UGO GROZIO, LA GUERRA NON PUO' VIOLARE LE LEGGI DI NATURA


Tanto poco è poi da ammettersi ciò che taluno suppone, e cioè che in guerra ogni diritto venga meno, che la guerra non deve essere intrapresa se non per attuare il diritto, e, intrapresa che sia, non deve essere condotta se non nei limiti del diritto e della lealtà. Giustamente disse Demostene che la guerra ha luogo contro coloro che non possono essere tenuti a freno per le vie della giustizia. E in realtà i giudizi hanno efficacia contro coloro che si sentono meno forti; contro quelli invece che non si sottomettono, o che si ritengono in grado d non sottomettersi, si ricorre alla guerra; ma questa, per essere giusta, deve appunto essere condotta con scrupolo non minore di quello col quale sogliono essere condotti i giudizi. Tacciano dunque le leggi in tempo di guerra: ma quelle civili e processuali e proprie del tempo di pace, non le altre, eterne, che convengono a tutti i tempi; benissimo infatti fu detto da Dione di Prusia che fra nemici non valgono, è vero, le leggi scritte, ossia quelle civili, ma valgono tuttavia quelle non scritte, ossia quelle dettate dalla natura o istituite dal consenso dei popoli. Questo insegna l'antica formula romana "ritengo che tali cose debbano essere ottenute con una guerra giusta e santa". Questi stessi Romani antichi, come osservava Varrone, intraprendevano le guerre ponderatamente e senza arbitrio, perché ritenevano che non bisognasse fare guerre che non fossero giuste. Camillo, diceva che le guerre devono essere condotte con giustizia non meno che con valore; e l'Africano,(2) che il popolo romano iniziava e concludeva le guerre giustamente; altrove poi si legge che "esistono leggi della guerra così come della pace". Un altro scrittore ammira la grandezza d'animo di Fabrizio,, irreprensibile in guerra - cosa fra le più difficili - e così giusto da ritenere che l'illecito esistesse anche nei riguardi dei nemico.

 

Quanta efficacia abbia in guerra la coscienza della giustizia della propria causa lo rivelano in moltissimi luoghi gli storici, che spesso attribuiscono la vittoria principalmente a questo motivo; di qui i noti detti proverbiali: "la causa per la quale i soldati combattono li abbatte o li rinfranca"; "raramente ritorna incolume chi ha preso le armi ingiustamente"; "la speranza accompagna la buona causa"; ed altri dello stesso tenore. E non deve impressionare l'esito favorevole di imprese inique: perché è già molto che la bontà della causa abbia una sua efficacia, e grande per giunta, nel determinare l'azione, anche se quest'efficacia, come suole avvenire nelle umane vicende, spesso è neutralizzata dall'opposto effetto di cause diverse. Anche nel procurarsi amicizie, delle quali come gli individui così anche le nazioni hanno per molti scopi bisogno, molta importanza ha la fama di non essere scesi in guerra senza ragione ed ingiustamente, e d'avere combattuto con lealtà. Nessuno infatti si allea facilmente a coloro che ritiene spregino ciò che è giusto, ciò che è sacro, ciò che è onesto. lo, ritenendo certissimo, per le ragioni che ho finora esposte, che esiste fra le nazioni un diritto comune da osservarsi nell'intraprendere e nel condurre le guerre, ho avuto molti e gravi motivi per porre mano a trattare per iscritto di esso. Vedevo che nel mondo cristiano le guerre si conducono con una mancanza di freni vergognosa perfino per popoli barbari; per futih o inesistenti motivi si ricorre alle armi, una volta prese le quali viene meno ogni rispetto per il diritto divino e per quello umano, proprio come se una norma universale autorizzasse ad infuriare in crimini di ogni specie.

 

Di fronte a tale efferatezza, molti uomini certamente tutt'altro che cattivi sono arrivati al punto di proibire totalmente l'uso delle armi ai cristiani, la morale dei quali consiste precipuamente nell'amare tutti gli uomini: e a costoro sembrano accostarsi talvolta Giovanni Wild e il compatriota Erasmo, uomini amantissimi della pace tanto religiosa quanto civile; ma con l'intenzione, secondo me, con cui siamo usi piegare in senso opposto gli oggetti incurvatisi, allo scopo di farli ritornare nella posizione giusta. Questa reazione eccessiva però è spesso non solo poco giovevole ma addirittura dannosa, perché la facilità con cui se ne scorge l'esagerazione toglie autorità anche a quelle altre affermazioni che pure stanno entro i limiti dei vero. Entrambi questi estremi ho dovuto perciò temperare, perché non avvenga che ora non si creda lecito nulla e che ora si creda lecito tutto.

 

(U. Grozio, Diritto di guerra e di pace, 1625)