BENTHAM, CHE COSA E' L'UTILE

 

§ 1. La natura ha posto il genere umano sotto il dominio di due supremi padroni: il dolore e il piacere. Spetta ad essi soltanto indicare quel che dovremmo fare, come anche determinare quel che faremo. Da un lato il criterio di ciò che è giusto o ingiusto, dall’altro la catena delle cause e degli effetti sono legati al loro trono. Dolore e piacere ci dominano in tutto quel che facciamo, in tutto quel che diciamo, in tutto quel che pensiamo: qualsiasi sforzo possiamo fare per liberarci da tale soggezione non servirà ad altro che a dimostrarla e confermarla. A parole si può proclamare di rinnegare il loro dominio, ma in realtà se ne resta del tutto soggiogati. Il principio di utilità riconosce tale soggezione, e la assume a fondamento di quel sistema il cui obiettivo è innalzare l’edificio della felicità per mezzo della ragione e della legge. I sistemi che tentano di mettere in discussione tale soggezione spacciano rumori per suoni sensati, capriccio per ragione, oscurità per luce. Ma basta con le metafore e le declamazioni. Non è con questi mezzi che si può far progredire la scienza morale. § 2. Il principio di utilità costituisce il fondamento della presente opera: è perciò opportuno iniziare con un resoconto esplicito e preciso di cosa si intenda con esso. Per principio di utilità si intende quel principio che approva o disapprova qualunque azione a seconda della tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione; o, che è lo stesso concetto in altre parole, a seconda della tendenza a promuovere tale felicità o a contrastarla. Mi riferisco a qualsiasi azione, e perciò non solo ogni azione di un privato individuo, ma anche ogni provvedimento di governo. § 3. Per utilità si intende quella proprietà di ogni oggetto per mezzo della quale esso tende a produrre beneficio, vantaggio, piacere, bene o felicità (in questo contesto tutte queste cose si equivalgono) oppure ad evitare che si verifichi quel danno, dolore, male o infelicità (di nuovo tutte cose che si equivalgono) per quella parte il cui interesse si prende in considerazione: se quella parte è la comunità in generale, allora l’interesse della comunità, se è un individuo in particolare, allora l’interesse di quell’individuo. § 4. L’interesse della comunità è una delle espressioni più generiche che si possano trovare nella fraseologia della morale: non c’è da meravigliarsi che il suo significato vada spesso perduto. Quando ha un significato è il seguente. La comunità è un corpo fittizio, composto dalle singole persone considerate come sue membra. Quindi che cos’è l’interesse della comunità? La somma degli interessi dei vari membri che la compongono. § 5. È vano parlare dell’interesse della comunità senza comprendere quale sia l’interesse dell’individuo. Si dice che una cosa promuove un interesse, o che è a favore dell’interesse di un individuo, quando va ad aggiungersi alla somma totale dei suoi piaceri, o, che è la stessa cosa, a ridurre la somma totale dei suoi dolori. § 6. Quindi un’azione si può definire conforme al principio di utilità, o, per brevità, conforme all’utilità (intesa rispetto alla comunità in genere) quando la sua tendenza ad aumentare la felicità della comunità è maggiore di ogni sua tendenza a diminuirla. § 7. Un provvedimento di governo (che altro non è che un particolare tipo di azione, compiuta da una particolare persona o gruppo di persone) può essere definito conforme al principio di utilità o da esso dettato quando, allo stesso modo, la sua tendenza ad aumentare la felicità della comunità è maggiore di ogni sua tendenza a diminuirla. § 8. Quando si suppone che un’azione, o in particolare un provvedimento di governo, sia conforme al principio di utilità, può essere conveniente, ai fini del discorso, immaginare un tipo di legge o dettame, detto legge o dettame dell’utilità, e parlare dell’azione in questione come di un’azione conforme a tale legge o a tale dettame. § 9. Si può dire che un uomo è seguace del principio di utilità quando l’approvazione o la disapprovazione che egli attribuisce a ciascuna azione o provvedimento è determinata dalla tendenza che secondo lui l’azione ha ad aumentare o diminuire la felicità della comunità, ed è proporzionata a tale tendenza, o, in altre parole, al suo essere o meno conforme alle leggi o ai dettami dell’utilità. § 10. Di un’azione conforme al principio di utilità si può sempre dire che è un’azione che deve essere compiuta, o almeno che non è un’azione che non deve essere compiuta. Si può dire inoltre che è giusto, o almeno che non è ingiusto, che debba essere compiuta; si può dire che è un’azione giusta, o almeno che non è ingiusta. Quando sono così interpretate, le parole deve, giusto e ingiusto e altre di questo genere hanno un significato, altrimenti non ne hanno alcuno. § 11. È stata mai formalmente contestata la correttezza di questo principio? Sembra che lo sia stata da coloro che non sapevano cosa intendevano. E suscettibile di qualche prova diretta? Sembrerebbe di no, poiché ciò che viene usato per provare ogni altra cosa, non può essere a sua volta provato: una catena di prove deve avere un cominciamento da