CICERONE, decorum

 

Ciò che è decoroso è onesto e ciò che è onesto è decoroso; e la differenza che passa tra l'onestà e il decoro, è più facile a intendere che a spiegare. In verità, tutto ciò che ha il carattere del decoro, non appare se non quando lo precede l'onestà. Ecco perché, non solo in questa parte dell'onestà, della quale dobbiamo ora trattare, ma anche nelle tre precedenti si manifesta il decoro. Il sapiente uso della ragione e della parola, il meditare ogni azione, e in ogni cosa cercare e osservare la verità, e ad essa attenersi, è decoroso, mentre al contrario l'ingannarsi e l'errare, il cadere in fallo e il lasciarsi raggirare è altrettanto indecoroso quanto l'uscir di strada e uscire di senno; e così ogni azione giusta è decorosa, e ogni azione ingiusta, com'é disonesta, così è anche indecorosa. Allo stesso modo si comporta la fortezza: tutte le azioni generosi e magnanime appaiono degne dell'uomo e decorose: le azioni contrarie, invece, come sono disoneste, così offendono il decoro.
(De officiis, 94)

126. Ora, questo decoro di cui parliamo e che si manifesta in ogni azione e in ogni parola, e perfino nel muoversi e nell'atteggiamento della persona, è riposto in tre cose, difficili a spiegare bene, ma tali che basta darne un'idea: nella bellezza, nell'ordine e nell'eleganza adatta all'azione. E in queste tre cose è compreso anche il segreto di piacere a coloro coi quali o presso i quali viviamo. Ebbene, anche di queste cose converrà discorrere brevemente. Prima di tutto è evidente che la natura pose grande cura nella conformazione del nostro corpo: mise in mostra il volto e tutte quelle parti che sono decorose a vedersi, mentre celò e nascose quelle che, destinate alle necessità naturali, avrebbero avuto un aspetto brutto e vergognoso.
127. Il pudore dell'uomo imitò questa così diligente costruzione della natura. Quelle parti che la natura nascose, tutti gli uomini sani di mente le sottraggono alla vista, cercando di soddisfare le necessità naturali nel modo più occulto possibile; e quanto a quelle parti del corpo che servono a certe necessarie funzioni, noi non chiamiamo col loro nome né quelle parti né le funzioni loro: in generale, ciò che non è brutto a farsi, purché si faccia in segreto, è osceno a dirsi. Pertanto, se il fare quelle cose apertamente è indizio di spudoratezza, non è certo indizio di pudore il parlarne senza ritegno.
128. E in verità non bisogna dar retta ai Cinici, o a quegli Stoici che furono quasi Cinici, i quali ci riprendono e ci deridono perché giudichiamo vergognose solo a nominarle certe cose che in realtà non sono vergognose, mentre chiamiamo coi loro nomi altre cose che in realtà sono veramente spregevoli. Per esempio, il rubare, il frodare, il falsificare, sono cose realmente spregevoli, ma si possono nominare senza dar nell'osceno; invece il dare alla luce figlioli, cosa in sé onesta, è osceno chiamarla col suo nome; e parecchi altri argomenti adducono gli stessi filosofi in appoggio a tale opinione contro il così detto pregiudizio del pudore. No, noi dobbiamo prendere per guida la natura ed evitare tutto ciò che può offendere gli orecchi: lo stare in piedi e il camminare, il modo di star a tavola, il volto, lo sguardo, il gesto conservino il più dignitoso decoro.
129. In queste cose dobbiamo soprattutto guardarci da due difetti: da una effeminata mollezza e da una scontrosa villania. E invero non si deve ammettere che queste norme, obbligatorie per gl'istrioni e per gli oratori, siano indifferenti per noi. Certo, il costume degli attori comporta, per antica rigidezza morale, un così delicato pudore che nessuno osa presentarsi su la scena senza mutandine per timore che, se per qualche accidente certe parti del corpo si scoprono, la loro vista non offenda il decoro. E così, secondo il nostro costume, i figlioli grandi non fanno il bagno insieme col padre, né il genero col suocero. Bisogna, dunque, osservare la pudicizia anche in queste cose, tanto più che la natura stessa ne è maestra e guida.

XXXVI. DUE TIPI DI BELLEZZA: MASCHILE E FEMMINILE
130. Vi sono due specie di bellezza: l'una ha in sé la grazia, l'altra la dignità. Dobbiamo perciò apprezzare la grazia propria della donna e la dignità propria dell'uomo. Si tenga dunque lontano dalla nostra persona ogni ornamento non degno dell'uomo; si rifugga da un simile difetto anche nel gesto e nel moto. Invero, come certe movenze da ginnasti sono spesso alquanto affettate, così alcuni gesti di attori peccano di leziosaggine; nell'uno e nell'altro caso si lodano invece la semplicità e la naturalezza. La nobiltà dell'aspetto si manterrà con la freschezza del colorito, e questo con gli esercizi del corpo. Si ami inoltre la pulizia, non affettata né ricercata, ma quanto basta per schivare la rustica e incivile trascuratezza. La stessa cura dobbiamo avere anche nel vestire; in questo come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore. 131. Anche nel camminare ci vuole misura: quando si è in cammino, non si tenga un passo troppo lento e molle, come chi va in processione, e quando si ha fretta, non si prenda la corsa, perché il respiro diventa affannoso, il volto si altera e la bocca si storce: segni evidenti che non c'è in noi fermezza di carattere. Ma assai più ancora dobbiamo studiarci che non discordino dalla natura i moti dell'animo; il che ci verrà fatto, se ci guarderemo dal cadere in turbamenti e smarrimenti, e se terremo l'animo sempre vigile e attento a conservare il decoro.

(De officiis, 126-131)