Heine, La filosofia tedesca e la rivoluzione

Heine stabilisce un parallelo fra la rivoluzione filosofica in Germania e la rivoluzione politica in Francia: il criticismo kantiano, l’idealismo di Fichte e la filosofia della natura di Schelling hanno sviluppato in Germania una grande forza rivoluzionaria che è in attesa soltanto del momento di potersi scatenare.

 

H. Heine, Sulla storia della religione e della filosofia in Germania, libro III

 

La nostra rivoluzione filosofica è terminata. Hegel ha chiuso il suo grande ciclo. [...]

La filosofia tedesca è una cosa importante, che interessa tutto il genere umano, e solo i nipoti che verranno potranno decidere se siamo da biasimare o da lodare per il fatto che abbiamo elaborato prima la nostra filosofia e poi la nostra rivoluzione. A me sembra che un popolo metodico, come siamo noi, dovesse cominciare con la riforma, potesse in seguito occuparsi di filosofia e, solo dopo averla portata alla perfezione, procedere alla rivoluzione politica. Io trovo del tutto ragionevole quest’ordine. Le teste, che la filosofia ha adoperato per meditare, queste poi la rivoluzione può abbatterle per i propri fini. Ma la filosofia non avrebbe mai potuto adoperare le teste che sarebbero state abbattute dalla rivoluzione, nel caso che la avesse preceduta. Ma non siate inquieti, repubblicani tedeschi: la rivoluzione tedesca non sarà né piú dolce né piú mite perché l’ha preceduta la critica kantiana, l’idealismo trascendentale di Fichte e la filosofia della natura. Attraverso queste dottrine si sono sviluppate le forze rivoluzionarie che attendono solo il giorno in cui potranno scatenarsi e riempire il mondo di orrore e di ammirazione. Si vedranno dei kantiani che, anche nel mondo dei fenomeni, non vorranno saperne della pietà e che, spietatamente, con la spada e con la scure, sconvolgeranno il terreno della nostra vita europea, per estirpare anche le ultime radici del passato. Verranno sulla scena dei fichtiani armati che, nel fanatismo della loro volontà, non potranno essere frenati né dalla paura né dall’interesse personale, giacché essi vivono nello spirito e combattono la materia come i primi cristiani che non potettero essere piegati né dalle torture né dai piaceri della carne; anzi, siffatti idealisti trascendentali sarebbero, in un rivolgimento sociale, ancora piú tenaci dei primi cristiani, poiché, mentre questi subivano il martirio terreno per giungere alla beatitudine celeste, l’idealista trascendentale considera lo stesso martirio come una vana parvenza ed è irraggiungibile nella trincea del proprio pensiero. Ma piú terribili di tutti sarebbero ancora i filosofi della natura che attivamente interverrebbero in una rivoluzione tedesca e si identificherebbero con la stessa opera di distruzione. E invero, se la mano del kantiano percuote fortemente e sicuramente, per il fatto che il suo cuore non è mosso da nessuna riverenza tradizionale; se il fichtiano coraggiosamente affronta ogni pericolo, per il fatto che per lui non ne esiste nella realtà nessuno; il filosofo della natura sarà terribile per il fatto che si mette in relazione con le potenze originarie della natura, può evocare le forze demoniache del panteismo alto-germanico, che risvegliano in lui la bellicosità che troviamo negli antichi tedeschi, i quali non combattono né per distruggere né per vincere, ma semplicemente per combattere. Il cristianesimo – e questo è il suo merito piú bello – ha addolcito un poco la brutale bellicosità germanica; tuttavia non ha potuto distruggerla, e, quando una volta il talismano lenitore, la croce, si rompe, allora si scatena nuovamente la ferocia degli antichi guerrieri, la folle furia bellicosa, della quale i poeti nordici cantano e dicono tante cose. Quel talismano è tarlato e verrà il giorno in cui andrà miseramente in frantumi.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 866-867)