Freud, La teoria delle pulsioni

Nella “Metapsicologia” (1915) S. Freud cerca di dare una sistemazione teorica della psicoanalisi come scienza generale della struttura e del funzionamento della psiche, attraverso la definizione dei suoi “concetti fondamentali”: in primo luogo quello di “pulsione” qui individuato come “concetto limite” tra lo psichico e il somatico il quale costituisce il fondamento della vita psichica; qui vengono definite le principali caratteristiche della pulsione.

 

S. Freud, Metapsicologia, Pulsioni e loro destini

 

Piú volte è stata avanzata l’esigenza che una scienza sia costruita in base a concetti chiari ed esattamente definiti. In realtà nessuna scienza, neppure la piú esatta, prende le mosse da definizioni siffatte. Il corretto inizio dell’attività scientifica consiste piuttosto nella descrizione di fenomeni, che poi vengono progressivamente raggruppati, ordinati e messi in connessione tra loro. Già nel corso della descrizione non si può però fare a meno di applicare, in relazione al materiale dato, determinate idee astratte: le quali provengono da qualche parte, e non certo esclusivamente dalla nuova esperienza. Ancor piú indispensabili sono tali idee – destinate a diventare in seguito i concetti fondamentali della scienza – nell’ulteriore elaborazione della materia. Esse hanno necessariamente all’inizio un certo grado di indeterminatezza: né si può parlare di una chiara delimitazione del loro contenuto. Finché le cose stanno cosí, ci si intende sul loro significato riferendosi continuamente al materiale dell’esperienza da cui sembrano ricavate, ma che in realtà è ad esse subordinato. A stretto rigore queste idee hanno dunque il carattere di convenzioni, benché tutto lasci supporre che non siano state scelte ad arbitrio, ma siano state determinate in base a relazioni significative col materiale empirico, relazioni che supponiamo di arguire prima ancora di aver avuto la possibilità di riconoscerle e indicarle. Soltanto in seguito a un’esplorazione piuttosto approfondita di un determinato ambito di fenomeni, diventa effettivamente possibile coglierne con una certa esattezza i concetti scientifici fondamentali e modificarli progressivamente in modo tale che essi diventino da una parte ampiamente utilizzabili, e dall’altra del tutto esenti da contraddizioni. Solo allora sarà giunto forse il momento di costringere quei concetti in definizioni. Tuttavia, il progresso della conoscenza non consente definizioni rigide. Come l’esempio della fisica illustra splendidamente, anche i “concetti fondamentali” consegnati in definizioni rigorose, subiscono un costante mutamento di contenuto.

Un concetto convenzionale di questa specie – ancora piuttosto oscuro per il momento, e di cui tuttavia non possiamo fare a meno in psicologia – è il concetto di “pulsione”. Proviamoci a dargli un contenuto, partendo da diversi punti di vista.

Anzitutto da quello della fisiologia. La fisiologia ci ha fornito il concetto di stimolo e lo schema dell’arco riflesso, per cui uno stimolo che proviene dall’esterno e si appunta sul tessuto vivente (sostanza nervosa) viene scaricato nuovamente all’esterno attraverso l’azione. Tale azione in tanto risulta efficace in quanto sottrae la sostanza stimolata all’influsso dello stimolo, escludendola dal raggio di azione di quest’ultimo.

Ma qual è dunque il rapporto tra “pulsione” e “stimolo”? Nulla ci impedisce di sussumere il concetto di pulsione in quello di stimolo: nel senso che la pulsione sarebbe uno stimolo per la sfera psichica. Tuttavia, qualcosa ci mette subito in guardia dall’equiparare pulsione e stimolo psichico: è chiaro che esistono per la sfera psichica anche altri stimoli oltre a quelli pulsionali, e che tali stimoli si comportano in un modo di gran lunga piú simile agli stimoli fisiologici. Cosí, ad esempio, quando una luce intensa colpisce l’occhio, essa non è uno stimolo pulsionale, mentre è tale la sensazione provocata dall’inaridimento della membrana faringea o dalla corrosione della mucosa gastrica.

