Aristotele, Le virtú dianoetiche (etica nicomachea)

Aristotele distingue fra le virtú legate al carattere (etiche) e quelle legate al pensiero (dianoetiche). Importante la riaffermazione delle due componenti fondamentali dell’anima umana, quella razionale e quella irrazionale. Il termine “calcolatrice” indica la capacità di comprendere il contingente, il transeunte. Il compito specifico dell’anima umana è la ricerca della verità. Nell’etica l’anima determina il fine, mentre le sensazioni e il desiderio elaborano i mezzi, che devono essere in armonia con il fine. Solo cosí la proaíresis  (“scelta”) sarà eticamente buona.

 

Eth. nic., 1139a  1-1139b 13

 

1      [1139a] Quando abbiamo distinto le virtú dell’anima, abbiamo detto che alcune sono del carattere, altre del pensiero. Di quelle del carattere abbiamo trattato; delle altre, dopo aver parlato per prima cosa dell’anima, diciamo in questo modo.

2      Prima dunque si disse che vi sono due parti dell’anima, quella razionale e quella irrazionale. Ora per l’anima razionale dobbiamo compiere la medesima divisione. E si ponga che due sono le parti razionali, una con la quale conosciamo quel genere di enti i cui princípi non possono essere diversamente da quelli che sono, l’altra con cui conosciamo gli enti che lo possono. Infatti, in relazione ad oggetti che differiscono per il genere, è diversa per il genere anche quella delle parti dell’anima che è naturalmente relativa all’uno o all’altro di quegli oggetti, se è per una certa somiglianza ed affinità che ad esse appartiene la conoscenza.

3      Chiamiamo una di queste parti “scientifica”, l’altra “calcolatrice”; infatti calcolare e deliberare sono la stessa cosa, e nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente da quelle che sono. Di conseguenza quella calcolatrice è soltanto una parte della parte razionale.

4      Dunque si deve comprendere qual è la disposizione migliore di ciascuna della due parti: questa infatti è la virtú di ciascuna, e la virtú di una cosa è relativa all’opera che le è propria.

5      Tre sono nell’anima i fattori che determinano l’azione e la verità: la sensazione, l’intelletto ed il desiderio. Di questi la sensazione non è principio di nessun’azione morale; è evidente: per il fatto che le bestie hanno sí sensazione, ma non partecipano dell’azione morale.

6      Quello che nel pensiero sono affermazione e negazione, nel desiderio sono ricerca e repulsione. Di conseguenza, poiché la virtú è una disposizione che dirige la scelta, e la scelta è un desiderio deliberato, per questo bisogna che il calcolo sia vero e il desiderio retto, se la scelta è buona, e che ci sia identità tra quello che il calcolo enuncia e il desiderio persegue.

7      Dunque questo pensiero e questa verità sono di ordine pratico. Del pensiero teoretico, che non è né pratico né poietico, il buono e il cattivo stato sono il vero e il falso (questo infatti è il compito di tutta la parte razionale); ma il buono stato della parte pratica e razionale è la verità corrispondente alla rettitudine del desiderio.

8      Il principio dell’azione morale è dunque la scelta – principio nel senso di causa efficiente non di causa finale –, ed i princípi della scelta sono il desiderio e il calcolo indirizzato a un fine. Per questo la scelta non è né senza intelletto e pensiero, né senza una disposizione morale. Infatti la condotta buona ed il suo contrario nella prassi non esistono senza pensiero e senza carattere.

9      Ma il pensiero di per sé non muove nulla, bensí il pensiero indirizzato a un fine, vale a dire pratico. [1139b] Questo comanda anche sull’attività poietica; infatti chiunque produce, produce in vista di un fine, e ciò che è oggetto di produzione non è fine in senso assoluto (ma fine relativo e di qualcosa di determinato), bensí lo è ciò che è oggetto dell’azione morale. Infatti la buona condotta è fine in senso assoluto e il desiderio ha questo fine per oggetto.

10    Per questo la scelta è o un intelletto desiderante o un desiderio ragionante; e un tale principio è l’uomo.

11    Nulla poi di ciò che è passato è oggetto di scelta: ad esempio nessuno sceglie d’aver saccheggiato Troia. Sul passato infatti neppure si delibera, ma su ciò che sarà e che è possibile, e il passato non può non essere stato. Perciò dice giustamente Agatone:

 

                                                                              “di una sola cosa anche Dio stesso è privato,

                                                                              fare che ciò che è stato fatto non possa esistere”;

 

12    In conclusione, la funzione di ambedue le parti razionali è la verità; pertanto le disposizioni secondo cui ciascuna di esse coglierà il vero al massimo grado saranno, per l’una e per l’altra parte, le loro virtú.

 

(Aristotele, Etica Nicomachea, Bur, Milano, 1986,  vol. II, pagg. 587-591)