Leopardi, Illusione e ragione

Leopardi affronta in questa pagina, in maniera esplicita, il rapporto fra illusione e ragione. La facoltà di produrre illusioni è un dato “naturale” nell’uomo, addirittura presente in misura grandissima “nei fanciulli, primitivi, ignoranti, barbari, ec.” e, in un certo grado, molto verosimilmente “anche nelle bestie”. Anche il pensiero e la ragione sono elementi naturali nell’uomo, cosí come il desiderio di piacere; pensiero e desiderio di piacere dimostrano “la spiritualità dell’anima umana”. In mezzo a questi elementi naturali fa la sua comparsa un “sentimento non naturale”: il “sentimento della nullità delle cose”. La presa di coscienza, attraverso la ragione, della “nullità delle cose” distrugge l’“istinto”, il “sentimento” e, quindi, le fonti dell’illusione. Leopardi sembra proporre la contrapposizione fra “apollineo” e “dionisiaco” che sta al centro della critica di Nietzsche al socratismo. L’illusione, una volta smascherata, non potrà piú essere riprodotta se non con l’azione creatrice (la “finzione”) del poeta; ma l’illusione creata consapevolmente dà un piacere di cui non ignoriamo il carattere ingannevole (“dilettosi inganni”, Il tramonto della luna, v. 24); è “caduca” come l’uomo che la crea: il paradiso e l’inferno sono definitivamente cancellati dalla nostra prospettiva; l’unico paradiso, e soprattutto l’unico inferno, con cui confrontarci è qui, su questa terra.

 

G. Leopardi, Zibaldone, l79-l8l (luglio l820) ( pagg. l53-l54)

 

L’infinità della inclinazione dell’uomo al piacere è una infinità materiale, e non se ne può dedur nulla di grande o d’infinito in favore dell’anima umana, piú di quello che si possa in favore dei bruti nei quali è naturale ch’esista lo stesso amore e nello stesso grado, essendo conseguenza immediata e necessaria dell’amor proprio, come spiegherò poco sotto. Quindi nulla si può dedurre in questo particolare dalla inclinazione dell’uomo all’infinito, e dal sentimento della nullità delle cose (sentimento non naturale nell’uomo, e che perciò non si trova nelle bestie, come neanche nell’uomo [l80] primitivo, ed è nato da circostanze accidentali che la natura non voleva). E il desiderio del piacere essendo una conseguenza della nostra esistenza per sé, e per ciò solo infinito, e compagno inseparabile dell’esistenza come il pensiero, tanto può servire a dimostrare la spiritualità dell’anima. umana, quanto la facoltà di pensare. Anzi è notabile come quel sentimento che pare a prima giunta la cosa piú spirituale dell’animo nostro, sia una conseguenza immediata e necessaria (nella nostra condizione presente) della cosa piú materiale che sia negli esseri viventi, cioè dell’amor proprio e della propria conservazione, di quella cosa che abbiamo affatto comune coi bruti, e che per quanto possiamo comprendere può parer propria in certo modo di tutte le cose esistenti. Certamente non c’è vita senza amor di se stesso, e amor della vita. Quanto poi alla facoltà che ha l’immaginazione nostra di concepire un certo infinito, un piacere che l’anima non possa abbracciare, cagione vera per cui l’infinito le piace, quanto dico a questa facoltà, la quale è indipendente dalla inclinazione al piacere, e stava in arbitrio della natura di darcela o non darcela, giudichi ciascuno quanto possa provare in favore della nostra grandezza. Io per me credo: l. che la natura l’abbia posta in noi solamente per la nostra felicità temporale, che non poteva stare senza queste illusioni, 2. osservo che questa facoltà è grandissima nei fanciulli, primitivi, ignoranti, barbari ec. quindi congetturo e mi par ben verisimile che esista anche nelle bestie in un certo grado, e relativamente a certe idee, come son quelle dei fanciulli ec.; 3. considero che la ragione, la quale si vuole avere per fonte della nostra grandezza, e cagione della nostra superiorità sopra gli altri animali, qui non ha che far niente, se non per [l8l] distruggere; per distruggere quello che v’ha di piú spirituale nell’uomo, perché non c’è cosa piú spirituale del sentimento né piú materiale della ragione, giacché il raziocinio è una operazione matematica dell’intelletto, e materializza e geometrizza anche le nozioni piú astratte; 4. che le illusioni sono anzi affatto naturali, animali, atti dell’uomo e non umani secondo il linguaggio scolastico, ed appartenenti all’istinto, il quale abbiamo comune cogli altri animali, se non fosse affogato dalla ragione. Applicate queste considerazioni a quello che soglion dire gli scrittori religiosi, che il non poter noi trovarci mai soddisfatti in questo mondo, i nostri slanci verso un infinito che non comprendiamo, i sentimenti del nostro cuore, e cose tali che appartengono veramente alle illusioni, formino una delle principali prove di una vita futura.

 

(G. Leopardi, Tutte le opere, Sansoni, Firenze, l9885, vol. II, pagg. 85-86)