Buber, Io_Tu e Io_Esso

M. Buber (1878-1965), filosofo tedesco di origine ebraica, ha sviluppato la sua analisi filosofica in direzione del cassidismo (corrente di pensiero interna all’ebraismo). Importanti le sue riflessioni sulla dialogicità, a partire dall’esempio per eccellenza che è costituito dal dialogo fra Dio e il suo popolo. La sua opera piú importante è Io e tu (1923). “Io-Tu” e “Io-Esso” sono per Martin Buber parole di base ed esprimono due modi di essere dell’uomo, l’essere soggetto (di) e l’essere soggettività (senza un genitivo dipendente).

 

M. Buber, Io e tu, in Il principio dialogico, Comunità, Milano, 1958, pagg. 9-10 e 57-58

 

“Il mondo ha due volti per l’uomo, in conformità al suo duplice modo di essere.

Duplice è il modo di essere dell’uomo, in conformità al dualismo delle parole-base, che egli può pronunciare.

Le parole-base non sono singole parole, ma coppie di parole.

Una parola-base è la coppia Io-Tu.

Un’altra parola-base è la coppia Io-Esso; senza mutare questa parola-base, si può sostituire a Esso anche Lui o Lei.

Con ciò anche l’Io dell’uomo ha due volti.

Poiché l’Io della parola-base Io-Tu non è lo stesso Io della parola-base Io-Esso.

Le parole-base non asseriscono qualcosa che stia fuori di esse, ma una volta pronunciate dànno vita a un esistente.

Le parole-base non si possono pronunciare separate dall’essere.

Quando si pronuncia il Tu, con esso si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Tu.

Quando si pronuncia l’Esso, si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Esso.

La parola-base Io-Tu può essere pronunciata soltanto unitamente alla totalità dell’essere.

La parola-base Io-Esso non può mai essere pronunciata unitamente alla totalità dell’essere.

Non v’è un Io in sé, ma solo l’Io della coppia Io-Tu e l’Io della coppia Io-Esso.

Quando l’uomo dice ‘Io’, intende uno di questi due. Quell’Io che egli intende è presente quando parla. Anche quando l’uomo dice Tu o Esso, è l’Io dell’una o dell’altra parola-base che è presente.

Essere Io e dire ‘Io’ sono una stessa cosa. La stessa cosa è dire ‘Io’ e dire una delle sue parole-base.

Chi pronuncia una parola-base, ‘entra’ nella parola e vi sta”.

[...]

“L’Io della parola-base Io-Tu è diverso della parola-base Io-Esso.

L’Io della parola-base Io-Esso appare come una individualità e acquista coscienza di sé come soggetto (dello sperimentare e dell’utilizzare).

L’Io della parola-base Io-Tu appare come persona e acquista coscienza di sé come soggettività (senza un genitivo dipendente).

L’individualità appare in quanto si distingue da altre individualità.

La persona appare in quanto entra in relazione con altre persone.

Questa è la forma spirituale della indipendenza naturale, quella è il legame naturalizzato.

Lo scopo dell’autoseparazione è sperimentare e utilizzare, e lo scopo di questi è la ‘vita’, cioè la protrazione di quel continuo morire che è la vita dell’uomo.

Lo scopo della relazione è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un alito del Tu, cioè della vita eterna.

Chi sta nella relazione partecipa a una realtà, cioè a un essere, che non è puramente in lui né puramente fuori di lui. Tutta la realtà è un agire cui io partecipo senza potermi adattare a essa. Dove non v’è partecipazione non v’è nemmeno realtà. Dove v’è egoismo non v’è realtà. La partecipazione è tanto piú completa quanto piú immediato è il contatto del Tu.

È la partecipazione alla realtà che fa l’Io reale; ed esso è tanto piú reale quanto piú completa è la partecipazione”.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. V, pagg. 222-224