Fromm, Il problema della verità scientifica

Fromm esamina il carattere di “scientificità” da attribuire alla teoria di S. Freud e osserva che l’approccio scientifico, in questo campo relativo alla personalità, è necessariamente limitato dal fatto che esso deve basarsi sulla conoscenza della soggettività delle espressioni umane.

 

Oggi è di moda affermare, e psicologi di varie branche della psicologia accademica sono particolarmente propensi ad abbracciare questa tesi, che la teoria di Freud sia “non scientifica”. Com’è ovvio, una simile asserzione dipende completamente da ciò che si definisce metodo scientifico, di cui molti psicologi e sociologi hanno una concezione piuttosto semplicistica. Per dirla in parole povere, il metodo in questione consiste nella richiesta che per prima cosa si raccolgano i fatti, poi li si traduca in dati quantitativamente misurabili – cosa resa assai facile dall’impiego di computers –, e che il risultato di queste operazioni sia la formulazione di una teoria o per lo meno di un’ipotesi. Un ulteriore assunto è che, come in un esperimento di scienze naturali, la validità della teoria dipenda dalla possibilità che l’esperimento sia ripetuto da altri, e porti sempre allo stesso risultato. Problemi che non si prestino a questo tipo di quantificazione e di approccio statistico vengono ritenuti privi di carattere scientifico, e quindi estranei al campo della psicologia scientifica. In quest’ottica, uno, due o tre casi isolati che permettono all’osservatore di pervenire a certe conclusioni definitive, vengono dichiarati piú o meno privi di valore finché non siano stati comprovati da un considerevole numero di casi inseribili in un procedimento statistico. Indispensabile a questa concezione del metodo scientifico è il tacito assunto che i fatti di per sé producono la teoria purché si faccia ricorso al giusto metodo, e che quindi sia minimo il ruolo del pensiero creativo dell’osservatore. A questi si richiede la capacità di organizzare un esperimento che appaia soddisfacente senza che prenda le mosse da una sua teoria personale, la quale può o no venir dimostrata nel corso dell’esperimento stesso. Tale concezione della scienza come mera sequenza di fatti selezionati, esperimenti e certezza del risultato, è ormai superata, ed è significativo che oggi i veri scienziati (fisici, biologi, chimici, astronomi, e via dicendo) abbiano ormai da lunga pezza abbandonato questo tipo di primordiale concezione del metodo scientifico.

Quel che nel campo delle scienze sociali distingue gli odierni scienziati creativi dagli pseudoscienziati, è la fede nel potere della ragione, la credenza che la ragione e l’immaginazione umane possono andare al di là della deludente superficie dei fenomeni, pervenendo a ipotesi che riguardino le forze sottese piuttosto che la superficie. L’essenziale è che l’ultima cosa che ci si aspetta è la certezza, poiché si sa che ogni ipotesi sarà sostituita da un’altra, non necessariamente negativa della precedente, ma che invece la modifica e la amplia.

Lo scienziato può sopportare quest’incertezza perché ha fede nella umana ragione. Ciò che lo interessa non è pervenire a un risultato definitivo, bensí ridurre la quantità di illusioni al fine di discendere piú a fondo verso le radici. Lo scienziato non ha neppure paura dei propri errori; sa che la storia della scienza è una storia di asserti erronei ma fruttuosi, pregnanti, dai quali sono emerse nuove ottiche che prevalgono sulla relativa erroneità dell’asserto precedente, e che a nuove ottiche conducono. Se fossero ossessionati dal desiderio di non sbagliare, gli scienziati non sarebbero mai pervenuti a comprensioni intuitive relativamente esatte. Com’è ovvio, il “metodo scientifico” di uno scienziato sociale interessato solo a questioni banali e che non rivolge la propria attenzione a problemi di fondo, porta a risultati e si presta alla stesura di scartoffie il cui unico scopo è di favorire la carriera accademica dell’autore.

Non è certo stato sempre questo il metodo delle scienze sociali, e basti pensare a uomini come Marx, Durkheim, Mayo, Max e Alfred Weber, Tönnies: essi si dedicavano ai problemi piú fondamentali e le loro risposte non si basavano sul metodo ingenuo e positivistico di fare affidamento su risultati statistici in quanto creatori di teorie. Per essi, il potere della ragione e la fede in tale potere erano altrettanto forti e significativi di quanto lo sono in chi si dedichi alle scienze naturali di maggior rilievo. Nel campo delle scienze sociali però le cose sono cambiate. Con il crescente potere della grande industria, molti scienziati sociali piegano il capo e si occupano soprattutto di problemi che possono essere risolti senza disturbare il sistema.

Qual è il procedimento che costituisce il metodo scientifico sia delle scienze naturali che della scienza sociale degna di tal nome?

 

1) Lo scienziato non parte dal nulla, ma il suo pensiero è determinato dalla sua precedente conoscenza e dalla sfida costituita da campi inesplorati.

 

2) La piú minuziosa e particolareggiata esplorazione dèi fenomeni è la condizione di un’oggettività ottimale. È caratteristica dello scienziato che egli abbia la massima attenzione per i fenomeni costatabili; parecchie grandi scoperte hanno avuto luogo perché uno scienziato ha prestato attenzione a un evento minimo, da tutti gli altri già osservato in precedenza ma ignorato.

 

3) Sulla base delle teorie note e dell’optimum di conoscenza particolareggiata, lo scienziato formula un’ipotesi. La funzione di un’ipotesi dovrebbe essere di mettere un certo ordine nei fenomeni osservati e di organizzarli sperimentalmente in modo tale che essi sembrino avere un certo senso. È inoltre essenziale che il ricercatore sia in ogni momento in grado di prendere atto di nuovi dati che possano contraddire la sua ipotesi e portare alla revisione della stessa, e cosí ad infinitum.

