KIERKEGAARD, ESSENZA ED ESISTENZA

 

Ciò che confonde tutta la dottrina sull’essenza nella logica è il non badare che si opera sempre con il concetto di esistenza. Ma il concetto di esistenza è un’idealità, e la difficoltà sta appunto nel vedere se l’esistenza si risolva in concetti. Se fosse così, allora Spinoza potrebbe aver ragione nel suo essentia involvit exsistentiam, cioè il concetto di esistenza, vale a dire l’esistenza ideale. Ma d’altra parte anche Kant ha ragione quando afferma che dal concetto di esistenza non scaturisce nessuna nuova determinazione di contenuto. […] Soprattutto nell’àmbito dell’ideale vale il principio che l’essenza è l’esistenza (se è permesso di usare qui il concetto di esistenza). La tesi leibniziana "se Dio è possibile, è necessario" è giustissima. Ad un concetto non si aggiunge nulla in più, sia ch’esso abbia o non abbia l’esistenza: nulla importa al concetto di questo; perché esso ha ben l’esistenza, cioè esistenza di concetto, esistenza ideale. Ma l’esistenza corrisponde alla realtà singolare, al singolo (ciò che già insegnò Aristotele): essa resta fuori, ed in ogni modo non coincide con il concetto. Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo l’esistenza (essere o non essere) è qualcosa di molto decisivo; un uomo singolo non ha certo un’esistenza concettuale. Il modo nel quale la filosofia moderna parla dell’esistenza mostra ch’essa non crede all’immortalità personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo l’eternità dei "concetti".

 

(Kierkegaard, Diario)