LOCKE, DELLO STATO DI GUERRA

 

Capitolo III - Dello stato di guerra

 

16. Lo stato di guerra è uno stato di ostilità e distruzione, e perciò chi dichiara con parole o atti un'intenzione, non passionale o precipitata, ma definita con calma, sulla vita di un altro, si pone con ciò stesso in stato di guerra con colui contro il quale ha dichiarato tale intenzione, (...)

 

17. Dal che consegue che chiunque tenti di porre un altro in proprio assoluto potere, si pone con ciò stesso in stato di guerra con lui, dal momento che ciò deve intendersi come la dichiarazione di un'intenzione sulla vita di lui; perché ho motivo di concludere che chiunque voglia pormi in suo potere senza il mio consenso, disporrà di me come vorrà una volta che mi ci abbia posto, e anche mi distruggerà quando gliene venga il capriccio; perché nessuno può desiderare di avermi in suo assoluto potere se non per costringermi con la forza a ciò ch'è contro il diritto della mia libertà, cioè a dire per rendermi schiavo. Esser libero da quella forza è l'unica garanzia della mia conservazione e la ragione mi impone di considerare nemico della mia conservazione chiunque voglia togliermi quella libertà che ne è la difesa, così che chiunque compia il tentativo di rendermi schiavo, con ciò stesso si pone in stato di guerra con me. (...) La necessità di evitare questo stato di guerra - in cui non v'è altro appello che al cielo, e in cui ogni menoma divergenza è subito risolta, non essendovi autorità che decida fra i contendenti - è l'unico fondamentale motivo del fatto che gli uomini si pongono in società e abbandonano lo stato di natura, perché dove c'è un'autorità, un potere sulla terra da cui per appello si può ottenere soccorso, lì è esclusa la permanenza dello stato di guerra, e la controversia è decisa da questo potere. (...)

 

(J. Locke, Saggio sul governo civile)