Lévi_Strauss, La morte dell’uomo

Applicando alla società il principio dell’entropia, Lévi-Strauss arriva alla conclusione che la dinamica interna ad essa è destinata all’inerzia e alla disintegrazione.

 

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, trad. it. di B. Garufi, Il Saggiatore, Milano, 1960, pagg. 402-403

 

Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui. Le istituzioni, gli usi e i costumi che per tutta la vita ho catalogato e cercato di comprendere, sono un’efflorescenza passeggera d’una creazione in rapporto alla quale essi non hanno alcun senso, se non forse quello di permettere all’umanità di sostenervi il suo ruolo. Sebbene questo ruolo sia ben lontano dall’assegnarle un posto indipendente e sebbene lo sforzo dell’uomo – per quanto condannato – sia di opporsi vanamente a una decadenza universale, appare anch’esso come una macchina, forse piú perfezionata delle altre, che lavora alla disgregazione di un ordine originario e precipita una materia potentemente organizzata verso un’inerzia sempre piú grande e che sarà un giorno definitiva. Da quando ha cominciato a respirare e a nutrirsi fino all’invenzione delle macchine atomiche e termonucleari, passando per la scoperta del fuoco – e salvo quando si riproduce – l’uomo non ha fatto altro che dissociare allegramente miliardi di strutture per ridurle a uno stato in cui non sono piú suscettibili di integrazione. Senza dubbio ha costruito delle città e coltivato dei campi; ma, se ci si pensa, queste cose sono anch’esse macchine destinate a produrre dell’inerzia a un ritmo e in una proporzione infinitamente piú elevata della quantità di organizzazione che implicano. Quanto alle creazioni dello spirito umano, il loro senso non esiste che in rapporto all’uomo e si confonderanno nel disordine quando egli sarà scomparso. Cosicché la civiltà, presa nel suo insieme, può essere definita come un meccanismo prodigiosamente complesso in cui saremmo tentati di vedere la possibilità offerta al nostro universo di sopravvivere, se la sua funzione non fosse di fabbricare ciò che i fisici chiamano entropia, cioè inerzia. Ogni parola scambiata, ogni riga stampata, stabiliscono una comunicazione fra due interlocutori, rendendo stabile un livello che era prima caratterizzato da uno scarto d’informazione, quindi un’organizzazione piú grande. Piuttosto che antropologia, bisognerebbe chiamare “entropologia” questa disciplina destinata a studiare nelle sue manifestazioni piú alte, questo processo di disintegrazione.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. III, pagg. 195-196