GENTILE, I TRE MOMENTI DELLA CRITICA

 

La critica artistica è primieramente il superamento della tecnica o contenuto dell'opera d'arte. Rifare a ritroso tutta la via che l'artista percorse animando del proprio sentimento quella materia onde si espresse. Dalla molteplicità dei mezzi espressivi che si susseguono lungo tale via, risalire all'unità primitiva: dalle parole tornare al sentimento che le ispirò. Finché la critica è lungo la via e s'indugia su quel che le parole significano, e sulla precisa determinazione del pensiero, onde il soggetto si configurò in una favola o in un sistema d'idee, o sullo stile e i suoi particolari, e sui caratteri della scuola a cui l'artista appartenne, e cioè sulla tecnica ond'egli fu solito rappresentare il suo animo, essa si prepara al giudizio critico, ma non è tuttavia in grado di formularlo. In questa fase introduttiva essa fa storia, interpretando i documenti dell'arte con tutti i sussidii che a tale interpretazione possono agevolare la strada: storia della vita esterna dell'artista e del suo svolgimento spirituale; e quindi storia delle idee, di cui egli si nutrì, dei costumi e delle istituzioni e condizioni della società in cui si venne formando la sua personalità, e storia degli antecedenti artistici dell'opera studiata, nello svolgimento dell'artista singolo e nel movimento artistico di cui egli fa parte; storia della tecnica nel senso stretto del termine; e della lingua che si parlava prima dell'autore e al suo tempo, e che da lui fu usata e appropriata al suo modo di sentire nelle opere precedenti e nelle successive; e così via. Tutti questi sussidii ci accostano alla personalità dell'artista, con cui il critico vuol comunicare, perché con più di chiarezza e consapevolezza rifanno effettivamente il cammino fatto dall'artista per raggiungere il suo momento creativo. L'artista, lo abbiamo visto, deve superare anche lui il suo contenuto e venire in sicuro possesso della sua tecnica, in guisa che quando egli canterà o dipingerà, non faccia che tradurre in rappresentazione oggettiva (nell'autocoscienza) nient'altro che il suo sentimento, in cui tutto il resto è stato assorbito e immedesimato. Quando egli è pervenuto a sciogliere nella sua pura soggettività il mondo, e cioè a sentirlo, allora egli può esprimerlo, estraendo da sé quel che vi ha confluito, e analizzando alla luce della coscienza quello che vi è oscura massa indistinta: semplice sentire. Attraverso la storia il critico deve raggiungere tale forma d'interpretazione o pensamento dell'opera d'arte, ossia del pensiero dell'autore, che questo pensiero non stia più innanzi a lui come qualcosa di oggettivo, bensì immedesimato con la soggettività animatrice, con quel sentimento che gli diè vita: quel puro sentimento che è la vera e propria arte dell'opera, e la segreta fonte della sua bellezza. Allora il critico entra anche lui in quel che si può dire lo stato di grazia dell'artista, in cui ferve e tumultua la vita con le sue forze creatrici; e non deduce più o ragiona, non analizza freddamente, poiché entrare in quello stato di grazia, è toccare il fondo della natura e riscaldarsi al calore della sua energia creatrice. Non più analisi, ma sintesi. Il momento discorsivo e raziocinativo, in cui è consentito il ricordo analogico e la polemica con altri critici e la filosofica discussione o la ricostruzione storica, è superato: non è più il caso di ragionare e imparare; tutto quello che si doveva apprendere, chiarire e dimostrare, è stato già appreso, chiarito e dimostrato; il mondo è già posseduto; diventato sangue del nostro sangue, tutt'uno con noi, col nostro sentimento, in cui è la prima radice del nostro essere. Intorno a noi, più nulla. Nessuna cura più, nessun pensiero. Nella gioia di questa nostra infinita potenza, non siamo già faccia a faccia con l'artista, ma abbiamo superato ogni differenza e dualità tra noi e lui. Abbiamo restaurato in noi quell'umanità profonda, che è la sua umanità; quell'umanità, per cui ognuno che, ci parli con cuore commosso e ci commuova, è nostro fratello, e ci trae là dove sentiamo d'esser figli d'un solo, con lo stesso cuore e gli stessi occhi per guardarci intorno, vedendo lo stesso mondo. Proprio così: gli stessi occhi e lo stesso mondo. Una volta che sei entrato nel sentimento del poeta, quello stesso mondo che fu il suo, infinito, o dai margini invalicabili, ecco risorge in tutti i suoi particolari: risorge come un mondo vivo, caldo, logico, luminoso: il bel mondo animato dallo spirito del poeta, E allora il critico, se egli veramente s'è immedesimato con quel sentimento e chiuso in quello stato di grazia che non gli consenta più distrazioni ed erramenti, ritrova in sé la potenza creatrice del poeta; e rivede il suo mondo in quanto questo via via gli sorge davanti come per miracolo rievocato dalla sua medesima interiore potenza, ed entra nella terza e definitiva fase del suo lavoro: l'esposizione dell'opera d'arte, che non è prosaico riassunto, analitico ed esplicativo, ma commossa creazione. Il contenuto già superato risorge; ma non è più l'astratto contenuto insipido, che si vede e non si tocca, o si tocca quasi per manum alienam et absque gustu, come diceva il nostro Campanella; bensì il contenuto concreto tutto perfuso del gusto del sentimento. Tre, riassumendo, i momenti della critica: superamento del contenuto astratto, gusto, ricostruzione del contenuto concreto.

 

(G. Gentile)