D’Holbach, Oppressione politica ed educazione

Secondo d’Holbach il rimedio per il male di cui gli uomini soffrono sta in un sistema educativo che lo riporti in grembo alla natura. Essa farà amare la virtú senza attendersi ricompense nei cieli. Inoltre è necessario cambiare le strutture politiche, che in nessuna parte sono conformi ai dettami della natura. La conclusione di d’Holbach è che “l’uomo è malvagio perché lo si rende tale”.

 

P. H. d’Holbach, Sistema della natura, Tomo I, cap. XIV 

 

Non è dunque affatto in un mondo ideale, esistente solo nell’immaginazione degli uomini, che bisogna andare ad attingere i motivi per farli agire in questo mondo; è in questo mondo visibile che troveremo i veri moventi per allontanarli dal crimine ed esercitarli nella virtú. È nella natura, nell’esperienza, nella verità che bisogna cercare i rimedi ai mali della nostra specie e moventi idonei a dare al cuore umano le inclinazioni veramente utili per il bene delle società.

Se si è fatto attenzione a ciò che si è detto nel corso di quest’opera, si vedrà che è soprattutto l’educazione a poter fornire i veri mezzi per rimediare ai nostri traviamenti. È l’educazione che deve gettare i semi nei nostri cuori, coltivare i germi che vi avrà gettato, mettere a profitto le disposizioni e le facoltà che dipendono dalle differenti organizzazioni; nutrire il fuoco dell’immaginazione, accenderlo per certi oggetti, soffocarlo e spegnerlo per altri; da ultimo, far contrarre alle anime abitudini vantaggiose per l’individuo e per la società. Educati in questa maniera, gli uomini non avranno alcun bisogno delle ricompense celesti per conoscere il prezzo della virtú; non avranno bisogno di vedere voragini infiammate sotto i loro piedi per sentire orrore per il crimine; la natura, senza queste favole, insegnerà loro molto meglio ciò che devono a se stessi e la legge mostrerà loro ciò che devono al corpo di cui sono membri. È cosí che l’educazione formerà cittadini allo Stato; i detentori del potere distingueranno quelli che l’educazione avrà loro formato in ragione dei vantaggi che procureranno alla patria; faranno vedere ai cittadini che le promesse, fatte loro dall’educazione e dalla morale, non sono vane e che, in uno stato ben costituito, la virtú e le doti sono il sentiero della felicità e l’inutilità o il crimine conducono all’infelicità e al disprezzo.

Un governo giusto, illuminato, virtuoso, vigile, che si proporrà in buona fede il bene pubblico, non ha bisogno di favole o di menzogne per governare sudditi ragionevoli; si vergognerà di servirsi di illusioni per ingannare cittadini che conoscono i loro doveri, soggetti, per interesse, a leggi eque, capaci di sentire il bene che si vuol loro fare; sa che sugli uomini bennati la stima pubblica ha piú forza del terrore delle leggi; sa che l’abitudine basta ad ispirare orrore, anche per i crimini nascosti che sfuggono agli occhi della società; sa che i castighi visibili di questo mondo ad uomini rozzi impongono rispetto molto piú di quelli di un avvenire incerto e lontano; da ultimo, sa che i beni sensibili che la potenza sovrana è in potere di distribuire, toccano l’immaginazione dei mortali molto piú di quelle ricompense vaghe che si promettono loro nell’avvenire.

