FICHTE, L'ATTIVITA' MORALE E' UNO SFORZO INFINITO

 

Il non-Io solo in tanto può essere posto, in quanto nell'Io - nella identica coscienza a se stessa (Io puro) - è posto un io, al quale il non-Io può essere opposto. Ora, il non-Io dev'essere posto nella coscienza identico a se stesso, e in questa medesima coscienza dev'essere posto anche l'io («io empirico») in quanto opposto al non-Io. Tuttavia come si possono pensare insieme A e non-A, essere e non-essere, Realtà e Negazione, senza che essi si distruggano? Non è da aspettarsi che a questa domanda si risponda diversamente che nella maniera seguente; essi si limiteranno reciprocamente. Limitare qualcosa significa sopprimere la realtà merce una negazione, ma non completamente bensí solo in parte. Nel concetto del limite, oltre i concetti della realtà e della negazione, è dunque implicito anche il concetto della divisibilità (in parti). Appena all'lo si è opposto un Non-Io, l'Io - al quale è opposto il Non-Io - ed il Non-Io - che è opposto - son posti come divisibili. [...] L'attività pura dell'Io è... uno sforzo; e anzi uno sforzo infinito. L'Io è infinito, ma solo per il suo sforzo; esso si sforza di essere infinito. Ma nel concetto stesso dello sforzo è compresa già la finità... Se l'Io fosse piú che sforzantesi... esso non sarebbe Io, non porrebbe se stesso, e perciò sarebbe Nulla. Se non avesse questo infinito sforzo, allora non potrebbe porre se stesso, poiché non potrebbe contrapporsi nulla; esso non sarebbe dunque neppure Io, e, quindi, sarebbe Nulla. [...] La ragione non può essere neppure teoretica, se non è pratica; nell'uomo non è possibile l'intelligenza se in lui non v'è una facoltà pratica.

 

(Fichte, Fondamenti dell'intera dottrina della scienza)