Siamo giunti dunque a disporre del materiale atto a differenziare lo stimolo pulsionale dagli altri stimoli (fisiologici) che agiscono sulla psiche. In primo luogo lo stimolo pulsionale non proviene dal mondo esterno ma dall’interno dello stesso organismo. È per questo che incide anche in modo differente sulla psiche, ed esige, per essere eliminato, azioni di natura diversa. Inoltre, tutti gli elementi essenziali dello stimolo [fisiologico] sono dati se supponiamo che esso agisca come un singolo urto: in tal caso può essere liquidato mediante un’unica azione appropriata, quale si ha in modo tipico con la fuga motoria dalla fonte dello stimolo stesso. Naturalmente questi urti possono anche ripetersi e sommarsi, ma ciò non porta alcun mutamento nella concezione del processo e nelle condizioni che presiedono all’eliminazione dello stimolo. La pulsione, al contrario, non agisce mai come una forza d’urto momentanea, bensí sempre come una forza costante. E, in quanto non preme dall’esterno, ma dall’interno del corpo, non c’è fuga che possa servire contro di essa. Indichiamo piú propriamente lo stimolo pulsionale col termine “bisogno”; ciò che elimina tale bisogno è il “soddisfacimento”. Il soddisfacimento può essere ottenuto soltanto mediante una opportuna (adeguata) modificazione della fonte interna dello stimolo.

Collochiamoci dal punto di vista di un essere vivente, quasi completamente sprovveduto e ancora disorientato, il quale subisca l’azione di stimoli nella sua sostanza nervosa. Un tale essere perverrà ben presto nelle condizioni di effettuare una prima distinzione e di ottenere un primo orientamento. Egli avvertirà da un lato stimoli dai quali si potrà ritrarre mediante un’azione muscolare (fuga), e attribuirà questi stimoli a un mondo esterno; ma dall’altro avvertirà pure stimoli nei confronti dei quali una tale azione non serve a nulla, e che, a dispetto di essa, serbano permanentemente il loro carattere assillante; questi stimoli costituiscono l’indice di un mondo interiore, la prova dell’esistenza di bisogni pulsionali. La sostanza percipiente dell’essere vivente ha in tal modo trovato, nella efficacia della propria attività muscolare, un criterio per distinguere un “fuori” da un “dentro”.

Scopriamo dunque l’essenza della pulsione innanzitutto nei suoi caratteri fondamentali: la provenienza da fonti stimolatrici poste nell’interno dell’organismo e il suo presentarsi come forza costante; e ne deriviamo un altro dei suoi tratti distintivi: il fatto che essa non può essere vinta mediante azioni di fuga. Nel fare queste enunciazioni ci imbattiamo però in qualche cosa che richiede una ulteriore ammissione. In relazione al nostro materiale empirico non solo ci avvaliamo di determinate convenzioni sotto forma di concetti fondamentali, ma ci serviamo altresí di alcuni complicati postulati da cui ci lasciamo guidare nella nostra elaborazione dei fenomeni psicologici. Il piú importante di tali postulati lo abbiamo introdotto giusto adesso; ci resta soltanto da rilevarlo in forma esplicita. Esso è di natura biologica, ha a che fare con il concetto di intenzionalità (ed eventualmente di opportunità), e può essere cosí formulato: il sistema nervoso è un apparato a cui è conferita la funzione di eliminare gli stimoli che gli pervengono, o di ridurli al minimo livello; oppure è un apparato che vorrebbe, sol che ciò fosse possibile, serbare uno stato del tutto esente da stimoli. Non scandalizziamoci per il momento per l’imprecisione di questa idea, e – in termini generali – attribuiamo al sistema nervoso il compito di padroneggiare gli stimoli. Vediamo allora come l’introduzione della nozione di pulsione complichi il semplice schema del riflesso fisiologico. Gli stimoli esterni non pongono altro compito che quello di sottrarsi ad essi; tale compito è assolto dai movimenti muscolari, uno dei quali finalmente raggiunge lo scopo e diventa quindi, per disposizione ereditaria, il movimento appropriato. Gli stimoli pulsionali che si producono nell’interno dell’organismo non possono essere liquidati con questo meccanismo. Essi avanzano al sistema nervoso richieste assai superiori, lo inducono ad attività tortuose e tra loro correlate che modificano il mondo esterno acciocché esso fornisca soddisfacimento alle fonti interne stimolatrici, e soprattutto lo costringono a rinunciare al suo ideale proposito di tener lontani gli stimoli, giacché forniscono inevitabilmente un incessante apporto di stimolazione. Dovremmo quindi concludere che esse, le pulsioni, e non gli stimoli esterni, costituiscono le vere forze motrici del progresso che ha condotto il sistema nervoso – le cui capacità di prestazione sono illimitate – al suo livello di sviluppo attuale. Nulla vieta naturalmente di supporre che le stesse pulsioni siano almeno in parte sedimenti di azioni derivanti da stimoli esterni, azioni che nel corso della filogenesi possono aver agito sulla sostanza vivente modificandola.

