Aristotele, La politica come fatto naturale (politica)

Aristotele, che considera l’uomo naturalmente socievole, vede nella dimensione socio-politica il campo in cui si realizzano la giustizia e la morale. Per questo lo Stato viene prima dell’individuo. L’opinione di Aristotele è che colui che non vive in società o è autosufficiente come un dio o è selvaggio come un animale.

 

Politica, 1252b 28- 1253a 29

 

         [1252b] [...] La comunità che risulta di piú villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per cosí dire, il limite dell’autosufficienza completa: formato bensí per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Quindi ogni stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il fine: per esempio quel che ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia d’un uomo, d’un cavallo, d’una casa. [1253a] Inoltre, ciò per cui una cosa esiste, il fine, è il meglio e l’autosufficienza è il fine e il meglio. Da queste considerazioni è evidente che lo stato è un prodotto naturale e che l’uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori della comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o è superiore all’uomo, proprio come quello biasimato da Omero “privo di fratria, di leggi, di focolare”: tale è per natura costui e, insieme anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi. È chiaro quindi per quale ragione l’uomo è un essere socievole molto piú di ogni ape e di ogni capo d’armento. Perché la natura, come diciamo, non fa niente senza scopo e l’uomo, solo tra gli animali, ha la parola: la voce indica quel che è doloroso e gioioso e pertanto l’hanno anche gli altri animali (e, in effetti, fin qui giunge la loro natura, di avere la sensazione di quanto è doloroso e gioioso, e di indicarselo a vicenda), ma la parola è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l’ingiusto: questo è, infatti, proprio dell’uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori: il possesso comune di questi costituisce la famiglia e lo stato. E per natura lo stato è anteriore alla famiglia e a ciascuno di noi perché il tutto dev’essere necessariamente anteriore alla parte: infatti, soppresso il tutto non ci sarà piú né piede né mano se non per analogia verbale, come se si dicesse una mano di pietra (tale sarà senz’altro una volta distrutta): ora, tutte le cose sono definite dalla loro funzione e capacità, sicché, quando non sono piú tali, non si deve dire che sono le stesse, bensí che hanno il medesimo nome. È evidente dunque e che lo stato esiste per natura e che è anteriore a ciascun individuo: difatti, se non è autosufficiente, ogni individuo separato sarà nella stessa condizione delle altre parti rispetto al tutto, e quindi chi non è in grado di entrare nella comunità o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte dello stato, e di conseguenza è o bestia o dio.

(Aristotele, Opere, Laterza, Bari, 1973, vol. IX, pagg. 6-7)