Aron, Sul concetto di rivoluzione

Raymond Aron (1905-1983), sociologo e politologo di fama internazionale, nell’opera L’oppio degli intellettuali (1955, il titolo riprende, modificata, una frase di Marx) sottolinea le responsabilità degli intellettuali nella società contemporanea, riprendendo e adattando alla mutata situazione del dopoguerra la polemica di Benda.

In questa lettura egli si sente di affermare che il concetto di rivoluzione “non cadrà mai in disuso”, ma osserva preoccupato il persistere del fascino della violenza attraverso il mito della rivoluzione.

 

R. Aron, L’oppio degli intellettuali [1955]

 

Il concetto di rivoluzione, il concetto di sinistra, non cadrà mai in disuso. È l’espressione di una nostalgia che durerà quanto l’imperfezione intrinseca nella società umana e il desiderio degli uomini di riformarla.

Non che il desiderio di miglioramento sociale conduca sempre logicamente allo spirito rivoluzionario. È necessaria anche una certa dose d’ottimismo e d’impazienza. I rivoluzionari sono riconoscibili per il loro odio contro il mondo e per la loro mentalità catastrofica; piú spesso ancora peccano di ottimismo. Tutti i regimi sono condannabili, se vengono paragonati a un ideale astratto d’eguaglianza o di libertà. Soltanto la rivoluzione, in quanto avventura, o un regime rivoluzionario, poiché fa uso permanente della violenza, sembrano capaci di conseguire il fine ultimo. Il mito della rivoluzione serve di rifugio al pensiero utopistico, diventa il misterioso e imprevedibile mediatore tra reale e ideale.

La violenza, piú che destare ripugnanza, attrae e affascina. Il laburismo, la “società scandinava senza classi” non hanno mai destato nella sinistra europea, e francese in particolare, gli stessi entusiasmi suscitati dalla rivoluzione russa, nonostante la guerra civile, gli orrori della collettivizzazione e della grande purga. Bisogna dire: nonostante, o: proprio per questo? Le cose a volte procedono come se il costo della rivoluzione fosse segnato a credito anziché a debito dell’impresa.

Nessun uomo è tanto irrazionale da preferire la guerra alla pace. Questa osservazione di Erodoto andrebbe adattata alle guerre civili. Il romanticismo della guerra civile séguita a vivere nonostante le segrete della Lubianka. Certe volte viene da chiedersi se il mito della Rivoluzione non giunga a identificarsi, in fondo, con il culto fascista della violenza. Nel finale del dramma di Sartre Le Diable et le bon Dieu, Goetz esclama: “Ecco, il regno dell’uomo comincia. Bell’inizio. Suvvia, Nasty, farò da boia e da carnefice... C’è una guerra da fare, e la farò”.

Il regno dell’uomo è dunque quello della guerra?

 

R. Aron, L’oppio degli intellettuali, Editoriale Nuova, Milano, 1978, pagg. 70-71