Gli uomini sono dappertutto cosí malvagi, cosí corrotti, cosí ribelli alla ragione, unicamente perché in nessuna parte sono governati conformemente alla loro natura né istruiti intorno alle sue leggi necessarie. Dappertutto, li si pasce di inutili chimere; dappertutto, sono assoggettati a padroni che trascurano l’istruzione dei popoli o non cercano che di ingannarli. Non vediamo sulla faccia di questo globo che sovrani ingiusti, incapaci, rammolliti dal lusso, corrotti dall’adulazione, depravati dalla licenza e dall’immunità, sprovvisti di doti, di costumi, di virtú. Indifferenti ai loro doveri, che spesso ignorano, non sono affatto preoccupati della felicità dei loro popoli; la loro attenzione è assorbita da guerre inutili o dal desiderio di trovare in ogni istante mezzi per soddisfare la loro insaziabile avidità; il loro spirito non si rivolge affatto verso gli oggetti piú importanti alla felicità dei loro Stati. Interessati a conservare i pregiudizi ricevuti, non si curano di pensare ai mezzi per guarirli; da ultimo, privi essi stessi dei lumi che fanno conoscere all’uomo che il suo interesse è di essere buono, giusto, virtuoso, ricompensano, per lo piú, unicamente i vizi che sono loro utili e puniscono le virtú che ne contrariano le passioni imprudenti. Sotto tali padroni, può sorprendere che le società siano rovinate da uomini perversi che opprimono a gara i deboli che vorrebbero imitarli? Lo stato di società è uno stato di guerra del sovrano contro tutti e di ciascuno dei membri gli uni contro gli altri. L’uomo è malvagio non perché è nato malvagio, ma perché lo si rende tale; i grandi, i potenti opprimono impunemente i poveri, gli infelici; e questi, a rischio della loro vita, cercano a loro volta di ricambiare tutto il male che ne hanno ricevuto. Questi attaccano apertamente, o in segreto, una patria matrigna che dà tutto a taluni dei suoi figli e toglie tutto agli altri; la puniscono della sua parzialità e le mostrano che gli incentivi presi in prestito dall’altra vita sono impotenti contro le passioni ed i furori che un’amministrazione corrotta ha fatto nascere in questa, e che il terrore dei supplizi di questo mondo è, esso stesso, troppo debole contro la necessità, contro abitudini criminali, contro un’organizzazione pericolosa che l’educazione non ha affatto corretto.

In ogni paese, la morale dei popoli è totalmente trascurata ed il governo non si è curato di altro che di renderli timidi ed infelici. L’uomo è quasi dappertutto schiavo, occorre dunque che sia vile, interessato, falso, senza onore, in una parola, che abbia i vizi del suo Stato. Dappertutto lo si inganna, lo si mantiene nell’ignoranza, gli si impedisce di coltivare la sua ragione; occorre dunque che sia dappertutto stupido, irragionevole e malvagio; dappertutto vede che il crimine ed il vizio sono onorati: conclude che il vizio è un bene e che la virtú non può essere che un sacrificio di se stesso. Dappertutto è infelice, cosí dappertutto reca danno ai suoi simili per procurarsi pena; invano, per frenarlo, gli si mostra il cielo; i suoi sguardi subito ricadono sulla terra; su questa vuole essere felice ad ogni costo e le leggi, che non hanno provveduto né alla sua istruzione né ai suoi costumi né alla sua felicità, lo minacciano inutilmente e lo puniscono della negligenza ingiusta dei legislatori. Se la politica, piú illuminata essa stessa, si occupasse seriamente dell’istruzione e della felicità del popolo, se le leggi fossero piú eque, se ogni società, meno parziale, desse a ciascuno dei suoi membri le cure, l’educazione e gli aiuti che è in diritto di esigere, se i governi, meno avidi e piú vigili, si proponessero di rendere i loro sudditi piú felici, non si vedrebbe affatto un cosí grande numero di malfattori, di ladri, di assassini, infestare la società, non si sarebbe affatto costretti a togliere loro la vita per punirli di una malvagità che è dovuta, per lo piú, unicamente ai difetti delle loro istituzioni, non sarebbe affatto necessario cercare in un’altra vita chimere sempre costrette ad urtare contro le loro passioni ed i loro bisogni reali. In una parola, se il popolo fosse piú istruito e piú felice, la politica non si troverebbe affatto nella necessità di ingannarlo per frenarlo né di distruggere tanti disgraziati per essersi procurati il necessario a spese del superfluo dei loro concittadini crudeli.

P. H. d’Holbach, Sistema della natura, UTET, Torino, 1978, pagg. 308-311