KANT i rapporti fra gli stati e la pace perpetua

 

I popoli, in quanto Stati, possono essere considerati come singoli individui che, vivendo nello stato di natura (cioè nell'indipendenza da leggi esterne), si ledono a vicenda già per il solo fatto della loro vicinanza [...]. Come ora l'attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, per cui preferiscono azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi ad una coazione legale da loro stessi stabilita e preferiscono quindi la libertà sfrenata alla libertà razionale, noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza e degradazione brutale dell'umanità, così si dovrebbe pensare che popoli civili (ognuno unito in uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante. Al contrario invece ogni Stato ripone piuttosto la sua maestà [...] nel non essere appunto sottoposto a coazione legale esterna di sorta, e lo splendore del sovrano consiste nell'avere egli al suo comando, senza che debba personalmente esporsi al pericolo, molte migliaia di uomini disposti a sacrificarsi per una causa di cui ad essi non importa nulla; e la differenza tra i selvaggi dell'Europa e quelli americani consiste soprattutto nel fatto che mentre in America alcune tribù di selvaggi sono state interamente divorate dai loro nemici, gli europei invece sanno sfruttare i loro nemici vinti in un modo migliore che non divorandoli e preferiscono accrescere con essi il numero dei loro sudditi e quindi la quantità di strumenti per guerre ancora più vaste. Il modo con cui gli Stati tutelano il loro diritto non può mai essere, come davanti ad un tribunale esterno, il processo, ma solo la guerra: la quale peraltro, anche se fortunata, cioè vittoriosa, non decide la questione di diritto, e il trattato di pace può ben porre fine alla guerra attuale, ma non allo stato di guerra (cioè alla possibilità di trovare pretesti per una nuova guerra): il quale stato di guerra nemmeno si può a sua volta definire semplicemente come ingiusto, poiché in esso ognuno è giudice in causa propria.

 

(I. Kant, Per la pace perpetua)