Bergson, La coscienza come durata

Secondo Bergson il tempo, la coscienza e la stessa realtà devono concepirsi come durata. In questo brano possiamo seguire la descrizione della nozione relativamente alla coscienza.

 

L'esistenza di cui siamo più certi e conosciamo meglio è, senza dubbio, la nostra. Ora, che cosa osserviamo in noi? Io constato anzitutto che passo di stato in stato. Ho caldo od ho scoperto, sono lieto o triste, lavoro o non faccio nulla, guardo ciò che mi circonda o penso ad altro. Sensazioni, sentimenti, volizioni, rappresentazioni: ecco le modificazioni tra cui si divide la mia esistenza e a volta a volta la colorano di sé. Io cangio, dunque, incessantemente. Ma non basta dir questo: il cangiamento è più radicale che a prima vista non sembri. Consideriamo il più stabile degli stati psichici: la percezione visiva di un oggetto esterno immobile. L'oggetto può sì rimanere sempre lo stesso e io posso continuare a guardarlo dalla stessa parte, sotto lo stesso angolo visuale, alla stessa luce: l'immagine che io ne ho in questo momento differisce tuttavia da quella avuta poco fa, se non altro perché è più vecchia di un istante. La mia memoria è là, che proietta qualche cosa di quel passato in questo presente. Il mio stato d'animo, avanzando sulla via del tempo, si arricchisce continuamente della propria durata: forma, per così dire, valanga con se medesimo. Che cosa siamo infatti se non la sintesi della storia da noi vissuta sin dalla nascita, anzi prima di essa, giacché portiamo con noi disposizioni prenatali? Certo noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato; ma desideriamo, vogliamo, agiamo con tutto il nostro passato, comprese le nostre tendenze congenite. Il nostro passato ci si rivela, dunque, nella sua interezza, con la pressione che esercita su di noi e sotto forma di tendenza, benché solo una piccola parte di esso si converta in rappresentazione chiara e distinta. Conseguenza di questa sopravvivenza del passato è l'impossibilità, per una coscienza, di passare due volte per un identico stato. Le circostanze possono ben rimanere le stesse: non è più la stessa persona su cui agiscono, perché la colgono in un momento nuovo della sua storia. La nostra personalità, che va via via formandosi mediante il progressivo accumularsi dell'esperienza, muta continuamente; e perciò nessun stato di coscienza, anche se resta identico alla superficie, si ripete mai in profondità. 

 

[Bergson, Evoluzione creatrice]