Quando poi scopriamo che anche l’attività dell’apparato psichico piú sviluppato è sottoposta al principio di piacere, e cioè viene automaticamente regolata in base alle sensazioni della serie piacere-dispiacere, difficilmente possiamo rifiutare l’ulteriore postulato secondo il quale queste sensazioni riproducono il modo in cui si svolge l’assoggettamento degli stimoli. E ciò certamente nel senso che la sensazione di dispiacere ha a che fare con un incremento, e la sensazione di piacere con una riduzione dello stimolo. Malgrado la sua considerevole indeterminatezza, intendiamo attenerci scrupolosamente: a tale ipotesi finché ci riesca di precisare qual è il tipo di relazione che intercorre tra piacere e dispiacere, e quali sono le oscillazioni quantitative degli stimoli che agiscono sulla vita psichica. È certo che le possibili relazioni di questo genere sono numerose, svariate e niente affatto semplici.

Se ora ci volgiamo a considerare la vita psichica dal punto di vista biologico, la “pulsione” ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico, come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea.

Possiamo ora discutere alcuni termini che vengono usati a proposito del concetto di pulsione, come ad esempio “spinta”, “meta”, “oggetto”, “fonte” della pulsione.

Per spinta di una pulsione s’intende l’elemento motorio di questa, la somma di forze o la misura delle operazioni richieste che essa rappresenta. Il carattere dell’esercitare una spinta è una proprietà generale delle pulsioni, è addirittura la loro essenza. Ogni pulsione è un frammento di attività; quando nel linguaggio corrente si parla di pulsioni passive, ciò non può significare altro che pulsioni aventi una meta passiva.

La meta di una pulsione è in ogni caso il soddisfacimento che può esser raggiunto soltanto sopprimendo lo stato di stimolazione alla fonte della pulsione. Ma, seppure questa meta finale di ogni pulsione rimane invariata, piú vie possono condurre alla stessa meta finale; perciò per una pulsione possono darsi molteplici mete prossime o intermedie le quali si combinano o si scambiano tra loro. L’esperienza ci autorizza a parlare altresí di pulsioni “inibite nella meta” quando si tratta di processi che si svolgono per un tratto nella direzione del soddisfacimento pulsionale, ma che subiscono a un certo punto una inibizione o una deviazione. È da supporre che un soddisfacimento parziale si ottenga anche in relazione a processi di questo tipo.

Oggetto della pulsione è ciò in relazione a cui, o mediante cui, la pulsione può raggiungere la sua meta. È l’elemento piú variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento. Non è necessariamente un oggetto estraneo, ma può essere altresí una parte del corpo del soggetto. Può venir mutato infinite volte durante le vicissitudini che la pulsione subisce nel corso della sua esistenza. A questo spostamento della pulsione spettano funzioni importantissime. Può accadere che lo stesso oggetto serva al soddisfacimento di piú pulsioni, producendo ciò che Alfred Adler chiama un “intreccio pulsionale”. Un attaccamento particolarmente forte della pulsione al suo oggetto viene messo in rilievo come “fissazione” della pulsione. La fissazione si produce spesso in periodi remotissimi dello sviluppo pulsionale, e pone fine alla mobilità della pulsione opponendosi vigorosamente al suo staccarsi dall’oggetto.

