Descartes, La teologia razionale

Dopo aver esposto le regole del nuovo metodo, fondato sull'uso corretto della ragione, Descartes deve fare i conti con una idea ingombrante che occupa i suoi pensieri: l'idea della perfezione. Il dubbio, che lo ha portato alla certezza di sé come res cogitans, ha anche messo in evidenza tutti i limiti della ragione umana, tutta la sua imperfezione. Soltanto l'esistenza di un Essere perfetto può essere la causa della presenza dell'idea della perfezione nella mente dell'uomo. A queste affermazioni di Descartes replica Gassendi con le sue celebri obiezioni.

 

a) L'imperfezione dell'uomo è prova della perfezione di Dio (R. Descartes, Discorso sul metodo, IV)

 

Dei pensieri riguardanti le molte e varie cose fuori di me, come il cielo, la terra, la luce, il calore e mille altre, non mi preoccupavo molto di sapere donde fossero venuti, perché non notando in essi nulla che sembrasse renderli superiori a me, potevo ritenere che, se veri, dipendessero da me in quanto la mia natura aveva qualche perfezione; se falsi, mi venissero dal nulla, ossia fossero in me per quel che in me era di manchevole. Ma lo stesso non poteva essere per l'idea di un essere piú perfetto del mio, poiché derivarla dal nulla era manifestamente impossibile; e, d'altra parte, poiché il voler far dipendere il piú perfetto dal meno perfetto non v'è minore difficoltà che dal nulla ricavar qualcosa, io non la potevo derivar neppure da me stesso. Essa doveva, dunque, esser stata messa in me da una natura realmente piú perfetta di me, e tale, anzi che avesse in sé tutte le perfezioni di cui io potevo avere qualche idea, cioè, per dirla con una sola parola, che fosse Dio.

 

b) In Dio l'essenza è inseparabile dall'esistenza (R. Descartes, Meditazioni filosofiche, Quinta meditazione)

 

Ora, se dal solo fatto che posso trarre dal mio pensiero l'idea di qualcosa, segue che tutto ciò che io riconosco chiaramente e distintamente appartenere a questa cosa le appartiene in effetti, non posso io trarre da ciò un argomento e una prova dimostrativa dell'esistenza di Dio? [...]. E pertanto, anche se tutto ciò che ho concluso nelle meditazioni precedenti non risultasse vero, l'esistenza di Dio deve mantenere nel mio spirito lo stesso grado di certezza che ho attribuito fin qui a tutte le verità matematiche che non riguardano se non i numeri e le figure: anche se ciò non appaia a prima vista interamente manifesto, ma sembri avere una qualche apparenza di sofisma. Infatti, essendomi abituato in tutte le altre cose a fare distinzione fra l'esistenza e l'essenza, io mi convinco facilmente che l'esistenza può essere separata dall'essenza di Dio, e cosí si può concepire Dio come non esistente attualmente. Ma, tuttavia, quando vi penso con maggiore attenzione, trovo distintamente che l'esistenza non può essere separata dall'essenza di Dio piú di quel che dall'essenza di un triangolo rettilineo l'equivalenza dei suoi tre angoli a due retti, oppure dall'idea di una montagna l'idea d'una vallata; di modo che non vi è minor repugnanza a concepire un Dio (cioè un essere sovranamente perfetto), al quale manchi l'esistenza (cioè al quale manchi qualche perfezione), che a concepire una montagna che non abbia vallata.

Ma benché, in effetti, io non possa concepire un Dio senza esistenza piú che una montagna senza vallata, tuttavia, come dal solo fatto che concepisco una montagna con una vallata non segue che esista qualche montagna nel mondo, cosí anche, sebbene concepisca Dio con l'esistenza, sembra che non ne segua, per questo, che Dio esista: perché il mio pensiero non impone nessuna necessità alle cose; e come non dipende se non da me l'immaginare un cavallo alato, sebbene non ce ne sia nessuno che abbia ali, cosí potrei forse attribuire l'esistenza a Dio, sebbene non ci sia nessun Dio che esista. Eppure, viceversa, proprio qui un sofisma è nascosto sotto l'apparenza di questa obiezione: perché dal fatto che io non possa concepire una montagna senza vallata, non segue che vi siano al mondo montagne o vallate, ma solamente che la montagna e la vallata, sia che esistano, sia che non esistano, non si possono in alcun modo separare l'una dall'altra; mentre dal solo fatto che io non posso concepire senza esistenza, segue che l'esistenza è inseparabile da lui, e, pertanto, che egli esiste veramente: e non già perché il mio pensiero possa fare che la cosa vada cosí, né perché esso imponga alle cose alcuna necessità; ma, al contrario, perché la necessità della cosa stessa, cioè dell'esistenza di Dio, determina il mio pensiero a concepirlo in tal maniera. Poiché non è in mio arbitrio concepire un Dio senza esistenza (cioè un essere sovranamente perfetto senza una sovrana perfezione), come è in mio arbitrio immaginare un cavallo senza ali o con le ali.

 

(R. Descartes, Opere, Laterza, Bari, 1967, vol. I, pagg. 152; 243-244)