qualche parte. Fornire tale prova è tanto impossibile quanto non necessario. § 12. Non esiste e non è mai esistita una creatura umana vivente, per quanto stupida o perversa, che non abbia fatto riferimento al principio di utilità in molte, forse nella maggior parte delle situazioni della sua vita. Per la naturale costituzione della struttura umana, nella maggior parte delle situazioni della loro vita gli uomini generalmente abbracciano tale principio senza rifletterci, se non per regolare le loro azioni e quelle di altri uomini, almeno per giudicarle. Allo stesso tempo non ci sono stati molti uomini, nemmeno tra quelli più intelligenti, che sono stati disposti ad abbracciare questo principio integralmente e senza riserve. Sono inoltre pochi quelli che non hanno colto l’occasione di attaccarlo, o perché non sempre ne capivano l’applicazione, o per qualche pregiudizio che avevano timore di portare alla luce o a cui non potevano sopportare di rinunciare. Perché questa è la stoffa di cui è fatto l’uomo: in via di principio come nella pratica, sulla retta via e su quella cattiva, la più rara delle qualità umane è la coerenza. § 13. Quando un uomo tenta di combattere contro il principio di utilità, lo fa, senza rendersene conto, in base a ragioni tratte da quello stesso principio. Le sue argomentazioni, se riescono a provare qualcosa, non provano che quel principio è ingiusto, ma che, secondo le applicazioni che egli suppone ne siano state atte, è mal applicato. È possibile per un uomo sollevare la erra? Sì, ma deve prima trovare un’altra terra su cui appoggiarsi. § 14. L’appropriatezza del principio di utilità non può essere confutata mediante argomentazioni, ma, per le cause citate, o perché si ha di esso una visione confusa e parziale, può accadere che qualcuno non sia disposto ad apprezzarlo. Quando questo accade, se questa persona ritiene che valga la pena chiarire le proprie opinioni sull’argomento, segua i passi seguenti e alla fine forse si riconcilierà col principio in questione. Stabilisca se il suo rifiuto del principio è totale: se è così, consideri a cosa si riducono tutti i suoi ragionamenti, specialmente su questioni politiche. Fatto ciò, che stabilisca se egli giudica e agisce senza alcun principio, o se ce n’è qualcun altro in base a cui giudicare e agire. Se ce n’è uno, che esamini e si accerti se il principio che crede di aver trovato sia davvero un principio intelligibile ben distinto, o se non sia un mero principio verbale, una specie di frase che alla fine non esprime né più né meno che la pura affermazione dei propri infondati sentimenti, cioè quel che in un’altra persona egli potrebbe essere propenso a chiamare capriccio. Se è incline a ritenere che la propria approvazione o disapprovazione, congiunta all’idea di un atto, senza alcun riguardo per le sue conseguenze, sia per lui un fondamento sufficiente in base al quale giudicare ed agire, si domandi se il suo sentimento debba essere un criterio di giusto e ingiusto per ogni altro uomo, o se il sentimento di ogni uomo abbia lo stesso privilegio di essere criterio di se stesso. Nel primo caso, si domandi se il suo principio non sia dispotico ed ostile a tutto il resto della razza umana. Nel secondo caso, si domandi se non sia un principio anarchico, e se di questo passo non si arrivi ad avere tanti criteri di giusto e ingiusto per quanti sono gli uomini; e se non possa capitare che anche per lo stesso uomo una cosa che sembrava giusta oggi non possa risultare ingiusta domani senza essere minimamente mutata nella sua natura; e se la stessa cosa non sia giusta e ingiusta nello stesso luogo e allo stesso tempo; e in entrambi i casi, se tutta l’argomentazione non sia inconcludente; e se, quando due uomini hanno affermato "Questa cosa mi piace" e "Questa cosa non mi piace" possano poi, in base a tale principio, avere qualcosa da aggiungere. Se dovesse dire a se stesso " no ", poiché il sentimento che egli propone come criterio deve essere fondato sulla riflessione, che dica a quali particolari debba rivolgersi la riflessione. Se a particolari in relazione all’utilità dell’atto, allora dica se non stia forse abbandonando il suo stesso principio, chiamando in aiuto proprio quello contro il quale lo ha innalzato. E se non a quei particolari, allora a quali altri? Se volesse arrivare a una mediazione, affermando di adottare in parte il suo principio e in parte il principio di utilità, dica fino a che punto adotterà quest’ultimo. Quando avrà deciso a che punto fermarsi, allora dica come giustifica a se stesso l’adozione del principio fino a quel certo punto, e perché non vada più oltre. Ammesso che un principio diverso da quello di utilità sia giusto, che sia un principio che per un uomo è giusto perseguire; ammesso che la parola giusto possa avere (cosa non vera) un significato che non si riferisca all’utilità, dica se può esistere per un uomo un motivo per seguirne i dettami; se c’è, dica qual è questo motivo, e come vada distinto da quelli che fanno valere i dettami dell’utilità; se non c’è, dica infine a cosa può servire allora questo suo principio.

 

(J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, cap.I)