa di gente troppo smisurata? o chi l'araldo se non ha la voce di Stentore?[4] Quindi condizione indispensabile per l'esistenza dcllo stato è che abbia un numero tale di abitanti che sia il minimo indispensabile in vista dell'autosufficienza per un'esistenza agiata in conformità alle esigenze d'una comunità civile. E possibile, certo, che uno stato superiore a questo per massa di abitanti sia più grande, ma tale possibilità d'incremento, come s'è già detto, non è illimitata: quale poi sia il limite dell'incremento, si vede facilmente dall'esame dei fatti. Le attività dello stato sono talune di chi comanda, altre di chi è comandato: è funzione di chi comanda impartire ordini e giudicare i processi: ma per decidere questioni di giustizia e per distribuire le cariche secondo il merito, è necessario che i cittadini si conoscano a vicenda nelle loro qualità, poiché, ove ciò non si avvera, di necessità le faccende riguardanti le cariche e le sentenze giudiziarie vanno male, e né nell'una né nell'altra è giusto affidarsi all'improvvisazione, come invece apertamente si pratica dove c'è troppa popolazione.[5] Inoltre stranieri e meteci potranno più facilmente partecipare ai diritti della cittadinanza giacché, dato l'eccessivo numero della popolazione, non è difficile passare inosservati. E chiaro, quindi, che il limite migliore della popolazione d'uno stato è il seguente: deve avere l'incremento massimo al fine di vivere una vita autosuf­ficiente e deve essere facilmente abbracciata in un unico sguardo. Siano, dunque, queste le precisazioni per quanto riguarda la grandezza dello stato.

                In maniera più o meno simile stanno le cose a proposito del territorio. Riguardo alla qualità, è ovvio che chiunque loderebbe il più autosufficiente (e tale di necessità è quello che porta ogni prodotto: infatti autosufficiente significa posseder tutto e di niente aver bisogno): riguardo alla estensione e alla grandezza dovrebbe essere tale che gli abitanti possano viverci in ozio in maniera degna di uomini liberi e insieme sobri. Se questo limite lo poniamo a ragione o non a ragione, s'ha da esaminare con maggior attenzione più avanti quando ci tocche­rà di far menzione in generale della proprietà e cioè della quantità della ricchez­za, come e in qual modo devono stare in rapporto all'uso che se ne fa: a propo­sito di questa indagine ci sono molte discussioni, a causa di quelli che trascinano la vita nell'uno o nell'altro estremo, gli uni verso la spilorceria, gli altri verso il lusso. La configurazione del territorio non è difficile indicarla (in taluni punti bisogna lasciarsi guidare anche da chi è competente nella strategia): dev'essere, cioè, di difficile accesso per i nemici, di facile sortita per gli abitanti. Inoltre come riguardo alla quantità della popolazione dicemmo che dovev'essere abbracciata con un unico sguardo, così pure riguardo al territorio: poterlo facilmente ab­bracciare con uno sguardo vuol dire poterlo facilmente difendere. Quanto alla posizione della città, se bisogna costruirla secondo l'ideale, conviene opportuna­mente collocarla avuto riguardo del mare e della terra. E questo uno dei requisiti (essa deve essere in contatto con tutti i luoghi del territorio per difenderli); l'al­tro è che presenti vie facili per il trasporto dei prodotti agricoli e in più della legna dei boschi e di altro eventuale materiale da lavoro ch'essa possieda e si trasporti agevolmente.[6]

                Riguardo alla vicinanza al mare, se è utile agli stati ben governati o dannosa, è una questione molto dibattuta. Dicono che la presenza di stranieri cresciuti sotto leggi diverse sia nociva al buon ordine e così pure la molta popolazione, conseguenza del fatto che un gran numero di mercanti si serve del mare per esportare e per importare; perciò si oppone al buon governo. Comunque, se tali inconvenienti non capitano, è meglio che la città e il territorio abbiano accesso al mare e per la sicurezza e per la disponibilità dei prodotti necessari, non c'è dub­bio. Infatti, per sostenere più facilmente l'assalto dei nemici chi intende salvarsi deve avere l'aiuto a portata di mano da entrambe le parti, e per terra e per mare: e poi la rappresaglia contro gli invasori, se non sarà possibile su entrambi i fronti, si svolgerà in prevalenza per lo meno su uno, quando si possiedano entrambi. Inoltre importare i prodotti che non si trovano nel luogo ed esportare quelli di cui si ha abbondanza sono tra le cose indispensabili perché, certo, lo stato deve esercitare il commercio per il suo proprio interesse e non per interesse di altri. Quelli che aprono il loro mercato a tutti lo fanno in vista del guadagno: ma lo stato che non deve partecipare a tale forma di arricchimento, non deve neppure possedere un tale emporio. E poiché anche adesso vediamo che molte terre e città hanno ancoraggi e porti convenientemente situati presso il centro cittadino, in modo che non ne occupano lo stesso territorio e non ne distano troppo, ma sono controllati con mura e simili altre fortificazioni, è chiaro che se, per caso, un vantaggio deriva dalla comunicazione tra città e porto, questo vantaggio toccherà alla città, se, invece, c'è un danno, sarà facile evitarlo determinando per legge e stabilendo tra chi devono esserci e tra chi no reciproci rapporti.