Per fonte della pulsione si intende quel processo somatico che si svolge in un organo o parte del corpo il cui stimolo è rappresentato nella vita psichica dalla pulsione. Non si sa se questo processo sia sempre di natura chimica, o se invece possa anche corrispondere allo sprigionamento di altre forze, ad esempio meccaniche. Lo studio delle fonti pulsionali non appartiene piú alla psicologia: benché la sua provenienza dalla fonte somatica la condizioni certamente in modo decisivo, la pulsione non ci è nota nella vita psichica che attraverso le sue mete. La conoscenza precisa delle fonti pulsionali non è sempre indispensabile per gli scopi dell’indagine psicologica. Talvolta ci è data la possibilità di risalire dalle mete della pulsione alle sue fonti.

Dobbiamo supporre che le varie pulsioni traenti origine dal corpo e agenti sulla psiche siano contrassegnate da qualità diverse e si comportino perciò nella vita psichica in modi qualitativamente diversi? Non sembra che tale supposizione sia legittima; si ottiene molto di piú con la piú semplice ipotesi che le pulsioni siano tutte qualitativamente affini, e che il loro effetto sia dovuto esclusivamente alle quantità di eccitamento di cui sono latrici, o forse ancora a determinate funzioni di tali quantità. Ciò che differenzia le prestazioni psichiche delle singole pulsioni può esser fatto risalire alla varietà delle fonti pulsionali. Comunque, solo in un ulteriore contesto potremo enunciare con chiarezza cosa significhi il problema della qualità delle pulsioni.

 

Di quali e quante pulsioni è lecito stabilire l’esistenza? È chiaro che vi è qui un ampio margine di discrezionalità. E non vi è nulla da obiettare contro chi voglia introdurre il concetto di una pulsione di giuoco, di una pulsione di distruzione, di una pulsione di socialità, quando l’argomento lo esiga e la specificità dell’analisi psicologica induca a farlo. Tuttavia dovremmo domandarci se questi motivi pulsionali, per un verso già cosí specializzati, non consentano una ulteriore scomposizione nella direzione delle fonti pulsionali, e se quindi non competa un vero significato soltanto alle pulsioni originarie, ossia alle pulsioni non ulteriormente scomponibili.

Ho proposto di distinguere due gruppi di tali pulsioni originarie, quello delle pulsioni dell’Io o di autoconservazione e quello delle pulsioni sessuali. A tale enunciazione non va tuttavia attribuito il significato di un postulato necessario, qual è ad esempio l’ipotesi dell’intenzionalità biologica dell’apparato psichico (vedi sopra p. 16); si tratta di una pura congettura che deve essere mantenuta soltanto finché si dimostra utile, e la cui sostituzione con una congettura diversa non modificherà gran che gli esiti del nostro lavoro descrittivo e classificatorio.

L’occasione per questa enunciazione è scaturita dallo sviluppo storico della psicoanalisi, la quale ha assunto come primo oggetto di indagine le psiconevrosi, o meglio quel loro gruppo (isteria e nevrosi ossessiva) che va indicato col nome di “nevrosi di traslazione”; ebbene la psicoanalisi è giunta all’idea che alla radice di ciascuna di queste affezioni sia rintracciabile un conflitto tra le esigenze della sessualità e quelle dell’Io. Non è comunque da escludere che uno studio approfondito delle altre affezioni nevrotiche (soprattutto delle psiconevrosi narcisistiche o schizofrenie) possa rendere necessaria una modificazione di questa formula, e con ciò un diverso raggruppamento delle pulsioni originarie. Tuttavia per il momento non conosciamo quest’altra formula, e non abbiamo ancora trovato alcun argomento a sfavore della contrapposizione tra pulsioni dell’Io e pulsioni sessuali.

