Carneade, Gli inconvenienti di un criterio oggettivo di giustizia

Attraverso l’analisi di alcuni casi particolari, ripresi dalla tradizione sofistica e retorica, Carneade dimostra allo stupito ascoltatore romano l’impossibilità di risolverli in modo soddisfacente seguendo il criterio della giustizia oggettiva.

 

Cicerone, De re publica, III, 19-20

 

1      Allora lasciati i casi generali, veniva ai particolari. Egli dice: – Un galantuomo nel caso che possieda uno schiavo fuggitivo od una casa non igienica e dannosa alla salute, e nel caso che egli solo fosse al corrente di questi difetti ed annunziasse una vendita all’incanto, dovrebbe dichiarare di mettere in vendita uno schiavo fuggitivo od una casa insalubre, oppure dovrà tenerlo nascosto al compratore? Se lo dichiarerà, sarà considerato certo un galantuomo, perché non ingannerà, ma stolto, perché venderà per poco o non riuscirà a vendere affatto; se lo nasconderà, sarà saggio, perché farà il proprio interesse, ma anche disonesto, perché ingannerà. Ed ancora, se si troverà qualcuno che crede di vendere del rame mentre si tratta di oro, o piombo invece di argento, il compratore farà finta di niente per acquistarlo a poco, o ne farà parola per comprarlo a caro prezzo? Certo sembrerebbe uno sciocco se preferisse acquistarlo a molto –. Dal che egli voleva far capire che il giusto ed onesto era stolto e disonesto il prudente; e che pure è possibile per gli uomini senza danno stare contenti della propria povertà.

2      Passava poi ad esempi piú gravi, secondo i quali nessuno poteva mantenersi giusto senza correr pericolo della propria vita; diceva infatti: è giustizia non uccidere il proprio simile e non toccare le cose altrui. E che cosa farà allora un uomo giusto se in caso di naufragio uno piú debole di forze si sia afferrato ad un relitto galleggiante? non cercherà di farglielo lasciare per salirvi sopra egli stesso e scampare appoggiandovisi, specialmente se cosí in mezzo al mare non vi fosse alcun testimone? Se è prudente, lo farà, che, se non lo facesse, dovrebbe perder la vita; ma se scegliesse la morte anziché far violenza all’altro, sarà sí giusto, ma stolto perché non risparmia la propria vita per risparmiare l’altrui. Dal pari, sbaragliate le proprie schiere ed essendo già cominciato l’inseguimento da parte del nemico, questo uomo giusto imbattutosi in un ferito montato a cavallo, lo risparmierà per venire poi ucciso egli stesso, o lo sbalzerà dalla cavalcatura, per poter egli scampare al nemico? in questo secondo caso sarà stato saggio ma malvagio, giusto ma necessariamente anche stolto nel primo. Cosí adunque avendo distinto la giustizia in due parti, chiamando l’una sociale e l’altra naturale, le capovolge ambedue, dal momento che la prima è civile saggezza ma non vera giustizia, e la seconda è certo naturale giustizia, ma non saggezza. [...]

 

(Cicerone, Opere politiche e filosofiche, UTET, Torino, 1953, vol. I, pagg. 183-184)