                Quanto alle forze navali, la cosa migliore è averle di una certa consistenza, non c'è dubbio (perché non bisogna solo intimidire i propri cittadini ma anche qualcuno dei vicini, ed essere in grado di portare aiuto come per terra così per mare): quanto poi alla consistenza e al numero di tali forze, bisogna tener d'occhio la forma di vita della città, perché se essa condurrà la vita della città egemone e centro di relazioni è necessario che anche tali forze siano commisurate alle sue attività. D'altra parte non è necessario che gli stati siano molto popolati per fornire le ciurme alle navi: costoro non devono essere parte dello stato. I reparti imbarcati, invece, sono uomini liberi, fanno parte della fanteria: sono essi ad avere il comando e il controllo della navigazione. Quando poi c'è un buon numero di perieci[7] e di lavoratori della terra, di necessità c'è abbondanza anche di marinai. Questo stato di cose lo vediamo anche adesso in taluni luoghi, per es. nello stato degli Eracleoti: essi, infatti, allestiscono molte triremi pur avendo uno stato di grandezza ben più modesta degli altri.

                Dunque, a proposito del territorio dello stato, dei porti, delle città, del mare e delle forze navali siano queste le nostre precisazioni.

                Quanto alla massa dei cittadini, quale debba esserne il limite, l'abbiamo detto pnma: quale conviene che sia il loro carattere, lo diciamo adesso.[8] Più o meno lo si potrebbe intender bene, gettando uno sguardo agli stati più famosi degli Elleni e alla terra tutta abitata, com'essa risulta distinta tra i diversi popoli. I popoli

che abitano nelle regioni fredde e quelli d'Europa sono pieni di coraggio ma difettano un po' d'intelligenza e di capacità nelle arti, per cui vivono sì liberi, ma non hanno organismi politici e non sono in grado di dominare i loro vicini: i popoli d'Asia al contrario hanno natura intelligente e capacità nelle arti, ma sono privi di coraggio per cui vivono continuamente soggetti e in servitù: la stirpe degli Elleni, a sua volta, come geograficamente occupa la posizione centrale, così partecipa del carattere di entrambi, perché, in realtà, ha coraggio e intelligenza, quindi vive continuamente libera, ha le migliori istituzioni politiche e la possibilità di dominare tutti, qualora raggiunga l'unità costituzionale. Allo stesso modo differiscono anche i popoli greci gli uni dagli altri: il carattere di questi presenta una sola qualità, di quelli, invece, una buona mistione di tutt'e due. E chiaro dunque che deve avere intelligenza e cuore chi intende essere ben guidato dal legislatore alla virtù. Dicono taluni che i guardiani devono essere affezionati a chi conoscono, duri con chi non conoscono: ora è proprio il cuore a produrre l'affezione, perché è esso la facoltà dell'anima per cui amiamo. Ed eccone il segno: contro familiari e amici il cuore si eccita più che contro gli sconosciuti quando suppone d'essere stato disprezzato. Perciò anche Archiloco, lagnandosi degli amici, apostrofa giustamente il suo cuore:

Ché dagli amici tu sei torturato

E il desiderio di dominio e di libertà deriva in tutti da questa facoltà, perché il cuore è elemento dominatore e invincibile. Ma non sta bene dire che devono essere aspri con chi non conoscono: con nessuno bisogna essere tali né del resto gli uomini magnanimi sono duri per natura, se non coi delinquenti. E vanno soggetti a questo impulso molto più contro i familiari, come s'è detto pnma, se ritengono d'aver ricevuto un torto. Ed è ragionevole che sia così: infatti essi pensano che, oltre l'affronto subìto, sono privati della riconoscenza da parte di persone che, invece, a loro avviso, gliene dovevano. Perciò si dice “aspre le guerre tra fratelli” e “chi oltre misura ha amato, oltre misura anche odia”. Dunque, riguardo ai cittadini, quanti devono essere e di quale carattere, e al territorio, quanto e quale dev'essere, sono queste le nostre precisazioni approssimativamen­te (in realtà non si deve cercare la stessa esattezza in una discussione teorica e nel campo dei fatti che cadono sotto i sensi).

 

 



[1]Ecco l'obiettivo Aristotelico: precisare gli elementi essenziali che debbono essere presenti perché su di essi possa venire edificato lo Stato ideale,

[2]Aristotele fa notare come sia discutibile parlare di Stato "grande": quando uno Stato è "grande"?

Lo Stagirita rifiuta di dare al termine una scansione quantitativa, e ne propone una teleologica: uno Stato può essere detto "grande" quando è in grado di raggiungere gli obiettivi in vista dei quali è stato posto in essere,

[3]Sembra tornare qui il consueto pregiudizio greco circa il rapporto infinito/finito, Uno Stato molto popoloso ha praticamente un numero illimitato (non numerabile) di abitanti, e ciò significa che manca di perfezione, perché la perfezione, secondo i Greci, è "misura" e dunque "limite",

[4]Stentore era un personaggio dell'Iliade, noto per la capacità di gridare con la forza di cinquanta uomini,

[5]Si comprende ora una delle ragioni profonde per cui Aristotele ritiene migliore uno Stato non troppo popoloso; la sua proposta istituzionale assomiglia da vicino a quella che oggi chiameremmo "democrazia diretta", dove le cariche sono attribuite ai cittadini secondo il merito e tutti debbono conoscersi per poter scegliere consapevolmente le persone a cui affidare determinati poteri e funzioni,

[6]È degna di nota l'attenzione che Aristotele dedica ad alcune fra quelle che oggi chiameremmo "infrastrutture" (trasporti, strade, collocazione geografica), nonché all'aspetto strategico ed economico,

[7]I perieci (letteralmente "abitanti della terra circostante"), erano uomini liberi ma esclusi dalle cariche pubbliche,

[8]Curiosamente, ma non troppo, Aristotele finirà col sostenere che i cittadini ideali sono quelli che presentano caratteristiche culturali e caratteriali intermedie tra i popoli del nord e quelli dell'Asia: cioè, in una parola, gli Elleni!