Dewey, Che cosa deve essere la filosofia

Per l’americano John Dewey la filosofia deve porsi il compito di analizzare criticamente tutto l’apparato di pregiudizi che stanno alla base della nostra conoscenza, affinché l’esperienza vitale possa emergere nella sua genuinità.

 

J. Dewey, Experience and Nature, [Esperienza e natura], Open Court Publishing Co., Chicago-London 1925; trad. it. di P. Bairati, Mursia, Milano, 1973, pagg. 43-47

 

C’è uno speciale servizio che può rendere la filosofia. Perseguita con metodo empirico essa non sarà uno studio della filosofia, ma uno studio, per mezzo della filosofia, dell’esperienza vitale. Ma questa esperienza è satura e carica dei prodotti della riflessione delle passate generazioni e delle età trascorse. È piena di interpretazioni, classificazioni dovute al pensiero sofisticato, che si sono ormai incorporate in ciò che sembra essere materiale empirico allo stato nascente, primitivo. Ci vorrebbe piú saggezza di quella posseduta dal piú saggio degli eruditi di storia per riportare tutti questi prodotti rifiniti che furono accolti e assorbiti dall’esperienza alle loro fonti originarie. Se per un momento ci è consentito chiamare pregiudizi questi materiali (anche se sono veri, fintantoché è sconosciuta la loro fonte e il loro fondamento), la filosofia allora è una critica dei pregiudizi. Questi risultati, incorporati nella passata riflessione e fusi con il materiale autentico dell’esperienza di prima mano, possono diventare strumenti di arricchimento una volta che vengano scoperti e fatti oggetto di riflessione. Se non vengono scoperti i loro fondamenti, offuscano e distorcono. Quando vengono scoperti i loro fondamenti e quando vengono rifiutati, ne consegue chiarificazione ed emancipazione; e uno dei principali scopi della filosofia è realizzare questo compito.

Una filosofia perseguita con metodo empirico è in ogni caso una specie di spoliazione intellettuale. Non possiamo continuare a spogliarci degli abiti intellettuali che ci mettiamo addosso e che portiamo quando assimiliamo la cultura del nostro tempo e del nostro ambiente. Ma una intelligente opera di promozione della cultura richiede che ci sbarazziamo di alcuni di essi che li analizziamo criticamente per vedere di che cosa sono fatti e che cosa comporti per noi l’indossarli. Non siamo in grado di recuperare completamente la primitiva ingenuità. Ma è tuttavia possibile raggiungere una coltivata ingenuità di occhio, orecchio e pensiero, che può essere conseguita attraverso la disciplina del pensiero rigoroso. [...]

Non posso fare a meno di concludere senza fare riferimento al piú vasto valore liberale e umano della filosofia, quando venga perseguita con metodo empirico. Le piú serie accuse che si possono muovere alle filosofie non-empiriche è che esse hanno gettato una cappa di oscurità sulle cose dell’esperienza ordinaria. Non si sono accontentate di mettervi ordine. Hanno anzi gettato su di esse diffuso discredito. Gettando disprezzo sulle cose dell’esperienza quotidiana, dell’azione, della vita emotiva e dei rapporti sociali, hanno fatto qualcosa di peggio che non riuscire a dare quella direzione intelligente di cui queste cose hanno tanto bisogno. Non sarebbe stato importante se la filosofia fosse stata riservata a pochi pensatori come lusso esclusivo. Il fatto importante è che le filosofie hanno negato che l’esperienza comune sia capace di sviluppare dal proprio interno metodi che garantiscano direzione per se stessa e che creino modelli intrinsecamente validi di giudizio e di valore. Nessuno sa come molti dei mali e difetti che vengono indicati come ragioni di distacco dall’esperienza siano essi stessi dovuti al discredito in cui viene gettata l’esperienza da quelle filosofie cosí stranamente impegnate nella riflessione. Allo sciupío del tempo e dell’energia, – con la conseguente disillusione per la vita che accompagna ogni deviazione dall’esperienza concreta, deve essere aggiunta la consapevolezza, tragicamente mancata, del valore che la ricerca intelligente rivelerebbe e farebbe maturare all’interno dell’esperienza ordinaria. Non sono in grado di calcolare quanto del corrente cinismo, indifferenza e pessimismo sia dovuto a queste cause e all’abbandono della vita dell’intelligenza che esse hanno comportato. In molti ambienti è diventato un segno di poca sofisticazione immaginare che la vita sia o possa essere una sorgente di bene e di felicità. Le filosofie non meno che le religioni possono essere investite della responsabilità di aver reso possibili questi fenomeni. Il filosofo trascendentale forse è piú responsabile del sensualista e del materialista dichiarato di oscurare le potenzialità di gioia e di autoregolazione che l’esperienza quotidiana ha in sé. Se ciò che è stato scritto in queste pagine non avrà altro esito che quello di creare e di promuovere il rispetto per la concreta esperienza umana e per le sue potenzialità, sarò soddisfatto.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. I, pagg. 679-680