Kant, I postulati della ragione pratica

Kant presenta la dottrina dei postulati della ragione pratica (cioè l’immortalità, la libertà e l’esistenza di Dio). I postulati non hanno valore gnoseologico, ma “nessuna sofistica potrà mai strappare dalla persuasione che siano concetti veri”.

 

I. Kant, Critica della ragion pratica, capp. III, VI

 

Essi partono tutti dal principio fondamentale della moralità, che non è un postulato, ma una legge, mediante la quale la ragione determina mediatamente la volontà. E la volontà, appunto perché essa è cosí determinata, come volontà pura esige queste condizioni necessarie dell’osservanza del suo precetto. Questi postulati non sono dogmi teoretici, ma presupposti di intento necessariamente pratico non ampliano dunque la conoscenza speculativa, ma attribuiscono realtà oggettiva alle idee della ragione speculativa in genere (mediante la loro relazione alla prassi) e le giustificano quali concetti, di cui essa altrimenti non si potrebbe permettere di sostenere anche solo la possibilità.

Questi postulati sono quelli dell’immortalità, della libertà, considerata in senso positivo (come la causalità propria di un’essenza in quanto questa appartiene al mondo intelligibile) e dell’esistenza di Dio. Il primo deriva dalla condizione, praticamente necessaria, di una durata in proporzione della compiutezza dell’adempimento della legge morale; il secondo dal necessario presupposto dell’indipendenza dal mondo sensibile e dalla facoltà di determinazione del proprio volere, secondo la legge di un mondo intelligibile, cioè quella della libertà; la terza dalla necessità della condizione per un tal mondo intelligibile, perché sia il Sommo Bene, mediante il presupposto del Sommo Bene indipendente, cioè dell’esistenza di Dio.

L’intento necessario verso il Sommo Bene mediante il rispetto per la legge morale e il presupposto, che ne deriva, della realtà oggettiva di quello, guida pertanto, mediante postulati della ragion pratica, a concetti che la ragione speculativa poteva presentare come problemi, ma non risolvere. [...]

Ora, viene però in tal modo effettivamente ampliata la nostra conoscenza mediante la ragion pura pratica, ed è immanente in questa ciò che per la speculativa era trascendente? Certamente, ma solo nell’aspetto pratico. Perché noi per tal via non conosciamo, invero, né la natura della nostra anima, né il mondo intelligibile, né l’essenza suprema, quanto a ciò che essi sono in sé stessi; bensí ne abbiamo solo riuniti i concetti del concetto pratico del Sommo Bene, come l’oggetto della nostra volontà, e del tutto a priori, mediante la ragion pura, però soltanto per mezzo della legge morale, e anche semplicemente in relazione a questa, in rapporto all’oggetto che essa impone. Ma come sia possibile anche soltanto la libertà, e come questa specie di causalità sia da rappresentarsi teoreticamente e positivamente, per tal via non si intravede, bensí soltanto viene postulato mediante la legge morale, e in rapporto a questa, che ve ne sia una. Cosí è anche per le altre idee, della cui possibilità nessun intelletto umano riuscirà mai a trovare il fondamento, ma per le quali nessuna sofistica potrà mai strappare dalla persuasione, anche dell’uomo piú comune, che esse siano concetti veri.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 309-310)