 

4) Questo metodo scientifico richiede, ovviamente, che lo scienziato sia almeno relativamente libero da un modo di pensare narcisistico e illusorio, il che equivale a dire che sia in grado di osservare i fatti obiettivamente, senza distorcerli o senza conferir loro un’importanza che non hanno, solo perché è ansioso di dimostrare la giustezza della propria ipotesi. La combinazione di robusta immaginazione e di oggettività raramente si realizza, ed è questa probabilmente la ragione per cui sono rari i grandi scienziati che riescono a soddisfare entrambe le condizioni. Per diventare uno scienziato creativo, una grande intelligenza è una premessa necessaria, ma non sufficiente. In realtà, una condizione di completa obiettività può difficilmente venir raggiunta, in primo luogo perché lo scienziato, come abbiamo già detto, è sempre influenzato dal buon senso del proprio tempo, e per di piú solo individui eccezionalmente dotati sono immuni da narcisismo. Pure, nel complesso la disciplina del pensiero scientifico ha prodotto un livello di obiettività e di quel che si può definire coscienza scientifica che difficilmente è dato trovare in altri campi della vita culturale. In realtà, il fatto che i grandi scienziati abbiano scorto piú di chiunque altro il pericolo che minaccia oggi l’umanità e abbiano ammonito contro di esso, è la riprova della loro capacità di essere obiettivi e di non lasciarsi influenzare dai clamori di un’opinione pubblica fuorviata.

Questi princípi del metodo scientifico – obiettività, osservazione, formulazione di un’ipotesi e revisione in seguito a ulteriore esame dei fatti –, benché validi per ogni tentativo scientifico, non possono essere applicati allo stesso modo a tutti gli obiettivi del pensiero scientifico. Benché io non sia in grado di parlare con competenza di fisica, è innegabile che ci sia una netta differenza tra l’osservazione di una persona come un tutto unico e vivente, e l’osservazione di certi aspetti di una personalità che siano stati avulsi dalla personalità totale e che vengano studiati senza riferimento all’intero complesso. Questo non può essere fatto con l’insieme senza distorcere quegli aspetti isolati che si tenta di studiare, poiché essi sono in costante interazione con ogni altra parte del sistema e non possono essere compresi al di fuori del tutto. Se si vuole esaminare un aspetto di una personalità isolato da tutto il resto, bisogna sezionare la persona, vale a dire distruggerne l’integrità. Allora si può esaminare questo o quell’aspetto isolato, ma tutti i risultati cui si perviene sono per forza di cose falsi perché ottenuti da materiale morto: l'individuo sezionato.

La persona vivente può essere capita solo come un tutto unico e nella sua vitalità, che è come dire nel costante processo di mutamento. Poiché l’osservatore scientifico cercherà sempre di reperire principi e leggi generali nella molteplicità degli individui.

Un altro ostacolo ancora si oppone all’approccio scientifico alla comprensione dell’uomo. I dati che otteniamo da una persona sono diversi dai dati che otteniamo con altri esperimenti scientifici. Bisogna capire l’uomo nella sua piena soggettività se si vuole capirlo. Una parola non è “una” parola perché essa è ciò che significa per la persona che la usa. Il significato letterale della parola è una mera astrazione se comparato al significato reale che ha per la persona che la pronunzia. Ovviamente, questo è irrilevante, ancorché non del tutto, per i vocaboli che indicano oggetti concreti, ma è rilevantissimo per quelli che si riferiscono a esperienze emozionali o intellettuali. Una lettera d’amore dell’inizio del secolo ci appare piú o meno sentimentale, artefatta, e in un certo senso sciocca. Una lettera d’amore dei nostri giorni che volesse trasmettere gli stessi sentimenti sarebbe sembrata del tutto fredda e priva di sentimento a individui di cinquant’anni fa. Le parole amore, fede, coraggio, odio, hanno un significato assolutamente oggettivo per ogni individuo, e non è esagerato dire che non hanno mai lo stesso significato per due individui perché non ce ne sono due che siano identici. Può addirittura non avere per una persona lo stesso significato che aveva dieci anni prima a causa dei cambiamenti da questa subiti. Ovviamente, tutto ciò è vero anche per quanto riguarda i sogni. Due sogni identici per contenuto possono avere tuttavia due diversissimi significati per due diversi sognatori. Di solito gli artisti ne sanno ben piú, a proposito della soggettività, per quanto riguarda l’esperienza musicale o altre esperienze artistiche, di quanto ne sappia la media della gente a proposito della soggettività dei vocaboli di cui si serve. Uno dei piú importanti punti dell’approccio scientifico di Freud era proprio la conoscenza della soggettività delle espressioni umane, sulla quale si basa il suo tentativo non già di dare per scontata una data parola pronunciata da un tale, ma di sollevare il problema di che cosa significa quella particolare parola in quel particolare momento e in quel particolare contesto per quella particolare persona. Tale soggettività in effetti accentua considerevolmente l’obiettività del metodo freudiano. Qualsiasi psicologo abbastanza ingenuo da ritenere che “una parola è una parola”, comunicherà con un’altra persona solo a un livello assai astratto e fittizio. Una parola è un segno di un’esperienza unica e in un certo senso irripetibile, la quale è ben lungi dall’essere identica al suo significato letterale.

 

(E. Fromm, Grandezza e limiti del pensiero di Freud, Mondadori, Milano, 1979, pagg. 15-29)