Huizinga, le regole del gioco filosofico

 

Il susseguirsi degli stadi della filosofia può essere visto all’ingrosso come segue. In tempi primordiali essa parte dal sacro gioco d’enigmi e di dispute rituali, i quali nondimeno adempiono la funzione di festa pubblica. Da lì nasce, verso il lato sacro, la profonda teosofia e filosofia delle Upanishad e dei filosofi presocratici, mentre verso il lato ludico si sviluppa la pratica dei Sofisti. Le due sfere non sono separate in senso assoluto. Platone conduce la filosofia, come più nobile tendenza alla verità, ad altezze tali quali le poteva raggiungere lui solo, mantenendo però sempre alla filosofia quella forma leggera che era il suo vero elemento. Ma contemporaneamente essa prosegue anche nella sua forma inferiore: logica fallace, gioco di spirito, sofistica e retorica. Orbene, nella società ellenica il fattore agonale era tanto forte che la retorica potè diffondersi a scapito della filosofia più pura, e diventare la cultura dei gruppi più estesi offuscando così quell’altra saggezza a rischio di soffocarla. (…) Il famoso trattato di Gorgia, Del non-ente, che rinnegava in modo assoluto ogni serio sapere a favore di un nichilismo radicale, può essere chiamato un gioco tanto quanto la declamazione su Elena, a cui egli stesso dette quel nome. L’assenza di limiti chiari tra gioco e sapere è rivelata anche dal fatto che gli stoici trattano alla stessa stregua, senza alcuna distinzione, gli insensati aforismi fondati su un tranello grammaticale e i gravi ragionamenti della scuola di Mileto. Dibattito e declamazione sono al loro apogeo. Anche quest’ultima era sempre stata oggetto di gare pubbliche. Parlare era un rappresentare, un esibirsi, un ostentare colla parola. La lotta di parola era per gli Elleni la forma letteraria appropriata per riprodurre una questione delicata o per giudicarne. Così Tucidide (…) tratta del conflitto fra potere e diritto nel dibattito sulla violazione della neutralità dell’isola di Melos, dibattito formulato da lui completamente come gioco sofistico di domanda e risposta. Nelle Nuvole Aristofane mette in parodia la passione delle dispute esibitorie nel duello retorico del logos giusto e ingiusto. [...] Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. Anzi si può affermare senz’altro che la civiltà umana non ha aggiunto al concetto stesso di gioco alcuna caratteristica essenziale. Gli animali giocano proprio come gli uomini; tutte le caratteristiche fondamentali del gioco sono realizzate in quello degli animali. (…) Il gioco come tale oltrepassa i limiti dell’attività puramente biologica: è una funzione che contiene un senso. Al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l’immediato istinto a mantenere la vita, e che mette un senso nell’azione del giocare. (…) Comunque lo si consideri, certamente si manifesta con tale "intenzione del gioco", un elemento immateriale nella sua stessa essenza. (...) Che cosa è in fondo il "gusto" del gioco? (…) Quest’ultimo elemento, il "gusto" del gioco, resiste a ogni analisi o interpretazione logica. (…) Ed è proprio questo elemento che determina l’essenza del gioco. Nel gioco abbiamo a che fare con una categoria di vita assolutamente primaria, facilmente riconoscibile da ognuno, con una sua "tonalità". La realtà "gioco", percettibile da ognuno, si estende sopra il mondo animale e umano insieme. Perciò non può essere fondata su un rapporto razionale, perché il fatto che sia basata sulla ragione la limiterebbe al mondo umano. L'esistenza del gioco non è legata a nessun grado di civiltà, a nessuna concezione della vita. (...) Insieme al gioco però si riconosce anche, volere o no, lo spirito. Perché il gioco, qualunque sia l’essenza sua, non è materia. Oltrepassa già nel mondo animale i limiti dell’esistenza fisica. Riguardo a un mondo di immagini come determinato da un mero rapporto di forze, il gioco sarebbe una sovrabbondanza nel senso proprio della parola. Solo per l’influenza dello spirito, che abolisce l’assoluta determinatezza, l’esistenza del gioco diventa possibile, immaginabile, comprensibile. L’esistenza del gioco conferma senza tregua, e in senso superiore, il carattere sopralogico della nostra situazione nel cosmo. Gli animali sanno giocare, dunque sono già qualche cosa di più che meccanismi. Noi giochiamo e sappiamo di giocare, dunque siamo qualche cosa di più che esseri puramente raziocinanti, perché il gioco è irrazionale.

 

(J. Huizinga, Homo ludens)