HEIDEGGER, L'ESSERE-PER-LA-MORTE

Per Heidegger l'esistenza è autentica quando è pervasa dall'angoscia che scaturisce dal prendere coscienza della nostra finitudine: questo è il "vivere-per-la-morte", che ha dunque una valenza altamente positiva, in quanto rende autentiche le scelte e, con esse, la vita (cosa che non potrebbe avvenire in una prospettiva di vita eterna). E tuttavia possiamo vivere come fatto solamente la morte altrui, mentre la nostra la viviamo sempre e soltanto come possibilità solo nostra, nella consapevolezza che, prima o poi, essa ci coglierà. Ne consegue che la morte ha per noi un significato non come fatto, ma come possibilità: e, a questo punto, Heidegger fa acutamente notare come nella società moderna, in cui non si parla ma si chiacchiera e non si aspira alla conoscenza ma alla curiosità, la morte stessa è stata rimossa. E l'aspetto più inautentico dell'esistenza della società di massa risiede proprio nel fatto che si vive perfino la morte nel "Si": non più "io muoio", ma "Si muore", quasi come se la morte non ci coinvolgesse mai in prima persona; essa viene tragicamente inserita nel "Si" generico e, pertanto, perde il suo significato di possibilità.

 

La morte sovrasta l'esserci. La morte non è affatto una semplice presenza non ancora attuatasi, non è un mancare ultimo ridotto ad minimum, ma è, prima di tutto, un'imminenza che sovrasta. Ma all'esserci, come essere-nel-mondo, sovrastano molte cose. Il carattere d'imminenza sovrastante non è esclusivo della morte. Un'interpretazione del genere potrebbe far credere che la morte sia un evento che s'incontra nel mondo, minaccioso nella sua imminenza. Un temporale può sovrastare come imminente; la riparazione d'una casa, l'arrivo d'un amico, possono essere imminenti; tutte cose, queste, che sono semplici-presenze o utilizzabili o compresenze. Il sovrastare della morte non ha un essere di questo genere. [...] La morte è una possibilità di essere che l'esserci stesso deve sempre assumersi da sé. Nella morte l'esserci sovrasta se stesso nel suo poter-essere più proprio. In questa possibilità ne va per l'esserci puramente e semplicemente del suo essere-nel-mondo. La morte è per l'esserci la possibilità di non-poter-più-esserci. Poiché in questa possibilità l'esserci sovrasta se stesso, esso viene completamente rimandato al proprio poter-essere più proprio. In questo sovrastare dell'esserci a se stesso, dileguano tutti i rapporti con gli altri esserci. Questa possibilità assolutamente propria e incondizionata è, nel contempo, l'estrema. Nella sua qualità di poter-essere, l'esserci non può superare la possibilità della morte. La morte è la possibilità della pura e semplice impossibilità dell'esserci. Così la morte si rivela come la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile. Come tale è un'imminenza sovrastante specifica. [...] Questa possibilità più propria, incondizionata e insuperabile, l'esserci non se la crea accessoriamente e occasionalmente nel corso del suo essere. Se l'esserci esiste, è anche già gettato in questa possibilità. [...]. L'esser-gettato nella morte gli si rivela nel modo più originario e penetrante nella situazione emotiva dell'angoscia. Un'angoscia davanti alla morte è angoscia davanti al poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile. [...] L'angoscia non dev'essere confusa con la paura davanti al decesso. Essa non è affatto una tonalità emotiva di 'depressione', contingente, casuale, alla mercé dell'individuo; in quanto situazione emotiva fondamentale dell'esserci, essa costituisce l'apertura dell'esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine. Si fa così chiaro il concetto esistenziale dei morire come esser-gettato nel poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile, e si approfondisce la differenza rispetto al semplice scomparire, al puro cessare di vivere e all'esperienza vissuta dei decesso. [...] Un'interpretazione pubblica dell'esserci dice: "Si muore"; ma poiché si allude sempre a ognuno degli Altri e a noi nella forma dei Si anonimo, si sottintende: di volta in volta non sono io. Infatti il Si è il nessuno. [...] Il morire, che è mio in modo assolutamente insostituibile, è confuso con un fatto di comune accadimento che capita al Si. Questo tipico discorso parla della morte come di un "caso" che ha luogo continuamente. Esso fa passare la morte come qualcosa che è sempre già "accaduto", coprendone il carattere di possibilità e quindi le caratteristiche di incondizionatezza e di insuperabilità. Con quest'equivoco l'esserci si pone nella condizione di perdersi nel Si proprio rispetto al poter-essere che più di ogni altro costituisce il suo se-Stesso più proprio. Il Si fonda e approfondisce la tentazione di coprire a se stesso l'essere-per-la-morte più proprio. Questo movimento di diversione dalla morte coprendola domina a tal punto la quotidianità che, nell'essere-assieme, "i parenti più prossimi" vanno sovente ripetendo al "morente" che egli sfuggirà certamente alla morte e potrà far ritorno alla tranquilla quotidianità del mondo di cui si prendeva cura. Questo "aver cura" vuol così "consolare il morente". Ci si preoccupa di riportarlo nell'esserci, aiutandolo a nascondersi la possibilità del suo essere più propria, incondizionata e insuperabile. Il Si si prende cura di una costante tranquillizzazione nei confronti della morte. In realtà ciò non vale solo per il "morente" ma altrettanto per i consolanti. [...] Il Si non ha il coraggio dell'angoscia davanti alla morte. [...] Nell'angoscia davanti alla morte, l'esserci è condotto davanti a se stesso in quanto rimesso alla sua possibilità insuperabile. Il Si si prende cura di trasformare quest'angoscia in paura di fronte a un evento che sopravverrà. Un'angoscia, banalizzata equivocamente in paura, è presentata come una debolezza che un esserci sicuro di sé non deve conoscere. [...] Un essere-per-la-morte è l'anticipazione di un poter-essere di quell'ente il cui modo dì essere è l'anticiparsi stesso. Nella scoperta anticipante di questo poter-essere, l'esserci si apre a se stesso nei confronti della sua possibilità estrema. Ma progettarsi sul poter essere più proprio significa poter comprendere se stesso entro l'essere dell'ente così svelato: l'anticipazione dischiude all'esistenza, come sua estrema possibilità, la rinuncia a se stessa, dissolvendo in tal modo ogni solidificazione su posizioni esistenziali raggiunte.

 

(Heidegger, Essere e tempo)