Eliade, Difficoltà metodologiche nello studio comparato religioni

Dopo aver sottolineato l’estrema eterogeneità dei documenti religiosi e la difficoltà di reperire le fonti, Eliade mette in relazione tutto questo con lo studio comparato delle religioni, che è il compito che egli si propone.

 

M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, trad. it. di V. Vacca, Boringhieri, Torino, 19763, pagg. 6-9

 

Ma torniamo alla grande difficoltà materiale già segnalata: l’estrema eterogeneità dei documenti religiosi. Il campo pressoché sconfinato, ove i documenti furono raccolti a centinaia di migliaia, ha aggravato l’eterogeneità. Da una parte (come avviene del resto per tutti i documenti storici), quelli di cui disponiamo si sono conservati, piú o meno, per caso (parliamo non soltanto di testi, ma di monumenti, iscrizioni, tradizioni orali, costumanze). D’altra parte, questi documenti conservati per caso provengono da ambienti molto diversi. Se, per ricostruire la storia arcaica della religione greca, per esempio, dobbiamo contentarci dei testi in numero limitato che si sono conservati, di alcune iscrizioni, di alcuni monumenti mutilati e di qualche oggetto votivo, per ricostruire le religioni germaniche o slave, per esempio, siamo obbligati a ricorrere ai documenti folcloristici, accettando gli inevitabili rischi connessi al loro uso e alla loro interpretazione. Una iscrizione runica, un mito raccolto quando già da molti secoli non è piú compreso, qualche graffito simbolico, alcuni monumenti protostorici, una quantità di riti e leggende popolari del secolo scorso – c’è cosa piú eteroclita del materiale documentario a disposizione dello storico di religioni germaniche o slave? Accettabile per lo studio di una religione sola, tale eterogeneità diventa grave quando si deve metter mano allo studio comparato delle religioni, mirando a conoscere un gran numero di modalità del sacro.

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Ora, uno dei problemi piú importanti della storia delle religioni è appunto la capacità di conoscere le diverse modalità del sacro presso i primitivi. Infatti, se potessimo dimostrare (come del resto fu dimostrato in questi ultimi decenni) che la vita religiosa dei popoli piú primitivi è realmente complessa, che non si può ridurre all’“animismo”, al “totemismo” o al culto degli antenati, in quanto conosce anche Esseri supremi, dotati di tutto il prestigio del Dio creatore e onnipotente, allora l’ipotesi evoluzionistica, che vieta ai primitivi l’accesso alle sedicenti “ierofanie superiori”, si troverebbe appunto per questo esautorata.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. V, pagg. 151-153