Kuhn, Scienza normale e scienza straordinaria

Con T. Kuhn la riflessione epistemologica post-popperiana sembra indirizzarsi non più verso la determinazione della struttura metodologica e linguistica delle scienze, quanto piuttosto verso l'ana­lisi del fenomeno storico dello "sviluppo" della scienza.

Nell'opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche da cui sono tratte le pagine seguenti, Kuhn sostiene la sua celebre teoria in base alla quale lo sviluppo storico della scienza sarebbe avvenuto attraverso la contrapposizione fra periodi di scienza normale, contrapposti ad altri di scienza straordinaria.

In sostanza, in ogni momento storico, la comunità degli scienziati tende a riconoscersi all'inter­no di un determinato insieme di teorie che costituiscono quello che Kuhn chiama paradigma. Que­sta è appunto la situazione tipica della scienza "normale", caratterizzata soprattutto dal tentativo di rendere sempre più articolate le teorie che costituiscono il paradigma.

Accade, tuttavia, che eventi nuovi falsifichino alcune di tali teorie, mandando progressivamente in crisi il paradigma dominante, a meno di introdurre in esso ipotesi ad hoc epistemologicamente inaccettabili.

Inizia in tal modo un periodo di scienza "straordinaria", caratterizzato da intuizioni anche di carattere extra scientifico e, comunque da schemi di ricerca più liberi. Vari nuovi ipotetici paradigmi possono venire in lotta, fintanto che, attraverso progressive falsificazioni ed un'opera di sistematizzazione, la comunità scientifica finisce col convertirsi ad un nuovo paradigma avente portata esplicativa maggiore di quello abbandonato. Nasce così un nuovo periodo di scienza "normale" ed il ciclo si chiude. La limpida prosa kuhniana consente di limitare gli interventi esplicativi.

 

In questo saggio, “scienza normale” significa una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costruire il fondamento della sua prassi ulteriore. Oggi tali punti fermi sono elencati, seppure raramente nella loro forma originale, dai manuali scientifici sia elementari che superiori. Questi manuali espongono il corpo della teoria riconosciuta come valida, illustrano molte o tutte le sue applicazioni coronate da successo e confrontano queste applicazioni con osservazioni ed esperimenti esemplari. Prima che questi testi diventassero popolari all'inizio del XIX secolo (e fino ad un periodo ancor più recente, per quanto concerne le scienze che solo da poco hanno raggiunto uno stadio maturo) molti famosi classici della scienza assolvevano tale funzione. La Fisica di Aristotele, l'Almagesto di Tolomeo, i Principia e l'Ottica di Newton, l'Elettricità di Franklin, la Chimica di Lavoisier e la Geologia di Lyell e molte altre opere servirono per un certo periodo di tempo a definire implicitamente i problemi e i metodi legittimi in un determinato campo di ricerca per numerose generazioni di scienziati. Esse furono in grado di fare ciò poiché possedevano in comune due caratteristiche: i risultati che presentavano erano sufficientemente nuovi per attrarre uno stabile gruppo di seguaci, distogliendoli da forme di attività scientifica contrastanti con essi; e nello stesso tempo, erano sufficientemente aperti da lasciare al gruppo di scienziati costituitosi su queste nuove basi la possibilità di risolvere problemi di ogni genere.[1]

D'ora in avanti, per indicare i risultati che hanno in comune queste due carat­teristiche, userò il termine “paradigmi” che ha una precisa relazione col termine “scienza normale”.

