Charles Darwin, Come è nata l'intelligenza

Darwin descrive, ne L'origine dell'uomo, le ragioni che lo portano a formulare l'ipotesi che la specie umana discenda da una specie inferiore, e cioè dai quadrumani o scimmie.

Tale ipotesi ha avuto un impatto fortissimo sulla cultura e sul pensiero filosofico dell'epoca, in quanto, stabilendo una continuità di carattere evolutivo fra gli esseri umani e altre specie - in particolare le scimmie -, ha sconvolto la tesi della differenza qualitativa - cioè di ordine spirituale - dell'uomo rispetto a tutti altri esseri viventi e, di fatto, malgrado il dichiarato 'agnosticismo' dello scienziato, è sembrato mettere in discussione la tesi della creazione dell'uomo da parte di Dio.

Secondo Darwin, considerando le analogie strutturali, sia l'uomo che le specie inferiori e - in generale - tutti i mammiferi, dovrebbero discendere da un progenitore comune, cioè da un antico marsupiale. Darwin ipotizza anche che il primo progenitore di tutti i vertebrati sia stato un animale acquatico provvisto di branchie.

Egli infine si interroga su come sia possibile che nel corso dell'evoluzione si sia avuto - con l'avvento e lo sviluppo della specie umana - l'affermarsi di facoltà intellettuali e disposizioni morali ed ammette che proprio questa appare "la maggiore difficoltà" con cui la sua ipotesi si deve misurare.

Ma risponde che anche negli animali superiori le facoltà mentali sono variabili, che tali variazioni si trasmettono ereditariamente e risultano particolarmente utili per la possibilità delle specie di affermarsi nella selezione naturale. Nell'uomo lo sviluppo e la trasmissione ereditaria dell'intelletto "gli deve essere stato di grande utilità, anche in un periodo molto remoto, in quanto lo ha messo in grado di inventare e di usare il linguaggio, di fare utensili, armi, trappole, ecc. con cui, con l'aiuto delle sue abitudini sociali, fin da molto tempo è diventato il dominatore di tutte le creature viventi". Ancora più rilevante, sottolinea ancora Darwin, è lo sviluppo delle qualità morali, cioè di istinti sociali complessi che "non si estendono a tutti gli individui della specie, ma solo a quelli della stessa comunità" e che dovrebbero - in ipotesi - essere "stati acquisiti attraverso la selezione naturale" ed avere svolto un ruolo determinante nella evoluzione della specie umana.

 

La conclusione principale cui siamo giunti, ora sostenuta da molti naturalisti ben capaci di formulare un giudizio valido, è che l'uomo sia disceso da qualche forma meno organizzata. Le fondamenta su cui poggia questa conclusione non saranno mai rimosse, in quanto la stretta somiglianza tra l'uomo e gli animali inferiori durante lo sviluppo embrionale, e in numerose parti della struttura e della costituzione di enorme, come di irrilevante, importanza, i rudimenti che egli mantiene, e le reversioni anormali di cui è occasionalmente suscettibile, sono tutti fatti che non possono essere messi in discussione. Benché noti da tempo, solo recentemente ci hanno fornito notizie sull'origine dell'uomo, e adesso, alla luce della conoscenza di tutto il mondo dei viventi, il loro significato è indiscutibile. Se questi gruppi di fatti vengono considerati in connessione con altri, come le mutue affinità tra membri di uno stesso gruppo, la loro distribuzione geografica passata e presente e la loro successione geologica, il grande principio dell'evoluzione appare chiaro e fermo. E' incredibile che tutti questi fatti dicano il falso. Chi non si contenta di guardare, come fanno i selvaggi, i fenomeni della natura in modo slegato, non può più pensare che l'uomo sia il risultato di un atto separato di creazione. Costui sarebbe costretto a riconoscere che la stretta somiglianza di un embrione umano con quello per esempio di un cane - la struttura del cranio, delle membra e di tutto lo scheletro con una base uguale a quella degli altri mammiferi, indipendentemente dall'uso cui le singole parti sono adibite - la riapparizione occasionale di diverse strutture, per esempio di parecchi muscoli, che l'uomo normalmente non possiede, ma che sono comuni ai quadrumani, e una serie di fatti analoghi - portano tutti nel modo più evidente alla conclusione che l'uomo è codiscendente, insieme ad altri mammiferi, da un progenitore comune. [...]

Abbiamo visto che l'uomo  presenta sempre differenze individuali in tutte le parti del corpo e nelle facoltà intellettuali. Queste differenze o variazioni sembra che siano provocate dalle stesse cause generali, e che obbediscano alle stesse leggi cui obbediscono gli animali inferiori. In entrambi i casi prevalgono leggi simili di ereditarietà. L'uomo tende a incrementarsi in proporzione maggiore ai suoi mezzi di sussistenza; di conseguenza egli è occasionalmente sottoposto a una dura lotta per l'esistenza, e la selezione naturale agirà su qualsiasi cosa entri nel suo ambito. [...] Possiamo star certi che gli effetti ereditari del lungo uso o disuso delle parti agiranno nella stessa direzione della selezione naturale. Modificazioni precedentemente importanti, anche se non più di uso particolare, rimangono a lungo ereditarie. [...]

