Bruno, Copernico aurora della nuova filosofia

Nell’opera La cena delle Ceneri Bruno manifesta la sua opinione su Copernico: egli è stato come l’aurora, che ha preceduto il “sole dell’unica e vera filosofia”. Smitho e Teofilo, protagonisti del dialogo di Bruno, rappresentano rispettivamente il gentiluomo inglese interessato alle dispute filosofiche e il sostenitore della filosofia bruniana.

 

G. Bruno, La cena delle Ceneri, Dialogo Primo

 

Smitho: Di grazia, fatemi intendere, che opinione avete del Copernico?

Teofilo: Lui avea un grave, elaborato, sollecito e maturo ingegno; uomo che non è inferiore a nessuno astronomo che sii stato avanti lui, se non per luogo di successione e tempo; uomo che, quanto al giudizio naturale, è stato molto superiore a Tolomeo, Ipparco, Eudoxo e tutti gli altri, ch’han caminato appo i vestigi di questi. Al che è dovenuto per essersi liberato da alcuni presuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non voglio dir cecità. Ma però non se n’è molto allontanato; perché lui, piú studioso de la matematica che de la natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficultà e venesse a liberar e sé ed altri da tante vane inquisizioni e fermar la contemplazione ne le cose costante e certe. Con tutto ciò chi potrà a pieno lodar la magnanimità di questo germano, il quale, avendo poco riguardo a la stolta moltitudine, è stato sí saldo contra il torrente de la contraria fede, e benché quasi inerme di vive raggioni, ripigliando quelli abietti e rugginosi fragmenti ch’ha possuto aver per le mani da la antiquità, le ha ripoliti, accozzati e risaldati in tanto, con quel suo piú matematico che natural discorso, ch’ha resa la causa, già ridicola, abietta e vilipesa, onorata, preggiata, piú verisimile che la contraria, e certissimamente piú comoda ed ispedita per la teorica e raggione calculatoria? Cossí questo alemano, benché non abbi avuti sufficienti modi, per i quali, oltre il resistere, potesse a bastanza vencere, debellare e supprimere la falsità, ha pure fissato il piede in determinare ne l’animo suo ed apertissimamente confessare, ch’al fine si debba conchiudere necessariamente, che piú tosto questo globo si muova a l’aspetto de l’Universo, che sii possibile che la generalità di tanti corpi innumerabili, de’ quali molti son conosciuti piú magnifici e piú grandi, abbia, al dispetto della natura e raggioni che con sensibilissimi moti cridano il contrario, conoscere questo per mezzo e base de’ suoi giri ed influssi. Chi dunque sarà sí villano e discortese verso il studio di quest’uomo, che, avendo posto in oblio quel tanto che ha fatto, con esser ordinato dagli dèi come una aurora, che dovea precedere l’uscita di questo sole de l’antiqua vera filosofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne de la cieca, maligna, proterva ed invida ignoranza; vogli, notandolo per quel che non ha possuto fare, metterlo nel medesmo numero della gregaria moltitudine, che discorre, si guida e si precipita piú per il senso de l’orecchio d’una brutale e ignobil fede; che [non] vogli computarlo tra quei, che col felice ingegno s’han possuto drizzare ed inalzarsi per la fidissima scorta de l’occhio della divina intelligenza?

 

(G. Bruno, La cena delle Ceneri, Mondadori, Milano, 1995, pagg. 18-19)