Bultmann, Gesú Cristo evento escatologico, il senso della storia

L’interesse prevalente per la storia nasce in Bultmann negli anni ’50. Dopo lo sconvolgimento della seconda guerra mondiale, egli avverte l’urgenza di ancorare l’uomo occidentale, spaesato, a “un nucleo di stabilità”, senza negarne la natura storica. La modernità infatti ha definitivamente acquisito il carattere storico dell’uomo. Ma lo storicismo e l’esaltazione del potere tecnico-scientifico, assolutizzando il relativo, hanno finito col negare verità “ad ogni esigenza etica assoluta”. Da qui nasce il nihilismo relativistico e la storia perde ogni senso e direzione.

“Storicità è la natura stessa dell’uomo, che non possiede mai la sua vita autentica nel presente, ma è sempre in cammino” (pag. 65). Questo è il contenuto  del Nuovo Testamento: è giunto il tempo finale (éskhaton), si è compiuto il destino dell’uomo non per opera dell’uomo che può vivere solo un presente sempre sfuggente, ma per opera di Dio. Dio fa irruzione nella storia come presente che non passa, come presente eterno. L’annuncio del Regno di Dio è un dono di libertà. La decisione se vivere d’ora innanzi compiutamente l’amore come puro “essere per altri” e ritrovare quindi l’autenticità della propria esistenza è affidata all’uomo. L’autenticità dell’uomo che vive del presente di Dio ridona senso alla storia.

 

R. Bultmann, Storia ed escatologia

 

Qual è allora il proprium della fede cristiana? Soprattutto il fatto di comprendere l’essere umano come essere storico!

La fede cristiana è convinta di vedere che l’uomo non ha la libertà che è presupposta per le decisioni storiche. Se nella situazione puntuale devo assumere la responsabilità del futuro e devo essere aperto all’incontro – con gli uomini o con il destino –, è evidentemente necessario che possa avere un punto di vista al di là della situazione: devo essere libero. Ma di fatto non ho questa libertà. Di fatto nelle mie decisioni io sono sempre determinato dal mio passato: non nel senso di una determinazione causale, ma perché sono determinato dalla mia stessa volontà. Ogni uomo è infatti comandato dalla sua volontà di aggrapparsi a se stesso, perché ogni uomo è riluttante ad abbandonarsi senza riserve. Certo, ogni uomo può essere consapevole della propria responsabilità, e ha una relativa libertà nei momenti della decisione. Ma ci si chiede se egli sappia che questa libertà è soltanto relativa, cioè che è limitata da lui stesso per il fatto che egli è segnato dal suo passato. Libertà radicale vorrebbe dire libertà da se stessi. L’uomo che comprende in maniera radicale la sua storicità, vale a dire, che si comprende radicalmente come essere futuro, deve sapere che il suo Io autentico non può che essergli portato sempre e soltanto come dono dal futuro. Ma di fatto vive nell’uomo l’aspirazione a disporre del futuro. Ed è proprio la sua storicità che lo seduce in questa direzione, dal momento che la sua storicità significa la sua responsabilità per il futuro. Proprio il senso di responsabilità suscita in lui l’illusione di poter disporre della realtà. Ma in questa illusione egli rimane l’uomo vecchio, determinato dal suo passato. E misconosce che soltanto il soggetto libero può assumere realmente la responsabilità, e che egli non può cercare attorno a sé garanzia alcuna, neppure la garanzia di una legge morale che gli sottragga o gli alleggerisca il peso della responsabilità (secondo quanto dice Lutero con la sua celebre formula ‘pecca fortiter’). Deve essere libero da se stesso, o diventarlo. Ma l’uomo non può liberarsi da sé, con la propria volontà e le proprie forze, perché in questa decisione egli resterebbe pur sempre quello di prima. L’uomo può ricevere la libertà solo come dono.