Comunque dubito assai che sia possibile, in base a un’elaborazione del materiale psicologico, ottenere indicazioni decisive ai fini di una differenziazione e classificazione delle pulsioni. Piuttosto sembra necessario, per gli scopi di una tale elaborazione, applicare al materiale stesso determinate ipotesi sulla vita pulsionale, e sarebbe augurabile che tali ipotesi potessero essere tratte da un altro campo per essere poi trasferite alla psicologia. Il contributo che la biologia può dare in proposito non contraddice certo la distinzione in pulsioni dell’Io e pulsioni sessuali. La biologia insegna che la sessualità non va posta sullo stesso piano delle altre funzioni dell’individuo, poiché le sue intenzionalità travalicano l’individuo singolo e hanno come contenuto la generazione di altri individui, ovverosia la conservazione della specie. La biologia mostra inoltre che vi sono due modi paralleli, verosimilmente entrambi legittimi, di concepire i rapporti tra l’Io e la sessualità. Secondo il primo punto di vista ciò che conta è l’individuo; la sessualità è vista come una delle attività dell’individuo e il soddisfacimento sessuale come uno dei suoi bisogni. Secondo l’altro punto di vista l’individuo è l’appendice provvisoria e transeunte del pressoché immortale plasma germinale che gli è stato affidato dalla generazione. L’ipotesi che la funzione sessuale si distingua dagli altri processi corporei per un particolare chimismo è anche, per quanto mi consta, un presupposto delle ricerche biologiche della scuola di Ehrlich.

 

Poiché lo studio delle pulsioni presenta difficoltà quasi insormontabili dal punto di vista della coscienza, l’indagine psicoanalitica dei disturbi psichici rimane la fonte principale delle nostre conoscenze. Corrispondentemente a quello che è stato il suo sviluppo, la psicoanalisi ci ha però potuto fornire fino ad ora conoscenze in qualche misura soddisfacenti soltanto per le pulsioni sessuali; ciò è accaduto perché ha potuto osservare nelle psiconevrosi, in forma per cosí dire isolata, precisamente e soltanto questo gruppo di pulsioni. Con l’estensione dell’indagine psicoanalitica alle altre affezioni nevrotiche, verrà certo fornito un fondamento anche alla nostra conoscenza delle pulsioni dell’Io, benché sembri temerario attendersi in questo ulteriore campo d’indagine condizioni altrettanto propizie all’osservazione.

Per caratterizzare in forma generale le pulsioni sessuali, si può enunciare quanto segue: esse sono molteplici, traggono origine da svariate fonti organiche, si comportano dapprima con reciproca autonomia e soltanto in seguito pervengono contemporaneamente a una sintesi piú o meno completa. La meta, cui mira ciascuna di queste pulsioni, è il conseguimento del “piacere d’organo”, e soltanto dopo che è stata raggiunta la loro sintesi, esse si pongono al servizio della funzione riproduttiva, diventando con ciò universalmente riconoscibili come pulsioni sessuali. Al loro primo apparire le pulsioni sessuali si appoggiano alle pulsioni di autoconservazione (da cui si separano soltanto un po’ alla volta) e, anche nel rinvenimento dell’oggetto, seguono le vie che vengono loro indicate dalle pulsioni dell’Io. Una loro porzione rimane associata per tutta la vita alle pulsioni dell’Io e fornisce a queste ultime componenti libidiche che rimangono facilmente inavvertite quando la funzione è normale, e che solo il manifestarsi della malattia rende palesi. Le pulsioni sessuali si caratterizzano per la loro capacità di assumere funzioni in larga misura vicarianti le une rispetto alle altre, e per la facilità con cui mutano i propri oggetti. In base a queste ultime proprietà sono capaci di prestazioni che si allontanano considerevolmente dalle mete originarie delle loro attività (sublimazione).

Siamo costretti a limitare l’indagine dei destini in cui possono incorrere le pulsioni nel corso del loro sviluppo e della vita umana alle pulsioni sessuali che conosciamo meglio. L’osservazione ci insegna che una pulsione può incorrere nei seguenti destini:

La trasformazione nel contrario.

Il volgersi sulla persona stessa del soggetto.

La rimozione.

La sublimazione.

Poiché non ho in animo di occuparmi qui della sublimazione, e poiché dedicherò alla rimozione una trattazione a parte, non ci rimane che descrivere e discutere i primi due punti. Considerando i motivi che ostacolano la diretta estrinsecazione delle pulsioni, si possono descrivere i destini cui queste vanno incontro anche come aspetti della difesa contro le pulsioni medesime.

La trasformazione nel contrario si risolve, a ben vedere, in due processi di diversa natura: il cangiamento dall’attività alla passività, e la inversione di contenuto. I due processi vanno trattati separatamente poiché sono diversi nella loro essenza.

 

S. Freud, Opere, Boringhieri, Torino, 1989, Vol VIII, pag 13-22