Comte, Sulle idee rivoluzionarie

Auguste Comte ritiene che le principali idee proposte e diffuse dai rivoluzionari siano soltanto stravaganze, che hanno favorito l’anarchia politica e sociale.

 

A. Comte, Corso di filosofia positiva

 

Ma le nazioni sufficientemente preparate dall’insieme dei loro precedenti, come soprattutto in Francia, per aver essenzialmente evitato la tappa ingannevole del protestantesimo, e nelle quali lo spirito umano ha potuto cosí, con un cambiamento piú netto e rapido, passare direttamente dallo stato pienamente cattolico allo stato francamente rivoluzionario, non potevano continuare a sottrarsi all’inevitabile anarchia intellettuale, inerente di necessità ad ogni esercizio prolungato del diritto assoluto di libero esame individuale. Solamente, senza essere certo meno antisociali le aberrazioni vi hanno per ciò stesso preso un carattere molto meno vago, che deve intralciare meno la riorganizzazione finale. Poiché queste divagazioni, il cui campo è d’altronde inesauribile, tendono ogni giorno a sparire sotto i colpi di una insufficiente discussione per esser tosto sostituite da nuove stravaganze, può essere utile conservar qui il ricordo di qualcuna delle principali, che ai miei occhi non sono le piú gravi e che scelgo soprattutto a causa della loro piú marcata attualità. Mi basti dunque enumerare successivamente, invocando la testimonianza di tutti gli osservatori ben informati, e senza annettere del resto alcuna importanza all’ordine di queste indicazioni: 1) la strana tesi economica di sopprimere l’uso delle monete e quindi di riportare cosí la società, in vista del progresso, ai tempi degli scambi diretti; 2) il progetto di distruggere i grandi capitali, centri principali della civiltà moderna, come se fossero immensi focolai di corruzione sociale; 3) l’idea di un massimo di salario giornaliero, pur fissato a un tasso molto modico che non potrebbe superare in alcun caso i benefici reali di una qualunque industria; 4) il principio, piú sovversivo ancora e nondimeno esposto ai nostri giorni molto dogmaticamente, di una rigorosa eguaglianza di retribuzione abituale fra tutti i lavori possibili; 5) infine, in una classe di nozioni politiche la cui piú grossolana evidenza sembrerebbe dover impedire ogni illusione fondamentale, i pericolosi sofismi dei nostri filantropi sull’abolizione assoluta della pena capitale, nel nome di una vana assimilazione metafisica dei piú indegni scellerati a semplici malati [...]

L’inevitabile risultato generale d’una simile epidemia cronica ha dovuto essere, per una evidente necessità, la graduale e ora quasi totale demolizione della morale pubblica la quale, essendo nella maggior parte degli uomini poco fondata sul sentimento diretto, ha soprattutto bisogno che le abitudini siano costantemente dirette dall’assenso uniforme delle volontà individuali a regole invariabili e comuni, in grado di fissare in ogni grave occasione la vera nozione del bene pubblico. La natura eminentemente complessa dei problemi sociali è tale che, anche senza alcuna intenzione sofistica, su quasi tutti i punti possono essere sostenuti in maniera estremamente plausibile il pro e il contro; non vi è infatti alcuna istituzione, per quanto indispensabile possa essere al fondo, che in realtà non presenti gravi e numerosi inconvenienti, gli uni parziali, gli altri passeggeri; e inversamente la piú stravagante utopia offre sempre, come si sa, qualche incontestabile vantaggio.

 

F. Tonon, Auguste Comte e il problema storico-politico nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1975, pagg. 165-166