Ma è proprio questo che la fede cristiana professa di ricevere: il dono della libertà, con cui l’uomo è liberato da se stesso ed è ridonato a se stesso. “Chi vuol conservare la propria vita, la perderà; ma chi perde la propria vita, la troverà”. Questa però non è una proposizione la cui verità sia già realizzata appena venga riconosciuta come verità generale. In altre parole, l’uomo non può dirsela da sé; al contrario, gli deve essere detta, mi deve essere ogni volta consegnata. E questo è appunto il senso della predicazione cristiana, che non annuncia l’idea generale della grazia di Dio, ma è appello, interpellazione della grazia di Dio che si rivolge a me ogni volta, che libera l’uomo da se stesso.

Quest’annuncio riceve la sua legittimazione dalla rivelazione della grazia di Dio in Gesú Cristo. Il Nuovo Testamento annuncia Gesú Cristo come l’evento escatologico, come l’atto di Dio, in cui egli ha posto fine al vecchio mondo. Nell’annuncio, l’evento escatologico vuole farsi ogni volta presente, e nella fede si fa ogni volta evento. Per il credente, il vecchio mondo è finito; egli è “nuova creatura in Cristo”. Infatti il vecchio mondo è finito per lui, proprio in quanto è finita con l’uomo vecchio che era in lui, ed egli è diventato un soggetto nuovo, un soggetto libero.

Il paradosso della predicazione cristiana e della fede cristiana è che l’evento escatologico non viene compreso autenticamente nel suo vero senso – almeno secondo Paolo e Giovanni – quando viene concepito come un evento che mette fine al mondo visibile in una catastrofe cosmica; si tratta infatti di un evento all’interno della storia, che inizia con la comparsa di Gesú di Nazaret e si prolunga nel corso della storia, non però con un’evoluzione storicamente constatabile, ma facendosi ogni volta evento nella predicazione e nella fede. Gesú Cristo è l’evento escatologico non come fatto del passato, ma come colui che interpella ogni volta qui ed ora nella predicazione.

In quanto interpellazione, la predicazione esige decisione. Questa decisione è evidentemente altra cosa dalle decisioni che ci vengono chieste in ogni istante presente nella responsabilità di fronte al futuro. Nella decisione della fede io decido non per un’azione responsabile, ma per una nuova comprensione di me stesso come uomo che la grazia di Dio ha liberato da se stesso o ha ridonato a se stesso, e dunque decido per una vita alla luce della grazia di Dio. Ma cosí facendo, mi decido al tempo stesso per una nuova comprensione di tutto il mio agire responsabile: non che la fede mi sottragga le decisioni richieste di volta in volta dal momento storico, ma al contrario tutte le mie decisioni, tutto il mio agire responsabile è portato dall’amore. In quanto puro essere per gli altri, l’amore è possibile soltanto a colui che è stato liberato da se stesso.

