Leopardi, Coro dei morti nello studio di Federico Ruysch

Federico Ruysch (l638-l73l), medico e anatomista olandese, scoprí un metodo per preservare dalla putrefazione i cadaveri. La canzone che segue costituisce l’inizio del Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie: lo scienziato, sentendo i propri morti cantare, entra nello studio e comincia a interrogarli.

Il canto si apre con l’affermazione della certezza e della naturalità della morte e con la descrizione della condizione degli uomini dopo la morte. Il discorso è in forma impersonale e potrebbe essere pronunciato da qualunque mortale. Poi, improvvisa, la rivelazione: sono i morti a parlare (“Vivemmo”). Quella di “far parlare i morti” non è certo una invenzione di Leopardi (si pensi solamente a Dante), ma qui è originale il rapporto che è proposto fra morte e vita: non c’è rimpianto per la vita che non è piú e di essa non si ha che un pallidissimo ricordo; la vita è per i morti ciò che la morte è per i vivi: “cosa arcana e stupenda”. In questo rovesciamento i morti “rifuggono” la vita come i vivi la morte. Non si tratta di un rovesciamento simmetrico, come quello  delle immagini speculari, ma piuttosto come quello fra negativo e stampa nella fotografia: il nero al posto del bianco, il pieno al posto del vuoto. La vita e la morte sono entrambe reali, ma inconciliabili. Il realismo leopardiano attribuisce un vantaggio alla morte: rispetto alla vita essa è “certa”. Ma non si pensi – conclude Leopardi per bocca delle mummie – che la morte sia il raggiungimento di qualche felicità: l’“esser beato” è negato, in ugual misura, ai vivi e ai morti.

 

G. Leopardi, Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie (l824)

 

1             Sola nel mondo eterna, a cui si volve

2             Ogni creata cosa,

3             In te, morte, si posa

4             Nostra ignuda natura;

5             Lieta no, ma sicura

6             Dall’antico dolor. Profonda notte

7             Nella confusa mente

8             Il pensier grave oscura;

9             Alla speme, al desio, l’arido spirto

10           Lena mancar si sente:

11           Cosí d’affanno e di temenza è sciolto,

12           E l’età vote e lente

13           Senza tedio consuma.

14           Vivemmo: e qual di paurosa larva,

15           E di sudato sogno,

16           A lattante fanciullo erra nell’alma

17           Confusa ricordanza:

18           Tal memoria n’avanza

19           Del viver nostro: ma da tema è lunge

20           Il rimembrar. Che fummo?

21           Che fu quel punto acerbo

22           Che di vita ebbe nome?

23           Cosa arcana e stupenda

24           Oggi è la vita al pensier nostro, e tale

25           Qual de’ vivi al pensiero

26           L’ignota morte appar. Come da morte

27           Vivendo rifuggia, cosí rifugge

28           Dalla fiamma vitale

29           Nostra ignuda natura

30           Lieta no ma sicura;

31           Però ch’esser beato

32           Nega ai mortali e nega a’ morti il fato.

 

(G. Leopardi, Tutte le opere, Sansoni, Firenze, l9885, vol. I, pag. l34)