BENJAMIN, LA FELICITA' DELL'UOMO ANTICO

 

 

Forse dopo la fine del mondo antico l´uomo conosce solo uno stato psichico in cui la sua interiorità entri in un rapporto pienamente puro e grande con il tutto della natura, del cosmo: il dolore. L´uomo sentimentale, come lo chiama Schiller, può acquisire un sentimento approssimativamente puro e grande, ossia approssimativamente ingenuo, di se stesso, solo all´alto prezzo di raccogliere tutta la sua sostanza interiore in un´unità separata dalla natura. La sua suprema semplicità e integrità umana riposa su questa separazione dalla natura determinata dal dolore, e in questa contrapposizione si manifestano insieme un fenomeno sentimentale e un fenomeno di riflessione. Quasi si potrebbe pensare che la riflessione sia ormai un atteggiamento connaturato all´uomo moderno, al punto che nella felicità semplice e piana che ignora il contrasto con la natura l´uomo interiore gli appare troppo vuoto e troppo poco interessante, per dispiegarsi profondamente libero verso l'esterno, anziché rimanere nascosto e chiuso in se stesso, per una sorta di vergogna. Anche per l´uomo moderno felicità significa naturalmente uno stato dell'anima ingenua ???´ ??????, ma nulla è più significativo del suo tentativo di interpretare in senso sentimentale questa purissima rivelazione dell´ingenuo. Questo processo di reinterpretazione si avvale dei concetti moderni dell´innocenza e dell´infantile, con la loro farragine di immagini false e corrotte. Mentre l´innocenza ingenua, grande, vive a diretto contatto con tutte le forze e le forme del cosmo, e trova i propri simboli nella purezza, nella forza e bellezza della forma, per l´uomo moderno l´innocenza è quella dell´omuncolo, è un´innocenza, diminutiva e microscopica, che assume la forma di un´anima che non sa nulla della natura, che si vergogna del suo stato e non osa riconoscerlo neanche davanti a se stessa, come se - ripetiamo - l´uomo felice fosse un guscio troppo vuoto, per non sprofondare di vergogna alla propria vista. E quindi il senso moderno della felicità è insieme piccino e segreto, e ne è derivata l´idea dell´anima felice che ripudia se stessa con un´attività continua, e coartando artificialmente i propri sentimenti. Lo stesso significato ha l´idea della felicità infantile, poiché anche nel bambino non vede quell´essere in cui il sentimento si attua nella sua forma pura e si esprime nel modo più immediato, ma vede una creatura egocentrica, ignorante e svagata, che perciò altera la natura, la rimpicciolisce, le addossa sentimenti angusti e inconfessati. Nel Lenz di Büchner la piccola felicità dell´anima sentimentale è descritta in questo modo, nella fantasia di un malato che desidera la pace: " Vede, - ricominciò, - mentre lei camminava così nella stanza e cantava quasi soltanto per sé, e ogni passo era una musica, c´era una tale felicità in lei, e si effondeva su di me; io ero sempre tranquillo, quando la vedevo o lei appoggiava la testa contro di me, ... Proprio come un bambino; era come se il mondo fosse troppo grande per lei: si ritirava in se stessa, cercava l´angolino più nascosto di tutta la casa, e poi si sedeva, come se tutta la sua beatitudine fosse concentrata in un solo punto, e allora era così anche per me; avrei potuto giocare come un bambino ".

 

E decisivo per l´immagine che l´uomo antico ha della felicità, il fatto che quella piccola modestia che vuole seppellire la felicità nella parte più interna e profonda dell´individuo, in modo che non possa essere raggiunta dalla riflessione (come un talismano contro la sventura) - che per l´uomo antico questa modestia si trasformi nel suo contrario più terribile, nel delitto della superbia folle, nella ????? Per il greco ????? è il tentativo di esibire se stesso - l´individuo, l´uomo interiore - come soggetto e proprietario della sua felicità, ????? è la credenza che la felicità sia una proprietà, anche e proprio quella della modestia, ????? è la credenza che la felicità sia qualcosa di diverso da un dono degli dei che essi possono togliere ogni momento, come ogni momento possono infliggere al vincitore un´immensa sventura (si pensi al ritorno di Agamennone). Ora ciò significa che la forma in cui la felicità visita l´uomo antico è quella della vittoria. La sua felicità non è altro che questo - un dono decretato dagli dei, e gli è fatale, se crede che gli dei l´abbiano data a lui e proprio a lui. Perché in quest´ora suprema che fa dell´uomo un eroe egli si astenga dalla riflessione, perché in quest´ora si effondano su di lui tutte le grazie che conciliano il vincitore con la sua città, con i sacri boschetti degli dei, con l´???????? degli antenati e infine con lo stesso potere degli dei, Pindaro cantò gli inni di vittoria. E così all´uomo antico, nella felicità, sono riservate entrambe le cose: la vittoria e la festa, il merito e l´innocenza. Ugualmente necessari e rigorosi. Poiché nessuno può vantarsi dei propri meriti, quando lotta nelle gare, anche il migliore può incontrare colui che gli dei hanno mandato contro di lui, e che, più forte, lo getta nella polvere. Ed egli - il vincitore - ringrazierà a sua volta gli dei, tanto più in quanto gli concessero la vittoria sull´eroe più grande. Non c´è posto per l´ostinata celebrazione del merito, per l´avventurosa attesa della felicità, che permettono al borghese di campare. L'???? - ed è questo un senso profondo di questa istituzione - dà a ciascuno la misura della felicità che gli dei gli destinano. Ma non c´è neanche posto per l´innocenza vuota e oziosa dell´ignorante, con cui l´uomo moderno nasconde a se stesso la sua felicità. Il vincitore è in piedi davanti a tutti, lodato dal popolo, l´innocenza è assolutamente necessaria a lui che tiene nelle mani levate il vaso della vittoria, come una coppa piena di vino di cui anche una sola goccia, cadendo, lo macchierebbe per l´eternità. Non deve negare né carpire alcun merito, gli dei gliel´hanno donato, e non ha bisogno di riflettere sulla sua innocenza, come l´anima piccola e inquieta, ma che si colmino le grazie, affinché la cerchia divina che lo ha eletto trattenga presso di sé lo straniero, tra gli eroi.

 

La felicità dell'uomo antico è conclusa nella celebrazione della vittoria: nella gloria della sua città, nell´orgoglio del suo distretto e della sua famiglia, nella gioia degli dei e nel sonno che lo trasporta nel cielo degli eroi.

 

[da, Metafisica della gioventù. Scritti 1910-1918, Einaudi, Torino 1982, pp. 159-62]