Con la scelta di questo termine ho voluto far presente il fatto che alcuni esem­pi di effettiva prassi scientifica riconosciuti come validi – esempi che compren­dono globalmente leggi, teorie, applicazioni e strumenti – forniscono modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coe­renza. Queste sono le tradizioni che lo storico descrive con etichette quali “astro­nomia tolemaica” (o “copernicana”), “dinamica aristotelica” (o “newtoniana”), “ottica corpuscolare” (o “ottica ondulatoria”), e così via. Lo studio dei paradigmi, inclusi molti che sono ampiamente più specializzati di quelli che abbiamo citati poco fa come esempi illustrativi, è ciò che principalmente prepara lo stu­dente a diventare membro della particolare comunità scientifica con la quale più tardi dovrà collaborare. Dal momento che in tale comunità egli incontra scien­ziati che appresero i fondamenti della loro disciplina dagli stessi modelli concreti, la sua attività successiva raramente susciterà un aperto disaccordo riguardo ai principi fondamentali. Coloro la cui ricerca si basa sui paradigmi condivisi dalla comunità scientifica si impegnano a osservare le stesse regole e gli stessi modelli nella loro attività scientifica. Questo impegno, e l'evidente consenso che esso produce, sono requisiti indispensabili per una scienza normale, ossia per la gene­si e per il mantenimento di una particolare tradizione di ricerca.

[...]

Nell'uso corrente, per paradigma si intende un modello o uno schema accet­tato, e questo aspetto del suo significato mi ha permesso qui, in mancanza di uno migliore, di appropriarmi del termine di “paradigma”. Ma ben presto appa­rirà chiaramente che il significato di “modello” e di “schema” che permette tale appropriazione non è propriamente quello abituale nella definizione di “paradig­ma”. In grammatica, per esempio, “amo, amas, amat” è un paradigma, perché mostra lo schema da usare nel coniugare numerosi altri verbi latini, per esempio nell'ottenere “laudo, laudas, laudat”. In questa applicazione convenzionale, la funzione del paradigma è quella di permettere la riproduzione di esempi, ciascu­no dei quali potrebbe servire in linea di principio a sostituirlo. In una scienza, però, un paradigma è raramente uno strumento di riproduzione. Invece, analoga­mente a un verdetto giuridico accettato nel diritto comune, è lo strumento per una ulteriore articolazione e determinazione sotto nuove o più restrittive condizioni.[2]

Per vedere come ciò funziona, dobbiamo riconoscere quanto limitato possa essere sia l'ambito che la precisione di un paradigma, allorché esso appare in scena per la prima volta. I paradigmi raggiungono la loro posizione perché rie­scono meglio dei loro competitori a risolvere alcuni problemi che il gruppo degli specialisti ha riconosciuto come urgenti. Riuscire meglio, però, non significa riu­scire completamente per quanto riguarda un unico problema o riuscire abbastan­za bene per moltissimi problemi. Il successo di un paradigma – sia esso l'analisi aristotelica del movimento, o il calcolo tolemaico della posizione dei pianeti, o l'uso della bilancia fatto da Lavoisier, o la matematizzazione che Maxwell compì del campo elettromagnetico – è all'inizio, in gran parte, una promessa di suc­cesso che si può intravedere in alcuni esempi scelti e ancora incompleti. La scien­za normale consiste nella realizzazione di quella promessa,[3] una realizzazione ottenuta estendendo la conoscenza di quei fatti che il paradigma indica come particolarmente rivelatori, accrescendo la misura in cui questi fatti si accordano con le previsioni del paradigma, e articolando ulteriormente il paradigma stesso.

Pochi tra coloro che non siano effettivamente impegnati nell'attività di una scienza matura si rendono conto di quanto lavoro di ripulitura di tal genere resti da fare dopo l'accettazione di un paradigma, o di quanto affascinante possa essere l'esecuzione di un simile lavoro. E questi punti devono essere chiaramente capiti. Le operazioni di ripulitura costituiscono l'attività che impegna la maggior parte degli scienziati nel corso di tutta la loro carriera. Esse costituiscono quella che qui chiamo la scienza normale. Una attività di tal genere, se esaminata da vicino, sia come è stata fatta nel corso della storia, sia come è condotta nei labo­ratori contemporanei, si presenta come un tentativo di forzare la natura entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dal paradigma.[4] Il compito della scienza normale non è affatto quello di scoprire nuovi generi di fenomeni; anzi, spesso sfuggono quasi completamente quelli che si potrebbero adattare al­l'incasellamento. Gli scienziati non mirano neanche, di norma, a inventare nuove teorie, e anzi si mostrano spesso intolleranti verso quelle inventate da altri. La ricerca nell'ambito della scienza normale è invece rivolta all'articolazione di quei fenomeni e di quelle teorie che sono già fornite dal paradigma.

