Fichte, La ragione opera nella storia

Il compito dell'umanità è quello di organizzare i propri rapporti “con libertà e secondo ragione”; la ragione, comunque, opera nella storia a prescindere dalla consapevolezza e dalla volontà degli uomini. Fichte getta le basi per la concezione idealistica della storia come progresso inarrestabile dello “spirito”: essa avrà la sua formulazione piú compiuta nella filosofia hegeliana.

 

J. G. Fichte, I fondamentali tratti caratteristici dell'età presente ( pagg. 414-415)

 

Noi presupponiamo dunque alla nostra ricerca il concetto di un piano del mondo, che, per la ragione esposta, io non debbo dedurre, ma soltanto indicare. Io dico pertanto è e con ciò pongo la prima pietra del costruendo edificio è che lo scopo della vita terrena dell'umanità è che essa vi organizzi tutti i propri rapporti con libertà secondo ragione.

Con libertà, ho detto, con la libertà sua propria, con la libertà dell'umanità, prendendo quest'umanità come specie [...].

La vita terrena del genere umano si divide innanzi tutto, secondo il concetto fondamentale stabilito, in due età ed epoche principali: l'una, in cui la specie vive ed esiste senza aver ancora organizzato i propri rapporti con libertà secondo ragione; e l'altra, in cui realizza con libertà quest'organizzazione razionale.

Proseguiamo nella nostra deduzione cominciando dalla prima epoca. Dal fatto che la specie non ha ancora organizzato con atto libero i propri rapporti secondo la ragione, non segue che questi rapporti non siano affatto regolati secondo ragione: la prima affermazione non implica perciò in nessun modo anche la seconda. Potrebbe darsi che la ragione, di per sé e con la propria forza, senza intervento della libertà umana, abbia determinato ed ordinato i rapporti dell'umanità. Ed in realtà le cose stanno davvero cosí. La ragione è la legge fondamentale della vita dell'umanità, cosí come di ogni vita spirituale, ed in questo e in nessun altro modo dev'essere intesa in queste conferenze la parola ragione. Senza l'attività di questa legge un genere umano non può venire all'esistenza, o, se lo potesse, non può, senza quest'attività, conservarvisi per un solo momento. Quando perciò, come nella prima epoca, la ragione non può ancora essere attiva mediante la libertà, essa è attiva come legge e forza naturale; ma in modo da penetrare e mostrarsi attiva nella coscienza, pur senza comprensione dei motivi, e quindi nell'oscuro sentimento (cosí infatti chiamiamo la coscienza ignara dei motivi).

Per esprimerci brevemente ed in modo abituale: la ragione agisce come oscuro istinto là dove non può agire mediante la libertà. Cosí essa opera nella prima epoca principale della vita terrena del genere umano; con ciò questa prima epoca risulta determinata piú da presso e con maggiore precisione.

Con questa piú precisa determinazione della prima epoca è in pari tempo e per antitesi determinata piú da presso anche la seconda epoca principale della vita terrena. L'istinto è cieco: è una coscienza senza cognizione dei motivi. La libertà quindi, in quanto antitesi dell'istinto, conosce ed è chiaramente cosciente dei motivi del proprio agire. Ma il fondamento assoluto e unitario di questo agire della libertà è la ragione: essa è pertanto cosciente della ragione, di cui l'istinto non era cosciente. Pertanto fra il dominio della ragione mediante il mero istinto, e il dominio della medesima ragione mediante la libertà, si inserisce un termine medio fino ad ora sconosciuto: la coscienza della ragione [...].

Quest'arte di organizzare il complesso dei rapporti dell'umanità secondo la ragione in precedenza còlta con la scienza [...] quest'arte dovrebbe ora essere esercitata e applicata a tutti i rapporti dell'umanità fino a che la specie non si presenti come una perfetta riproduzione del suo eterno archetipo nella ragione; ed allora lo scopo della vita terrena sarebbe raggiunto, e comparsa la sua fine, e l'umanità entrerebbe nelle superiori sfere dell'eternità.

L'intero cammino che, conformemente a questo elenco, l'umanità compie quaggiú, non è però altro che un suo ritorno al punto in cui si trovava all'inizio, e non ha altro scopo che il ritorno all'origine.

[...]

Nessuno piú del filosofo è lontano dall'illusione che l'età faccia notevoli progressi grazie ai suoi sforzi. Ciascuno, a cui Dio l'ha concesso, deve certamente adoperare tutte le proprie forze per questo scopo, non fosse che per lui stesso, e per rivendicare nel flusso del tempo il posto che gli è stato assegnato. Il tempo peraltro procede con il suo passo sicuro e stabilito fin dall'eternità, ed in esso nulla può essere affrettato e forzato da una singola forza. Solo l'unione di tutti, e in particolare l'immanenza dell'eterno spirito dei tempi e dei mondi, può aiutare a progredire.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 1086-1091)