Berti, La filosofia greca arcaica e l'Oriente

Enrico Berti, professore di Storia della filosofia all’Università di Padova, è un acuto studioso della filosofia greca; nella sua Introduzione al libro di Martin L. West La filosofia greca arcaica e l’Oriente illustra in breve la tesi dello studioso inglese sul rapporto fra i primi filosofi greci e le culture orientali: l’ultimo filosofo in cui si sarebbe manifestata con forza una influenza orientale è, secondo West, Eraclito.

 

Ferecide, contemporaneo di Anassimandro, era figlio di un certo Babys, nome di origine anatolica. [...] Ferecide assegna una posizione di rilievo a Chrónos, cioè al tempo, esattamente come accadeva nella cosmologia zoroastriana, secondo cui Zurvan, cioè appunto il dio Tempo, genera Ohrmazd e Ahriman, le due principali divinità cosmiche. A questo proposito Hegel aveva notato che il tempo dei Greci, cioè Crono, è già individualizzato, mentre Zervan Akarana, il tempo dei Persiani, era senza limite (G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, La Nuova Italia, Firenze, 1930, pag. 134): è certo che il tempo godeva di una posizione di primato anche in India, cioè nelle Upanishad, dove sotto la denominazione di Kala veniva spesso identificato con Bráhman. Non è dunque azzardato, secondo West, supporre una influenza partita dall’India e trasmessa a Ferecide attraverso la cosmologia iranica.

Ferecide tuttavia cercò di combinare teorie cosmologiche di origine orientale con teorie di origine greca, già esistenti, come risulta dalla trasformazione, da lui operata, del greco Oceano in Ogenos, nome piú simile all’aramaico Ogana, per indicare il fiume che avvolge la Terra come un serpente. L’idea del serpente come principio del male, opposto al principio del bene, è comune a tutte le cosmologie orientali, da quella indiana contenuta nei Veda a quella ebraica dell’Antico Testamento (pare infatti che anche Leviathan, nemico di JHWH, fosse un serpente).

Dall’Oriente Ferecide avrebbe derivato anche la teoria dei cinque recessi, presente in Iran, l’immagine dell’albero della vita, presente nella cultura babilonese e nella Bibbia, e soprattutto la teoria della trasmigrazione delle anime e del loro destino differenziato dopo la morte del corpo, presente nei Veda, nelle Upanishad e in Egitto. Egli tuttavia cercò sempre di integrare queste teorie con corrispondenti teorie greche, creando una teologia originale, ma senza basi razionali e perciò destinata a non avere successo presso i filosofi greci (con l’eccezione, forse, di Pitagora), i quali chiedevano ormai spiegazioni razionali.

Molte somiglianze con la dottrina di Ferecide presenta la cosmologia di Anassimandro, certamente piú filosofo del primo – almeno secondo il giudizio di Aristotele –, benché anch’egli a metà strada tra la filosofia e la teologia. L’infinito di cui Anassimandro parla, infatti, secondo West, non è tanto un principio in senso cosmologico (Aristotele lo ha interpretato come causa materiale), quanto un inizio di tipo cronologico, o un al di là di tipo spaziale, ossia ciò che sta oltre i limiti, temporali e spaziali, della terra, del mare e del cielo. Si tratta propriamente dell’idea originale, piú precisamente indiana, dell’infinito come negazione di ogni limite.

Il cosmo di Anassimandro, invece, è dominato dal tempo (il cui “decreto”, nel famoso frammento 1 DK, regola il divenire cosmico: “Principio degli esseri è l’infinito [ápeiron] da dove gli infiniti esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”), esattamente come in Ferecide e nelle culture orientali. Dall’Oriente derivano anche l’idea della Terra concava e tutta l’astronomia, secondo cui gli astri sono ruote che girano intorno alla Terra. [...]

Una migliore conciliazione tra cosmologia orientale e fisica greca riesce invece ad Anassimene, il cui aer (“aria”) somiglia al dio Vento della religione iranica, soffio vitale che anima l’universo e l’uomo, nonché all’Atman, la coscienza individuale intesa come respiro, o vento, che nelle Upanishad tende a identificarsi con Bráhman. [...] Ecco dunque che a Mileto, patria dei tre primi filosofi ionici, si ebbe l’incontro fra la speculazione filosofica greca e la cultura orientale, esattamente nel momento in cui Ciro invadeva la Media e spingeva verso la costa mediterranea i sapienti orientali, cioè i “Magi”.

Qualcosa di simile dovette accadere in tutte le città greche dell’Asia Minore, per esempio a Samo, dove Pitagora – il cui pensiero non va confuso con quello dei posteriori pitagorici – mescolò, probabilmente per influenza di Ferecide, saggezza greca e cosmologia ed escatologia iraniche, come appare soprattutto nella sua dottrina della metempsicosi. Ma forse ciò accadde anche a Focea, da cui partirono, per sottrarsi alla spinta persiana, i coloni che fondarono Elea, in Italia, trasmettendo a Parmenide elementi di cultura iranica. [...] Di origine chiaramente iranica sarebbe il dualismo luce-tenebre che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre sarebbe addirittura di origine indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile (sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del velo di maya), e lo stesso viaggio del filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del Poema parmenideo, ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici.

L’ultimo filosofo greco nel quale si manifesta con forza una influenza orientale è, secondo West, Eraclito, originario anch’egli dell’Asia Minore. Questi fu non solo un fisico, come lo presenta Aristotele, ma anche e soprattutto un teologo, interessato al tema dell’anima e ai problemi di etica e di politica. La celebre teoria del Lógos come ragione cosmica, secondo West, sarebbe una invenzione posteriore degli stoici, perché l’unico lógos di cui Eraclito parla è il suo stesso discorso, ossia la dottrina che lui stesso espone. [...] Di origine chiaramente iranica sono poi la dottrina del fuoco e delle sue trasformazioni negli altri elementi (in cui consisterebbe la famosa “via all’in su”, identica alla “via all’in giú”), come la teoria dell’unità degli opposti, la quale alluderebbe alle stesse trasformazioni del fuoco, e la teoria di un Dio saggio, che è separato da tutto e tutto governa.

La sacralità del fuoco è stata infatti ripetutamente affermata dalla religione zoroastriana, e la stessa concezione eraclitea del Sole come un bacile pieno di fuoco ricorda l’altare del fuoco di Zoroastro. Il mutuo scambio degli elementi, poi, deriverebbe addirittura dalla teoria della nascita e della morte contenuta nelle Upanishad. Persino la famosa dottrina eraclitea della guerra come madre di tutte le cose deriverebbe dalla concezione zoroastriana della lotta fra i due dèi opposti. A proposito di Eraclito, dunque, si può affermare che il suo pensiero conserva chiare tracce di influenza derivante dall’India, sicuramente attraverso la Persia.

 

(E. Berti, Introduzione  a M. L. West, La filosofia greca arcaica e l’Oriente, Il Mulino, Bologna, 1993, pagg. 13-17)