Altri problemi, compresi alcuni che erano stati usati in periodi anteriori, ven­gono respinti come metafisici, come appartenenti a un'altra disciplina, o talvolta semplicemente come troppo problematici per meritare che si sciupi del tempo attorno ad essi. Un paradigma può finire addirittura, per questa via, con l'isolare la comunità da quei problemi socialmente importanti che non sono riducibili alla forma di rompicapo,[5] poiché essi non possono venire formulati nei termini degli strumenti tecnici e concettuali forniti dal paradigma. Problemi come questi pos­sono essere una distrazione, lezione questa brillantemente illustrata da diversi aspetti del baconianismo del XVII secolo e da alcune scienze sociali contempo­ranee. Una delle ragioni per cui la scienza normale sembra fare progressi così rapidi è che coloro che svolgono attività di ricerca entro i suoi quadri concentra­no il loro lavoro su problemi che soltanto la loro mancanza di ingegnosità po­trebbe impedir loro di risolvere.[6]

 

(T. Kuhn, da "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", traduzione di A. Carugo, per i tipi di Einaudi, Torino, 1978)

 

 



[1] Dunque un paradigma consolidato, non per questo deve essere ritenuto "rigido"; anzi, deve essere tale da dare l'impressione che, attraverso il suo utilizzo sia ancora possibile risolvere numerosi problemi mai affrontati prima,

[2] Il termine "paradigma", utilizzato da Kuhn, può ingenerare equivoci, in quanto gli si può attribuire un significato simile a quello dei paradigmi verbali propri di lingue come il latino o il greco, i quali altro non sono che strumenti esemplificativi per riprodurre un certo schema verbale ricorrente. Il paradigma scientifico, invece, non ha un valore meramente riproduttivo; esso viene utilizzato non per riproporre ciò che è già noto, ma per specificarlo ulteriormente, articolando l'analisi ad un livello sempre più rigoroso ed efficace dal punto di vista predittivo, Illuminante il parallelismo fatto da Kuhn tra paradigmi e sentenze giuridiche; la sentenza è appunto un atto che non deve essere, da lì in avanti, riprodotto in maniera pedissequa, né obbliga altri giudici a riprodurla identica, La sentenza è invece un precedente che illumina meglio la portata applicativa di una norma, consentendo di comprenderla sempre più in profondità, Medesima funzione ha il paradigma proprio dei periodi di scienza normale.

[3] Il periodo di scienza normale è dunque la realizzazione delle attese di funzionalità di un paradigma nuovo che ha risposto ad alcuni problemi meglio dei suoi competitori, lasciando intravedere notevoli possibilità di fertili sviluppi. In un certo senso, come Kuhn dirà poche righe più avanti, il periodo di scienza normale consiste nella "ripulitura" del paradigma vincente.

[4] Come già Popper, anche Kuhn appare del tutto consapevole che il più delle volte "spiegare" scientificamente un fenomeno naturale significa forzarne la collocazione all'interno di un certo schema di coordinate mentali; fenomeni nuovi difficilmente vengono osservati, perché, appunto, l'attenzione osservativa è selettiva, e viene guidata dal paradigma, per cui tende ad escludere (non notandoli) i fenomeni che potrebbero falsificare il paradigma stesso.

[5] Secondo Kuhn i problemi che un paradigma scientifico si pone, hanno solitamente la forma dei "rompicapo", cioè problemi la cui importanza non consiste propriamente nel loro significato, ma nel mettere alla prova l'abilità del risolutore, presentando una soluzione possibile ma difficile da trovare,

[6] Assai potente questa sottolineatura; il rapido progresso della scienza, potrebbe essere più apparente che reale, Si ha certamente un rapido progresso nella "ripulitura" di un paradigma, rimanendo all'interno di esso, proprio perché tale processo richiede solamente ingegnosità, Con ciò, però, non si ha una vera e propria forma di "progresso", perché non vengono posti sul tappeto e risolti problemi autenticamente nuovi, per i quali si rende spesso necessario il mutamento del paradigma,