Jonas, L’uomo nell’universo

Con notevole efficacia Hans Jonas mette in evidenza il fatto che se l’uomo è il prodotto di un processo evolutivo, egli è anche in questo processo qualcosa di inaudito e di pericoloso.

 

H. Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila

 

Da Copernico in poi, non piú l’universo, ma solo la terra è la dimora della vita. Nulla nell’immensità di tutto ciò che resta ci garantisce che una tale dimora debba esserci in generale. Perciò dobbiamo considerare noi e ogni vita intorno a noi come un raro caso fortunato nel cosmo, che ha consentito ad una possibilità celata nel grembo della materia e rimasta tale in ogni sua regola di realizzarsi in modo del tutto eccezionale. D’altro lato – Darwin ce l’ha insegnato – solo grazie al favore di condizioni planetarie particolari verificatesi del tutto occasionalmente, ha dimostrato la sua forza ontologica in un divenire lungo un intero eone, ricco di mutamenti – e tuttavia privo di un piano generale, senza uno scopo particolare, volto tanto al creare quanto al distruggere; un divenire che ha popolato la biosfera disponibile con le sue forme imprevedibili. Confrontato con questo dramma terrestre, ricco di tutte le sue complesse manifestazioni, l’intero restante universo manifesto risulta primitivo e monotono. Ma è la stessa sostanza originaria che opera nelle galassie, nei soli e nei pianeti che si muovono nello spazio cosmico, quella che ha generato da se stessa la vita, il piacere e il dolore, la volontà e il timore, il vedere e il sentire, l’amore e l’odio. Nessun materialismo di origine fisica può cogliere ciò, e tuttavia la prova monistica dell’evoluzione si contrappone ad ogni dualismo, una prova che a mio avviso nessuna dottrina filosofica dell’essere ha sufficientemente considerato. D’altra parte non può essere oggetto delle scienze fisiche che restano vincolate ad una diagnosi meramente fisica. Quest’ultima, presa per sé, non possiede, al di là del minimalismo della causalità meccanica, nessuna forza vitale o analoga per spiegare la piú sottile complessità della struttura e della funzione organica e, ancor piú, la sua iniziale genesi storica. Tanto piú grande diviene l’enigma della soggettività che emerge negli stadi progressivi della storia della natura e parla un linguaggio totalmente altro. Lo scienziato della natura non può che essere sordo a questa lingua, non può che accusarla di praticare l’inganno, giacché parla di fini e di scopi. Ma questo mistero non deve lasciare in pace la filosofia, che deve saper ascoltare entrambi questi linguaggi, quello del mondo esterno e quello del mondo interno, e riunirli entrambi in un’affermazione sull’essere che deve rendere ragione dell’insieme psicofisico della realtà. Siamo ancora ben lontani da una tale auspicata teoria dell’essere e non sappiamo se un giorno sarà nostra. Ma già l’impegno di tendere ad essa significa fuoriuscire dalla sicurezza cartesiana del sapere chiaro e distinto per arrischiarci nell’insicurezza del congetturare metafisico. Io non penso che a ciò ci si possa sottrarre ancora piú a lungo.

In secondo luogo, nell’evoluzione di ciò che vive noi incontriamo noi stessi, gli uomini. In realtà siamo comparsi molto tardi, cioè da poco tempo. Il nostro ingresso in questo processo è stato un evento della storia della vita con conseguenze inaudite, e non è ancora chiaro se è sorto e cresciuto per provocarle. Con questo evento, la potenza del pensiero ha fatto il proprio ingresso in un’evoluzione piú vasta e annullato i meccanismi di equilibrio biologico finora esistenti dei sistemi ecologici. Modelli di comportamento non piú fissati geneticamente lottano per prender parte stabilmente senza rischi allo spazio vitale, ma la capacità inventiva dell’homo faber, libera e capace di trovare una risposta per ogni situazione, ordina in modo parziale, sempre nuovo e sempre piú rapido le condizioni di una piú ampia scienza del vivere simbiotico [Symbiotik]. Dall’antichissima età della pietra fino alla tecnica scientifica un cammino, lungo per la storia dell’uomo, ma breve per la storia dell’evoluzione è stato percorso dal sorgere della scienza moderna della natura nel XVII secolo che ha subito un processo di accelerazione esponenziale. Ciò che noi oggi viviamo è il paradosso di un enorme successo che minaccia di risolversi, mercé la distruzione della sua propria base naturale, in una catastrofe.

 

H. Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova, 1994, pagg. 45-48