LOCKE, DELLO STATO DI NATURA

 

Capitolo II - Dello stato di natura

 

4. Per ben intendere il potere politico e derivarlo dalla sua origine, si deve considerare in quale stato si trovino naturalmente tutti gli uomini, e questo è uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e disporre dei propri possessi e delle proprie persone come si crede meglio, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di nessun altro.

 

È anche uno stato di eguaglianza, in cui ogni potere e ogni giurisdizione è reciproca, nessuno avendone più di un altro, poiché non vi è nulla di più evidente di questo, che creature della stessa specie e dello stesso grado, nate, senza distinzione, agli stessi vantaggi della natura, e all'uso delle stesse facoltà, debbano anche essere eguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione, a meno che il signore e padrone di esse tutte non ne abbia, con manifesta dichiarazione del suo volere, posta sopra le altre, e conferitole, con chiara ed evidente designazione, un diritto incontestabile al dominio e alla sovranità. (...)

 

6. Ma sebbene questo sia uno stato di libertà, tuttavia non è uno stato di licenza: sebbene in questo stato si abbia la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri averi, tuttavia non si ha la libertà di distruggere né se stessi né qualsiasi creatura in proprio possesso, se non quando lo richieda un qualche uso più nobile, che quello della sua pura e semplice conservazione. Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che obbliga tutti: e la ragione, ch'è questa legge, insegna, a tutti gli uomini, purché vogliano consultarla, che, essendo tutti eguali e indipendenti, nessuno deve recar danno ad altri nella vita, nella salute, nella libertà o nei possessi, perché tutti gli uomini, essendo fattura di un solo creatore onnipotente e infinitamente saggio, tutti servitori di un unico padrone sovrano, inviati nel mondo per suo ordine e per i suoi intenti, sono proprietà di colui di cui sono fattura, creati per durare fin tanto che piaccia a lui, e non ad altri; e, poiché siamo forniti delle stesse facoltà e partecipiamo tutti d'una sola comune natura, non è possibile supporre fra di noi una subordinazione tale che ci possa autorizzare a distruggerci a vicenda, quasi fossimo tutti gli uni per uso degli altri, come gli ordini inferiori delle creature sono fatti per noi. Come ciascuno è tenuto a conservare se stesso e non abbandonare volontariamente il suo posto, così, per la medesima ragione, quando non sia in gioco la sua stessa conservazione, deve per quanto può, conservare gli altri, e non può, se non nel caso di far giustizia d'un offensore, sopprimere o menomare a un altro la vita o quanto contribuisce alla conservazione della vita, come la libertà la salute, le membra del corpo o i beni.

 

7. E perché tutti siamo trattenuti dal violare i diritti altrui e dal far torto ad altri, e sia osservata la legge di natura, che vuole la pace e la conservazione di tutti gli uomini, l'esecuzione della legge di natura è, in questo stato, posta nelle mani di ciascuno, per cui ognuno ha il diritto di punire i trasgressori di questa legge, in misura tale che possa impedirne la violazione, perché la legge di natura, come ogni altra legge che riguardi gli uomini in questo mondo, sarebbe inutile, se non ci fosse nessuno che nello stato di natura avesse il potere di farla eseguire, e così proteggere gli innocenti e reprimere gli offensori. E se nello stato di natura uno può punire un altro per un male che questi abbia fatto, ciascuno può fare lo stesso, perché in questo stato di perfetta eguaglianza, ove non c'è naturalmente superiorità o giurisdizione di uno sopra un altro, ciò che uno può fare in osservanza a questa legge, ciascuno deve necessariamente avere il diritto di farlo.

 

8. E' a questo modo che, nello stato di natura, un uomo consegue un potere sopra altri, ma tuttavia non il potere assoluto o arbitrario, di disporre di un colpevole, quando gli sia giunto nelle mani, secondo le ire passionali o la sfrenata stravaganza del suo volere, ma unicamente di retribuirgli, secondo quanto dettano la ragione tranquilla e la coscienza, ciò ch'è proporzionato alla sua trasgressione, cioè a dire quanto può servire a riparazione e repressione: perché queste due sono le sole ragioni per cui un uomo può legittimamente recar danno a un altro, ch'è ciò che si chiama punizione. Nel trasgredire la legge di natura, l'offensore dichiara lui stesso di vivere secondo una norma diversa da quella della ragione e della comune equità, ch'è la misura che Dio ha imposto alle azioni degli uomini, per loro mutua garanzia; e quindi egli diventa pericoloso agli uomini, dal momento che da lui è trascurato e infranto il vincolo inteso a garantirli dall'offesa e dalla violenza. Poiché questo è un delitto contro l'intera specie umana, e contro la sua pace e sicurezza, a cui la legge di natura ha provveduto, ciascuno perciò, in base al diritto che ha di conservare gli uomini in generale, può reprimere, o, se è necessario, distruggere ciò ch'è loro nocivo, e quindi può recare a chi ha trasgredito quella legge un male tale che possa indurlo a pentirsi d'averlo fatto, e perciò distoglier lui, e, sul suo esempio, altri, dal compiere il medesimo torto. In questo caso e su questo fondamento ognuno ha il diritto di punire gli offensori e rendersi esecutore della legge di natura.

 

13. A questa strana dottrina, cioè a dire che nello stato di natura ognuno ha il potere esecutivo della legge di natura, non dubito che si obietterà ch'è irragionevole che si sia giudice nella propria causa, che l'amor proprio renderà gli uomini parziali verso se stessi e i propri amici, e che, d'altra parte, un'indole cattiva, le passioni e la vendetta li porteranno troppo oltre nel punire gli altri, e non ne seguirà se non confusione e disordine, e ch'è certamente per questo che Dio ha stabilito il governo onde reprimere la parzialità e la violenza degli uomini. Concedo facilmente che il governo civile sia il rimedio adatto agl'inconvenienti dello stato di natura, che debbono certamente esser gravi quando gli uomini siano giudici nella propria causa, giacché è facile immaginare che chi è stato così ingiusto da recare offesa a un suo fratello, non sarà così giusto da condannarsi per questo, ma pregherei coloro che muovono quest'obiezione di ricordare che i monarchi assoluti non sono che uomini, e se il governo ha da essere il rimedio dei mali, che conseguono necessariamente al fatto che gli uomini sian giudici nella propria causa, ed è perciò che lo stato di natura non deve durare, vorrei sapere qual genere di governo sia, e quanto sia migliore dello stato di natura, quello in cui un uomo solo, che comanda una moltitudine, ha la libertà di esser giudice nella propria causa, e può fare a tutti i suoi sudditi tutto ciò che vuole, senza che alcuno abbia la minima libertà di questionare o controllare coloro che ne eseguiscono la volontà e, in tutto ciò che fa, o dettato dalla ragione o dall'errore o dalla passione, bisogna essergli sottomesso. Molto meglio lo stato di natura, in cui gli uomini non sono costretti a sottomettersi all'ingiusta volontà di un altro, e colui che giudica, se giudica male nella causa propria o altrui, ne è responsabile davanti a tutti gli altri.  

 

14. Si domanda spesso, come ad avanzare una grande obiezione: dove sono o mai vi furono uomini in questo stato di natura? Al che può bastare per ora rispondere che, poiché tutti i principi e i magistrati di governi indipendenti per tutto il mondo sono in uno stato di natura, è chiaro che il mondo non fu mai né mai sarà privo di un certo numero di uomini in quello stato.

 

(J. Locke, Saggio sul governo civile)