Barth, Agápe ed éros

Barth propone delle strade di avvicinamento tra la realtà religiosa dell’uomo e la rivelazione di Dio. Confrontando i due amori, quello umano e pagano, éros, e quello divino e cristiano, agápe, il teologo annuncia una parola di riconciliazione da parte di Dio, che si prende cura anche dell’uomo che vive nella dimensione dell’éros.

 

K. Barth, Dogmatica ecclesiale

 

A ciò che rende impossibile il confronto di agape e eros bisogna aggiungere anche il fatto che l’agape, che viene da Dio, supera l’eros, che viene dalla negazione dell’uomo, non soltanto in dignità, ma anche in potenza. L’eros non può che passare, perire, cessare, assieme a tutto il mondo che su di esso è costruito e da esso è dominato, ispirato e qualificato; l’amore invece, l’agape, non verrà mai meno (I Cor. 13, 8): assieme a ciò che da essa scaturisce (come essa scaturisce da Dio) l’agape rimane in eterno nel mondo che passa.

Per questa ragione, riguardando al cammino fatto nello sviluppare il problema dell’amore cristiano e della sua antitesi con l’eros, è ora lecito e doveroso concludere con una parola di riconciliazione. Non con un compromesso o con un indebolimento dell’antitesi, ma con una parola di riconciliazione: non rispetto all’eros, ma rispetto all’uomo che, sottraendosi e opponendosi a Dio e al prossimo, nega la propria umanità. L’agape non può trasformarsi in eros e l’eros non può trasformarsi in agape. Non si possono nemmeno confondere l’uno con l’altro. Ma, se questo è impossibile, ancora piú impossibile è che Dio si trasformi in un Dio diverso o lo si possa confondere con un Dio diverso, che non sarebbe piú il Dio dell’uomo – anche dell’uomo il cui amore è eros. Ancora piú impossibile è che quest’uomo cessi di essere uomo, cioè di essere la creatura che Dio ha scelto, ha voluto, ha strutturato, ancora piú impossibile è che l’uomo nonostante la sua negazione cessi di essere nelle mani di Dio. Ma se anche l’uomo dell’eros è nelle mani di Dio, ciò significa che l’amore cristiano, che viene da Dio, deve dire e dice di “sí” anche a lui: non al suo amore, che è eros, ma a lui, che è l’uomo di Dio e rimane tale anche nell’eros, anche a lui deve essere detto il “sí” della riconciliazione, deve essere proclamato il fatto che Dio lo ha amato, lo ama e lo amerà. Come potrebbe l’amore di chi dimenticasse tutto ciò e rifiutasse all’uomo dell’eros questo sí, questa proclamazione – come potrebbe questo amore essere ancora cristiano? Se il cristiano, che ama sempre anche nel senso dell’eros, volesse rifiutare questo “sí” al pagano, il cui amore, a differenza del suo, è soltanto eros, pronuncerebbe davvero un terribile giudizio su se stesso! Proprio di fronte all’uomo dell’eros, l’amore cristiano (cioè l’amore che viene da Dio e dunque è dedizione a Dio e all’altro uomo) non può che coincidere con questo “sí”, non può che affermare che anche l’uomo, il cui amore è eros, è nelle mani di Dio (e precisamente come uno che è amato da Dio) – non può che annunciare che Dio – nel suo amore vero e autentico, che non cerca il proprio interesse – non tenendo conto del fatto che il suo amore è eros, vuole essere il suo Dio, Dio per lui, e non vuole essere Dio in nessun altro modo: soltanto in quanto suo Dio vuole essere anche sovrano, onnipotente e glorioso. Se l’amore cristiano, proprio di fronte all’uomo non cristiano, non consistesse in questo annuncio, non sarebbe l’amore cristiano. Esso si fermerebbe proprio là dove l’amore di Dio, dal quale proviene, non si ferma. Esso si separerebbe dall’amore di Dio. Se il cristiano crede – come può e deve credere – che il fatto che anche il suo amore è eros non lo separa dall’amore di Dio, non può poi rifiutare questo annuncio all’uomo che egli ritiene ancora interamente immerso nell’eros.

Il contenuto concreto di questo annuncio, cioè della parola di riconciliazione con cui dobbiamo concludere il nostro esame dell’antitesi di eros ed agape è che Dio si prende cura dell’uomo in quanto tale e dunque anche dell’uomo dell’eros. Ciò significa che Dio comprende anche quest’uomo, e meglio di quanto non si comprenda egli stesso. Dio provvede anche a lui, e meglio di quanto egli stesso non faccia e non possa fare nel suo desiderio di provvedere a sé.

 

K. Barth, Dogmatica ecclesiale, Il Mulino, Bologna, 1968, pagg. 220-221