Kierkegaard, Sul Quarantotto

Kierkegaard giudica in questo modo la rivoluzione del Quarantotto: non i governi abusavano del potere, come si diceva, ma piuttosto “il difetto era che non si governava”. La borghesia voleva il potere, ma si è spaventata subito quando ha visto dietro di sé il quarto stato, “la vittima innocente a cui si darà addosso”.

 

S Kierkegaard, L’unica cosa che è necessaria

 

Ed ora, nell’anno 1848, è ormai assolutamente chiaro che quei pochi che erano in grado di vedere e di giudicare avevano visto anche che il difetto dell’epoca precedente non era nel fatto che i governi abusavano del potere né che il governare non era una responsabilità di fronte a Dio, ma l’elaborazione della piú raffinata civetteria, ma proprio il contrario: che i governi cioè non erano capaci di osare di adoperare il potere – né ne avevano il coraggio morale –; per farla breve, il difetto era che non si governava.

Adesso peraltro è ben chiaro che ciò che occorre in senso politico si può esprimere con una sola parola: governo. Se dunque – per servirmi di una espressione biblica – la provvidenza dovesse mandare adesso dei giudici, questi non dovrebbero venire, come un tempo, per dirigere il governo, ma per contribuire con tutte le loro forze a che il governare sia possibile. La responsabilità di tutto questo ricade su una borghesia che, piena di pretese, dotata di media cultura, demoralizzata dalle lusinghe della stampa, credeva di poter governare perché era l’opinione pubblica. Ma forse non si è mai visto nella storia che la nemesi sia venuta cosí in fretta: perché nello stesso istante, allo stesso suono di campana al quale la borghesia si protese con decisione verso il potere il quarto stato si sollevò. Ora verrà certamente detto che la colpa è sua, ma questo non è vero: il quarto stato è la vittima innocente a cui si darà addosso, che verrà fucilata e maledetta – e questo vien detto legittima difesa; e lo è anche, in un certo senso: è legittima difesa perché la borghesia ha distrutto lo Stato.

 

La sinistra hegeliana, Laterza, Bari, 1960, pagg. 477-478