Il paradosso dell’esistenza cristiana è che il credente è sottratto al mondo, esiste come demondanizzato, e che al tempo stesso egli rimane all’interno del mondo, all’interno della sua storicità. L’essere storico è essere dal futuro. Anche il credente esiste dal futuro. Anzitutto, perché la sua fede e la sua libertà non possono mai diventare possesso; in quanto evento escatologico, esse non possono mai diventare fatti del passato, ma sono reali sempre e soltanto come evento. Proprio perché il credente resta all’interno della storia. Per principio, è il futuro che offre continuamente all’uomo il dono della sua libertà. La fede cristiana è la forza per cogliere ogni volta questo dono. La libertà dell’uomo da se stesso, libertà che la grazia divina gli dona, si realizza costantemente nella libertà della decisione storica. Il paradosso di Cristo come Gesú storico e Signore sempre presente, e il paradosso dell’essere cristiano come essere escatologico e insieme storico, è descritto in modo eccellente da Erich Frank: “...Per i cristiani l’avvento di Cristo non fu un evento in quel decorso temporale che noi oggi chiamiamo storia. Fu un evento nella storia della salvezza, nel regno dell’eternità, un momento escatologico in cui trovò fine questa storia profana del mondo. E in maniera analoga, la storia trova la sua fine nell’esperienza religiosa di ogni cristiano che ‘è in Cristo’. Nella sua fede egli è già al di là del tempo e della storia. Sebbene, infatti, l’avvento di Cristo sia un evento storico, che si verificò ‘un tempo’ nel passato, esso è insieme un evento eterno, che penetra sempre di nuovo nell’anima di ogni cristiano, nella cui anima Cristo nasce, patisce, muore e viene risuscitato alla vita eterna. Nella sua fede il cristiano è un contemporaneo di Cristo, e tempo e storia profana sono superati. L’avvento di Cristo è un evento nel regno dell’eternità, che è incommensurabile in rapporto al tempo storico. Ma la prova del cristiano consiste in questo: sebbene in spirito egli sia al di là del tempo e del mondo, nella carne egli rimane in questo mondo, sottoposto al tempo. La miseria della storia, alla quale egli partecipa, continua il suo corso... Ma il processo della storia ha acquistato un nuovo senso, finché sono all’opera la pressione e i conflitti nei quali il cristiano deve purificare la sua anima e nel cui crogiolo – e qui soltanto – egli deve realizzare la propria vocazione reale. Storia e mondo non cambiano, ma cambia l’atteggiamento dell’uomo di fronte al mondo”.

Il carattere escatologico dell’esistenza cristiana viene a volte designato nel Nuovo Testamento come la figliolanza del credente. A ragione Gogarten afferma che “la figliolanza non è qualcosa come un habitus o una proprietà, ma deve essere colta puntualmente nella decisione della vita presente. Essa infatti è ciò a cui mira la storia temporale presente nel suo accadere autentico, e dunque avviene dentro questa storia e in un nessun altro luogo”. La fede “a causa del carattere escatologico radicale della salvezza da essa creduta; non strappa mai l’uomo alla sua concreta esistenza mondana, ma lo chiama in maniera semplice e incomparabile a calarsi dentro l’esistenza, e appunto cosí dischiude la sua storicità. Perché qui e in nessun altro luogo si realizza per essa la salvezza degli uomini”. [...]

Il paradosso per cui l’esistenza cristiana è a un tempo esistenza escatologica, non mondana, ed esistenza storica, equivale alla frase di Lutero: “Simul iustus simul peccator. Nella fede il cristiano ha raggiunto quel punto al di là della storia che Jaspers e altri hanno cercato di trovare; non però come soggetto sottratto alla storia. La sua non mondanità non è una qualità, ma potrebbe essere designata come ‘aliena’ (esterna a lui), cosí come la sua giustizia, ‘iustitia’, viene detta ‘aliena’ da Lutero.

Abbiamo iniziato le nostre lezioni con l’interrogativo sul senso della storia, suscitato dal problema dello storicismo. Abbiamo visto che l’uomo non può rispondere a quest’interrogativo se lo intende riferito alla storia nel suo insieme. L’uomo infatti non è al di fuori della storia. Ma ora possiamo dire: il senso della storia è nel presente puntuale, e quando il presente viene colto dalla fede cristiana come il presente escatologico, il senso della storia è realizzato. Colui che si lamenta: “Non riesco a vedere alcun senso nella storia, e perciò la mia vita, che è intrecciata alla trama della storia, è sprovvista di senso” deve essere richiamato cosí: “Non guardare attorno a te, alla storia universale; devi invece guardare alla tua storia personale. Nel tuo presente puntuale è il senso della storia, e tu non puoi vederlo come spettatore, ma soltanto nelle tue decisioni responsabili. In ogni istante sonnecchia la possibilità di essere l’istante escatologico. A te lo svegliarlo”.

 

R. Bultmann,  Storia ed escatologia ,Queriniana, Brescia, 1989, pagg. 198-204