Fichte, Lo scopo della ricerca

Il carattere contraddittorio della “cosa in sé” denunciato da Fichte e dagli idealisti sembra riproporsi negli stessi fondamenti della filosofia fichtiana: come può il soggetto - unica realtà originaria - produrre qualcosa che gli è estraneo, dal momento che l'esperienza - alla quale il filosofo non può sottrarsi - mostra l'esistenza delle “cose”?

 

J. G. Fichte, Fondazione di tutta la dottrina della scienza, par. 5

 

Già originariamente nell'io stesso dovrebbe esserci una differenza, se mai differenza deve esserci; ed invero questa differenza dovrebbe essere fondata nell'io assoluto, come tale. L'apparente contraddizione di questo presupposto si risolverà a suo tempo da sé, e la sua impensabilità verrà meno.

L'io deve trovare in sé qualcosa di eterogeneo, di estraneo, di distinguibile da se stesso. Da questo punto può, nel modo piú opportuno, muovere la nostra ricerca.

Ma, tuttavia, questo elemento estraneo deve necessariamente essere trovato nell'io. Se fosse fuori dell'io, per l'io non sarebbe nulla, e non conseguirebbe nulla per l'io. Quindi, in un certo senso, deve anche essere omogeneo all'io, deve potergli essere ascritto.

L'essenza dell'io consiste nella sua attività; se dunque quell'elemento eterogeneo deve poter essere ascritto all'io, esso deve essere in generale una attività dell'io, che come tale non può essere estraneo, ma di cui la mera direzione, forse estranea, si fonda non nell'io, ma fuori dell'io. Se l'attività dell'io, secondo la supposizione piú volte fatta, procede all'infinito, ma in un punto determinato è urtata, non però distrutta, ma soltanto respinta in se stessa, allora l'attività dell'io, in quanto tale, è e resta sempre attività dell'io, ma il fatto che essa sia respinta è estraneo e contrario all'io.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 944-945)