De Biran, Percezione e sforzo

In polemica con Condillac e gli ideologi, François-Pierre Maine de Biran (1766-1824) propone una teoria della conoscenza che mette come fondamento lo “sforzo”, sia volontario che involontario, senza il quale “non c’è conoscenza né percezione di alcun genere”.

 

F.-P. Maine de Biran, Influenza dell’abitudine sulla facoltà di pensare

 

Lo sforzo implica necessariamente la percezione di un rapporto fra l’essere che muove o che vuole muovere e un ostacolo qualsiasi che s’oppone al suo movimento; senza un soggetto o una volontà che determina il movimento, senza un termine che resiste, non c’è affatto sforzo, e senza sforzo non c’è conoscenza, né percezione d’alcun genere.

Se l’individuo non volesse o non fosse determinato a cominciare il movimento, non conoscerebbe nulla. Se nulla gli resistesse, ugualmente non conoscerebbe nulla, non avrebbe nemmeno il sospetto di alcuna esistenza, neppure l’idea della sua propria.

Una volta cominciato il movimento, se si fermasse di fronte alla prima resistenza (per esempio, se le sue dita, quando un corpo è posato sulla sua mano, s’arrestassero, rinchiudendosi, al piú lieve contatto), l’individuo avrebbe semplicemente coscienza dell’esistenza di un ostacolo; ma non saprebbe affatto se questo ostacolo è assolutamente impenetrabile, solido, duro o molle, ecc. Tali proprietà della materia non possono rivelarglisi, se non in quanto egli vuole continuare il movimento e l’intensità del suo sforzo ne è appunto la misura; s’egli preme sull’ostacolo con tutte le sue forze senza poter richiudere la mano, possiede un termine fisso che gli fa conoscere l’impenetrabilità, la durezza; se l’ostacolo cede piú o meno facilmente, egli ha la misura del suo diverso grado di mollezza, di mobilità, ecc.

L’individuo non percepisce dunque il primo rapporto d’esistenza se non in quanto comincia a muovere, e gli altri rapporti successivi se non in quanto vuole continuare il movimento. Ma se supponiamo che la resistenza diminuisca progressivamente fino a divenire insensibile, il termine ultimo dello sforzo decrescente sarà il limite, e per cosí dire lo svanimento di ogni percezione, di ogni conoscenza.

Ciò che abbiamo appena detto del movimento forzato, s’applica allo stesso modo al movimento libero; la percezione di quest’ultimo si trova ugualmente nello sforzo, che si gradua da sé in proporzione alla diversa intensità della resistenza che i muscoli oppongono alla volontà; a mano a mano che l’inerzia muscolare diminuisce, lo sforzo o l’impressione stessa del movimento s’indebolisce e finisce per sparire, il movimento è allora eseguito senza coscienza, senza volontà.

È dunque chiaro che l’impressione dello sforzo è suscettibile d’una quantità di sfumature, dal suo massimo che corrisponde a un ostacolo invincibile, impenetrabile, fino all’ultimo grado della resistenza di un muscolo; in secondo luogo, che fino a quando sussiste tale impressione, si ha sempre un rapporto percepito fra l’io che vuole e l’ostacolo che resiste; questa è l’origine e il fondamento primo di ogni rapporto; in terzo luogo, che se l’ostacolo è fisso, lo sforzo dipende dalla volontà, ma che se la resistenza diminuisce fino a svanire, lo sforzo e la volontà svaniscono con essa.

Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 341-342