Considerando la struttura embriologica dell'uomo - le omologie che ha con gli animali inferiori, i rudimenti che mantiene e la reversione di cui è suscettibile - possiamo parzialmente ricostruire nella nostra mente la condizione primitiva dei nostri progenitori; e possiamo approssimativamente collocarli al proprio posto nella serie zoologica. Impariamo in tal modo che l'uomo è disceso da un quadrupede peloso, con la coda, probabilmente di abitudini arboree, e abitante del vecchio mondo. Questa creatura, se un naturalista ne esaminasse la struttura, sarebbe classificata tra i quadrumani, sicuramente quanto il progenitore ancora più antico delle scimmie del vecchio e del nuovo mondo. I quadrumani e tutti i mammiferi superiori probabilmente sono derivati da un antico marsupiale, e questo, attraverso una lunga linea di forme diversificate, da alcuni esseri simili a anfibi, e questi a loro volta da animali simili a pesci.   Nella profonda oscurità del passato possiamo vedere che il primo progenitore di tutti i vertebrati deve essere stato un animale acquatico, provvisto di branchie, con i due sessi uniti nello stesso individuo, e con gli organi più importanti del corpo, quali il cervello e il cuore, sviluppati imperfettamente o non del tutto. Questo animale sembra che sia stato più simile alla larva dell'attuale ascidia marina, che a qualsiasi altra forma conosciuta.

Dopo essere giunti a questa conclusione sull'origine dell'uomo, l'alto livello delle nostre facoltà intellettuali e della disposizione morale è la maggiore difficoltà che si presenta. Ma chiunque ammetta il principio di evoluzione, deve rendersi conto che le facoltà mentali degli animali superiori, che sono dello stesso genere di quelle dell'uomo, anche se di grado inferiore, sono suscettibili di avanzamento. Così la differenza tra le facoltà mentali di una scimmia superiore e di un pesce è immensa, come quella tra le facoltà di una formica e di un acaro; tuttavia il loro sviluppo non presenta nessuna difficoltà particolare, in quanto nei nostri animali domestici le facoltà mentali sono sicuramente variabili, e le variazioni sono ereditarie. Nessuno dubita che esse siano di estrema importanza per animali allo stato di natura. Quindi le condizioni sono favorevoli al loro sviluppo attraverso la selezione naturale. La stessa conclusione può estendersi all'uomo; l'intelletto gli deve essere stato di grande utilità, anche in un periodo molto remoto, in quanto lo ha messo in grado di inventare e di usare il linguaggio, di fare utensili, armi, trappole, ecc. con cui, con l'aiuto delle sue abitudini sociali, fin da molto tempo è diventato il dominatore di tutte le creature viventi. Nello sviluppo dell'intelletto si deve esser compiuto un gran passo, non appena venne in uso la semi arte e il semi istinto del linguaggio, in quanto l'uso continuato del linguaggio deve aver reagito sul cervello e provocato un effetto ereditario, che a sua volta deve aver reagito sul miglioramento del linguaggio. [...] L'ampiezza del cervello dell'uomo relativamente al suo corpo, paragonata a quella degli animali inferiori, può essere attribuita soprattutto all'uso primitivo di qualche semplice forma di linguaggio, quella macchina meravigliosa che appone segni a tutti i tipi di oggetti e qualità, e suscita concatenazioni di pensiero che non sorgerebbero mai dalla semplice impressione dei sensi, o, se anche sorgessero, non potrebbero mai avere un seguito. Le facoltà intellettuali superiori dell'uomo, quali quelle di raziocinio, astrazione, autocoscienza, ecc. probabilmente derivano dal continuo miglioramento ed esercizio delle altre facoltà mentali. Lo sviluppo delle qualità morali è un problema più interessante. La base si trova negli istinti sociali, che includono sotto questo nome i vincoli familiari. Questi istinti sono assai complessi, e nel caso degli animali inferiori determinano tendenze particolari verso certe azioni definite; ma gli elementi più importanti sono l'amore e l'emozione distinta della simpatia. Gli animali cresciuti con istinti sociali traggono piacere dalla reciproca compagnia, si avvisano del pericolo, si difendono e aiutano l'un l'altro in vari modi. Questi istinti non si estendono a tutti gli individui della specie, ma solo a quelli della stessa comunità. Poiché sono assai utili per la specie, probabilmente sono stati acquisiti attraverso la selezione naturale.

 

C. Darwin, L'origine dell'uomo, in (a cura di) Antonio Somenzi, L'evoluzionismo, Loescher, Torino 1976