Del Noce, La società del benessere è intrinsecamante totalitaria

La società del benessere è “intrinsecamente totalitaria” perché subordina totalmente la cultura alla politica. Inoltre essa vuole fare a meno della filosofia e della verità. Del Noce osserva che è facile, quando si hanno potenti strumenti di controllo, rispettare le forme della democrazia.

 

A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione

 

Ma passiamo ai caratteri morali della società del benessere, intesa nel primo senso. Per semplificare l’argomento, partirò da alcune perfette osservazioni di Felice Balbo: “...quando lo scopo della società non è piú quello della ‘vita buona’, ma quello del ‘benessere’ ossia del massimo possibile soddisfacimento dei gusti e degli appetiti – piú elementari e necessari, o piú raffinati e alternativi non importa –, la filosofia diviene effettivamente superflua... Da quando i termini usuali con cui i filosofi parlano del loro lavoro o giudicano le filosofie non sono piú, in primo luogo, ‘vero’ e ‘falso’ ma ‘importante’ e ‘insignificante’, originale e banale, eretico e dogmatico, sincero e retorico, progressivo e reazionario, ecc., si può dire che la fiducia nel filosofare come tale, e non solo in questa o quella filosofia, è scossa alle radici” (1)

Se le leggiamo attentamente, ne ricaviamo tre verità essenziali: 1) che quando si fa del benessere il fine della società, la filosofia come tale dev’essere abolita. Quel che resta è la scienza di cui la filosofia, al piú, studierà la metodologia.

A partire da ciò riprendono nuova vita tutti i peggiori fondi del tardo ottocento, il mito della Scienza e quello dell’Evoluzione. Infatti la Scienza o, per meglio dire, la scienza moderna, può studiare l’uomo soltanto come animale, di specie e di grado superiore. Questo è il suo limite, non la sua colpa, ma quando la filosofia abdica in favore della scienza e se ne fa l’ancella, la differenza qualitativa fra l’uomo e l’animale va perduta.

Per l’elevazione della scienza a tipo assoluto di conoscenza, viene meno l’interiorità (la presente perdita del pudore non ne è che l’aspetto sensibile; che posto può esserci ancora per il pudore se la scienza oggettiva tutto?) e l’assolutizzazione dello scientismo deve anche significare la fine assoluta delle religioni (teologia della “morte di Dio”, ecc.). È per questa riduzione dell’uomo ad animale che si pensa, una volta soddisfatti nella misura piú larga i bisogni sensibili dell’uomo, tutti gli istinti aggressivi verranno a cessare: l’utopia tipica della società del benessere.

2) Quanto sia oggi diffusa, soprattutto presso gli intellettuali, la malafede, si è spesso osservato. Ma non si è segnalata abbastanza la connessione di ciò con lo sviluppo della società del benessere. Di fatto: una società che abolisca i giudizi in termini di vero e di falso, non può non autorizzare il diritto alla menzogna, alla malafede; che saranno riconosciute come lecite quando porteranno chi le professa a un risultato positivo. Giudizio che è poi una variante della celebre frase di Nietzsche sulla storia della morale, come storia della giustificazione dei delitti che hanno avuto un esito felice.

3) L’opposizione alla società del benessere non può essere condotta da un punto di vista reazionario, e ciò semplicemente perché l’opposizione di progressivo e di reazionario è interna al suo linguaggio. Reazionario è chi si oppone al progressivo, nella convinzione, in fondo, di aver già perduto. Criticare realmente la società del benessere, è andar oltre l’opposizione del progressivo e del reazionario.

Due altre osservazioni sono da aggiungere, a riguardo del rapporto tra marxismo e società del benessere e del carattere di novità e di antitradizione di questa. La filosofia implicita nella società del benessere, è lo sviluppo radicale di un momento del marxismo, quello per cui si presenta come “relativismo assoluto” (conseguente al materialismo storico); sviluppo cosí rigoroso da giungere a eliminare l’altro, quello per cui si presenta come pensiero dialettico e dottrina della rivoluzione. In breve segna la vittoria del positivismo e sociologismo sul marxismo; di un positivismo che ha deposto gli aspetti romantici che erano propri delle sue forme ottocentesche.

Ma con ciò ha raggiunto una forma di empietà maggiore del marxismo. Perché, pur essendo rigorosamente ateo, pur negando ogni rivelazione e ogni soprannaturale, il marxismo, nella sua versione comunista è infatti una religione, l’Avvenire sostituendo l’Eterno e la Totalità l’Assoluto e la Città di Dio. Invece la società del benessere è l’unica nella storia del mondo che non abbia origine da una religione, ma sorga essenzialmente contro una religione, anche se, per paradosso, questa religione è la marxista (ma successivamente, la critica si estende a ogni altra forma di religione). Non a caso il punto di vista del suo intellettuale si riassume nelle due seguenti affermazioni: accettazione della morte di Dio, e posizione critica rispetto al marxismo in quanto ancora, a suo modo, è religioso. Da questa novità deriva il suo antitradizionalismo; la sua prospettiva storica, è, in sostanza, la seguente: nella storia c’è stata una cesura definitiva rappresentata dalla seconda guerra mondiale; non sono stati vinti soltanto fascismo e nazismo, ma l’intera vecchia tradizione europea; e fascismo e nazismo devono essere interpretati come fenomeni conseguenti alla paura del progresso storico, o come si suol dire oggi, della trascendenza, usando questo termine in un significato intramondano. In conseguenza di tale giudizio, chi si richiama alla tradizione è sempre, quale che sia la sua consapevolezza, un “reazionario” o un “fascista” (termini che vengono stoltamente identificati).

Di piú, la società del benessere è intrinsecamente totalitaria nel senso che la cultura vi è completamente subordinata alla politica. Ricavo da un recente notevolissimo scritto di Umberto Segre: “a queste condizioni però, il patto Stato-grandi imprese, assume come unica regola l’efficienza e la crescente produttività. Tutto dovrà essergli sacrificato. Galbraith ha l’onestà di dichiararlo: ‘la tecnologia è sempre bene; l’incremento economico è sempre bene; le grandi aziende hanno come norma interna un incremento indeterminato; il consumo dei beni che esse producono, costituisce l’optimum della felicità: e nulla deve interferire nei confronti che accordiamo alla tecnologia e all’incremento economico, e all’aumento dei consumi’. Una società cosí configurata non ammette piú autonomie di sovrastrutture culturali, religiose e politiche. [...] La cultura è per definizione merce di consumo, o, quando è scientificamente ricercata e apprezzata, è a sua volta strumento per l’ulteriore incremento di efficienza e di produzione” (2). Qualcuno osserverà che tale società rispetta le forme democratiche; ma è ben debole argomento, perché non c’è potere che non le rispetti, quando dispone di strumenti di controllo e di oppressione reale che abbiano una particolare efficacia.

 

(1) Balbo, Opere, Boringhieri, Torino, 1963, pp. 366 e 364.

(2) Nella rivista Ideologie, 1968, p. 29.

 

A. Del Noce,  L’epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano, 1970, vol. I, pagg. 25-28