Kerenyi, Il mito e la fede

Karoly Kerenyi (1897-1973), ungherese, storico delle religioni, è soprattutto uno studioso dei miti, da lui intesi come prodotto dell’uomo per l’uomo stesso. Della sua vasta produzione ricordiamo Gli dei e gli eroi della Grecia (1951). Il mito è  per lui un “asserto che si presenta con la pretesa della verità, senza rispondere ai requisiti del vero”, la cui pretesa di verità si fonda sulla fede.

 

K. Kerenyi, Il mito della fede, in AA. VV., Fede e mito, [“Atti Centro Internaz. Studi Umanistici”, Roma 1966], a cura di E. Castelli, Cedam, Padova, 1966, pagg. 105 e segg.

 

Ho già tentato di dire, su fondamento molto ampio, come debba determinarsi il “mito” per una comprensione generale, in base all’uso greco e all’uso attuale della parola: come un asserto, che si presenta con la pretesa della verità, anzi di una importante verità, senza rispondere ai requisiti del vero. La differenza tra mito genuino e mito non-genuino – il mito della storia delle religioni e il mito della storia politica con tutti gli altri pseudomiti – può essere semplicemente indicato in ciò che apparizione e pretesa di verità del mito genuino sono spontanee, mentre nello pseudomito sono costruite. Con questa determinazione si è posta una differenza tra “verità” e “requisiti del vero”. I “requisiti del vero” intervengono solo nella riflessione sulla verità. Servono alla verifica del vero. Ma il nostro mondo si trasformerebbe in un mondo di ombre – come già è avvenuto nella storia della filosofia, anzi, nella stessa storia delle religioni – se in esso le verità dovessero sempre comparire insieme alla necessità della loro verifica. Al mito genuino sono estranei i requisiti del vero. Allo pseudomito, o, piú giustamente, ai suoi rappresentanti, tali requisiti sono per lo piú noti, anzi essi vorrebbero eluderli e lasciar agire un “mito” senza osservare i requisiti del vero.

Ma dove si fonda la pretesa di verità del mito genuino se ad esso quei requisiti sono estranei? Non costituisce la fede il fondamento piú ampio per tutte le religioni, da cui anche il mito attinge forza per la sua pretesa di verità? Anche se cosí fosse – il che non si può in alcun modo assumere come certo a priori – occorrerebbe ancora chiedersi: quale fede? E ciò senza considerare che cosa venga di volta in volta creduto, intendendo la pura fede. La storia delle religioni non implica necessariamente anche una pluralità di “fedi”. Ardisco usare il plurale della parola in rapporto alla formulazione del problema, dal momento che ciò è già stato osato in italiano: una arditezza, specialmente da quando la nostra cultura è divenuta cristiana e “fede” “suona” una res cristiana.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. V, pag. 128