Bergson, Sulla libertà

La famosa dottrina di Henri Bergson sulla libertà si basa sulla distinzione fra durata ed estensione (spazializzazione del tempo) e fra “tempo che trascorre” e “ tempo trascorso”. La libertà è per il filosofo francese indefinibile.

 

 H. Bergson, Essai sur les données immédiates de la consience, Alcan, Paris, 1889; trad. it. Saggio sui dati immediati della coscienza, in H. Bergson, Opere, 1889-1896, di F. Sossi, a cura di P. A. Rovatti, A. Mondadori, Milano, 1986, pagg. 285-286

 

Possiamo ora formulare la nostra concezione della libertà.

Si chiama libertà il rapporto tra l’io concreto e l’atto che compie. Questo rapporto è indefinibile, proprio perché siamo liberi. Infatti, si può analizzare una cosa, ma non un progresso; si può scomporre l’estensione, ma non la durata. Oppure nel caso in cui ci si ostini comunque ad analizzarla, si trasforma inconsciamente il progresso in cosa, la durata in estensione. Per la sola pretesa di scomporre il tempo concreto, se ne srotolano i momenti nello spazio omogeneo; al fatto che si sta compiendo si sostituisce il fatto compiuto, e poiché si è cominciato col fissare in qualche modo l’attività dell’io, la spontaneità si risolve per noi in inerzia e la libertà in necessità. Perciò ogni definizione della libertà darà ragione al determinismo.

Potremo infatti definire l’atto libero dicendo che esso, una volta compiuto, avrebbe potuto non esserlo? Ma questa affermazione – come pure quella contraria – implica l’idea di un’equivalenza assoluta tra la durata concreta e il suo simbolo spaziale: e dal momento che si ammette questa equivalenza, sviluppando la formula stessa che abbiamo appena enunciato, si arriva al determinismo piú inflessibile.

Oppure potremo definire l’atto libero, “quello che non può essere previsto neppure quando ne siano note in anticipo tutte le condizioni”? Ma pensare che tutte le condizioni siano date, equivale, nella durata concreta, a collocarsi nel momento stesso in cui l’atto si compie. A meno che non si ammetta che la materia della durata psichica può essere rappresentata simbolicamente in anticipo, il che significa, come abbiamo già detto, considerare nuovamente il tempo come un mezzo omogeneo, e ammettere, sotto una nuova forma, l’equivalenza assoluta tra la durata e il suo simbolo. Cosí, approfondendo questa seconda definizione della libertà, arriveremo di nuovo al determinismo.

Oppure, infine, definiremo l’atto libero dicendo che non è necessariamente determinato dalla sua causa? Ma, o queste parole perdono qualsiasi significato, oppure con ciò si intende che dalle stesse cause interne non conseguiranno sempre gli stessi effetti. Si ammette cosí che gli antecedenti psichici di un atto libero potranno nuovamente riprodursi, che la libertà si dispiega in una durata i cui momenti si assomigliano, e che il tempo è un mezzo omogeneo, come lo spazio. Con ciò stesso saremo riportati all’idea di un’equivalenza tra la durata e il suo simbolo spaziale; e spremendo la definizione che avremo dato della libertà, ne faremo uscir fuori ancora determinismo.

In sintesi ogni domanda di chiarimento per quanto concerne la libertà ci porta senza che ce ne accorgiamo alla seguente domanda: “Il tempo può essere rappresentato adeguatamente mediante lo spazio?” – Al che rispondiamo di sí, nel caso in cui si tratti del tempo trascorso, e di no se parlate del tempo che scorre. Ora, l’atto libero si produce nel tempo che scorre, e non in quello trascorso. La libertà è quindi un fatto, ed è il piú chiaro tra i fatti che constatiamo. Tutte le difficoltà del problema, e lo stesso problema, nascono dalla pretesa di dare alla durata gli stessi attributi dell’estensione, di interpretare una successione mediante una simultaneità, e di tradurre l’idea di libertà in un linguaggio in cui essa è evidentemente intraducibile.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. I, pagg. 780-781