Diderot, La funzione pratica della filosofia

Nel 1750 comincia a circolare il Prospectus, cioè il progetto e piano dell’Encyclopédie, scritto da Denis Diderot. In esso Diderot riconosce il debito degli enciclopedisti nei confronti della Cyclopedia di Chambers, ma che al tempo stesso “è tutto da rifare” per quanto riguarda le “arti meccanicheÈ: “Chambers ha letto libri, ma non ha mai visto artigiani; e tuttavia molte cose si possono imparare soltanto negli opifici”. L’analisi delle attività pratiche degli artigiani in quanto fonte di conoscenza è rilevante per la filosofia; e implica che la filosofia, a sua volta, abbia una rilevanza pratica. A illustrare questo principio sono dedicati alcuni pensieri contenuti nel libro De l’interprétation de la nature, pubblicato da Diderot nel 1753, contemporaneamente all’uscita del terzo volume dell’Encyclopédie.

 

a) A scuola dagli artigiani (D. Diderot, Enciclopedia, Prospectus)

 

Ci siamo rivolti ai piú abili [artigiani] di Parigi e del regno. Ci siamo presi la briga di andare nei loro opifici, interrogarli, scrivere sotto loro dettatura, sviluppare i loro pensieri, trovare termini adatti ai loro mestieri, tracciare le relative tavole e definirle, parlare con coloro dai quali avevamo avuto memorie scritte, e (precauzione quasi indispensabile) rettificare in lunghi e ripetuti colloqui con alcuni ciò che altri avevano spiegato insufficientemente, oscuramente, talvolta non fedelmente. [...] é stato necessario procurarsi piú volte le macchine, costruirle, por mano all’opera, diventare per cosí dire apprendisti, eseguire noi stessi pessimi lavori per insegnare agli altri a farne di buoni. Si sono mandati disegnatori negli opifici, si sono fatti schizzi di macchine e strumenti.

 

(La filosofia dell’Enciclopedia, Laterza, Bari, 1966, pagg. 152-154)

 

b) A che cosa serve la filosofia (D. Diderot, Interpretazione della natura, XVII-XIX, XXI)

 

XVII. Sono forse mancati all’Universo gli uomini di genio? Niente affatto. La loro meditazione e il loro studio sono stati forse insufficienti? Ancor meno. La storia delle scienze brulica di nomi illustri; la superficie della Terra è ricoperta dei monumenti dei nostri lavori. Perché dunque possediamo cosí poche conoscenze certe? Per quale fatalità le scienze hanno progredito cosí scarsamente? Siamo forse destinati per sempre a non essere altro che fanciulli? Ho già annunciato la risposta a queste domande. Le scienze astratte hanno occupato troppo a lungo e con troppo poco profitto gli spiriti migliori; o non si è studiato ciò che importava sapere, oppure gli studi sono stati condotti senza capacità di scelta, senza idee e senza metodo; le parole si sono moltiplicate all’infinito e la conoscenza delle cose è rimasta indietro.

XVIII. Il vero modo di filosofare sarebbe stato e sarebbe quello di applicare l’intelletto all’intelletto; l’intelletto e l’esperienza ai sensi, i sensi alla natura; la natura all’esame degli strumenti; gli strumenti alla ricerca e al perfezionamento delle arti, che si offrirebbero al popolo per insegnargli a rispettare la filosofia.

XIX. Vi è solo un mezzo per rendere la filosofia veramente raccomandabile agli occhi del volgo: mostrargliela unita all’utilità. Il volgo chiede sempre: a che cosa serve? E non si deve mai porsi in una situazione che costringa a rispondergli: a nulla. Esso non sa che ciò che illumina il filosofo e ciò che serve al volgo sono due cose molto diverse, perché l’intelletto del filosofo è spesso illuminato da ciò che nuoce, e oscurato da ciò che serve.

XXI. Raccogliere e collegare i fatti sono due cose molto faticose; i filosofi se le sono quindi divise fra loro. Gli uni trascorrono la vita a radunare i materiali come manovali utili e laboriosi, gli altri, orgogliosi architetti, si affrettano ad adoperarli. Ma il tempo, fino ad oggi, ha abbattuto quasi tutti gli edifici della filosofia razionale. Il manovale polveroso reca prima o poi, dai sotterranei dove scava alla cieca, il pezzo fatale di questo edificio costruito con la pura forza della mente; esso crolla, e restano solo materiali ammucchiati alla rinfusa, fino a quando un altro genio temerario intraprende una nuova combinazione. Felice quel filosofo sistematico al quale la natura avrà dato, come un tempo a Epicuro, a Lucrezio, a Aristotele, a Platone, una forte immaginazione, una grande eloquenza, l’arte di presentare le proprie idee mediante immagini sorprendenti e sublimi! L’edificio da lui costruito potrà cadere un giorno; ma la sua statua resterà in piedi, in mezzo alle rovine; la pietra che si stacca dalla montagna non l’abbatterà, perché i suoi piedi non sono d’argilla.

 

(D. Diderot, Opere filosofiche, Feltrinelli, Milano, 1967, pagg. 120-121)

 

c) Invito agli artigiani (D. Diderot, Enciclopedia, voce “Arte”)

 

Invitiamo gli artigiani a valersi del consiglio dei dotti e a far sí che le loro [degli artigiani] scoperte non scompaiano con loro. Sappiano che non rivelando un segreto utile si rendono colpevoli di furto verso la società; e che anteporre l’interesse privato a quello generale non è meno vile in questo caso che in cento altri casi, nei quali essi stessi non esiterebbero a pronunziarsi in tal senso. Se diverranno comunicativi, si libereranno da molti pregiudizi, e soprattutto da quello comune a quasi tutti, e cioè che la loro arte abbia raggiunto il massimo grado di perfezione. La scarsa cultura li induce spesso a imputare alla natura delle cose un difetto che sta invece in loro stessi. Le difficoltà sembrano loro insormontabili, se ignorano i mezzi per vincerle. Facciano esperimenti, cui ciascuno rechi un contributo: l’artigiano con il lavoro manuale, l’accademico con i suoi lumi e consigli, e il ricco con le spese per il materiale, le fatiche e il tempo; e ben presto le nostre arti e i nostri manufatti supereranno quelli esteri nella misura in cui noi desideriamo.

 

(La filosofia dell’Enciclopedia, Laterza, Bari, 1966, pagg. 175-176)