Lucrezio, L’esistenza degli atomi

Nel poema di Lucrezio si trova una esposizione molto particolareggiata della dottrina di Epicuro; l’intento del poeta filosofo è anche quello di fornire “prove razionali” della teoria atomistica: la ragione umana – che può pensare gli elementi semplici (gli atomi) che non possono “scorgersi con gli occhi” – può trovare le “prove” della struttura della realtà proposta da Epicuro facendo ricorso solo alle proprie facoltà e all’osservazione del mondo che ci circonda, cioè all’esperienza. Le “dimostrazioni” fornite da Lucrezio hanno il pregio di essere esposte con un linguaggio – quello poetico – capace di comunicare i movimenti e la “vita” della Natura in maniera immediata.

 

De rerum natura, I, vv. 265-297

 

           1       Nunc age, res quoniam docui non posse creari

           2       de nilo neque item genitas ad nil revocari,

           3       ne qua forte tamen coeptes diffidere dictis,

           4       quod nequeunt oculis rerum primordia cerni,

           5       accipe praeterea quae corpora tute necessest

           6       confiteare esse in rebus nec posse videri.

           7       Principio venti vis verberat incita pontum

           8       ingentisque ruit navis et nubila differt,

           9       interdum rapido percurrens turbine campos

           10    arboribus magnis sternit montisque supremos

           11    silvifragis vexat flabris: ita perfurit acri

           12    cum fremitu saevitque minaci murmore ventus.

           13    Sunt igitur venti nimirum corpora caeca

           14    quae mare, quae terras, quae denique nubilia caeli

           15    verrunt ac subito vexantia turbine raptant,

           16    nec ratione fluunt alia stragemque propagant

           17    et cum mollis aquae fertur natura repente

           18    flumine abundanti, quam largis imbribus auget

           19    montibus ex altis magnus decursus aquai

           20    fragmina coniciens silvarum arbustaque tota,

           21    nec validi possunt pontes venientis aquai

           22    vim subitam tolerare: ita magno turbidus imbri

           23    molibus incurrit validis cum viribus amnis.

           24    Dat sonitu magno stragem volvitque sub undis

           25    grandia saxa ruitque <et> quidquid fluctibus obstat.

           26    Sic igitur debent venti quoque flamina ferri,

           27    quae veluti validum cum flumen procubere

           28    quamlibet in partem, trudunt res ante ruuntque

           29    impetibus crebris, interdum vertice torto

           30    corripiunt rapidique rotanti turbine portant.

           31    Quare etiam atque etiam sunt venti corpora caeca,

           32    quandoquidem factis et moribus aemula magnis

           33    amnibus inveniuntur, aperto corpore qui sunt.

 

1.              Ordunque: poi che ho spiegato come non possano

2.            [generarsi dal nulla

3.            le cose, né, dopo esser nate, venire ancora richiamate nel nulla

4.            che non t’accada di iniziare ad avere sospetti verso il mio dire,

5.            poiché non possono i princípi delle cose scorgersi con gli occhi,

6.            apprendi, oltre a ciò che ho detto, quali corpi è necessario

7.            che certo tu ammetta esistere nelle cose, ma che non possono esser veduti.

8.            Per iniziare: batte la forza del vento, levatasi, il mare:

9.            grosse navi rovescia, e le nuvole sparge;

10.          talvolta, con vortice rapace, correndo sulle pianure,

11.          le riempie di alberi grandi, e le cime dei monti

12.          batte con soffi che schiantano i boschi: cosí impazza con fremito

13.          aggressivo, e agisce crudele, con rombo di minaccia, il vento.

14.          Esistono dunque corpi nascosti del vento,

15.          che spazzano il mare, e le terre, e infine le nubi del cielo,

16.          e attaccàtele a un tratto le trascinano nel vortice,

17.          e scorrono, e spargono la rovina, in modo non diverso

18.          da quando la natura cedevole dell’acqua d’improvviso s’abbatte

19.          in fiume straripante (se essa, per piogge abbondanti l’accresce,

20.          giú dagli alti monti, un torrente ricco di acque):

21.          trasporta rottami di boschi, e alberi interi,

22.          né i ponti robusti valgono a trattenere la forza improvvisa

23.          dell’acqua che giunge. Con tale forza, torbido di pioggia abbondante,

24.          s’abbatte, con sue forze robuste, contro i piloni e il fiume;

25.          causa rovina, con grande fragore: fa ruotare, di sotto le onde,

26.          pietre grandi, laddove ai suoi flutti qualcosa si oppone.

27.          Cosí dunque debbono anche scorrere i soffi del vento,

28.          che quando, simili a fiume impetuoso, s’abbattono

29.          in ogni direzione, spingono le cose che hanno dinanzi, e le trascinano

30.          con attacchi fitti; talora, con un vortice intorno,

31.          le afferrano, e rapidi le trascinano nel girevole turbinare.

32.          E allora davvero esistono i corpi nascosti del vento

33.          se in azioni e comportamento si scoprono emuli dei grandi

34.          fiumi, che hanno un corpo che appare visibile.

 

(Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose, Mondadori, Milano, 1992, pagg. 20-23)