Machiavelli, La storia è ciclica

Machiavelli teorizza un tipo particolare di ciclicità: quello che va dalla rovina alla grandezza, all’ozio, alla debolezza, per poi tornare di nuovo alla rovina; quello che va dall’ordine al disordine per poi tornare all’ordine, dal bene al male e dal male al bene: “non essendo dalla natura conceduto alle mondane cose di fermarsi”.

 

N. Machiavelli, Istorie fiorentine, V, cap. I

 

Sogliono le provincie il piú delle volte, nel variare che le fanno, dall’ordine venire al disordine e di nuovo dipoi dal disordine all’ordine trapassare; perché non essendo dalla natura conceduto alle mondane cose il fermarsi, come le arrivano alla loro ultima perfezione, non avendo piú da salire, conviene che scendino; e similmente, scese che le sono e per li disordini ad ultima bassezza pervenute, di necessità non potendo piú scendere conviene che salghino; e cosí sempre da il bene si scende al male, e da il male si sale al bene. Perché la virtú partorisce quiete, la quiete ozio, l’ozio disordine, il disordine rovina, e similmente dalla rovina nasce l’ordine, dall’ordine virtú, da questa gloria e buona fortuna. Onde si è dai prudenti osservato come le lettere vengono drieto alle armi, e che nelle provincie e nelle città prima i capitani che i filosofi nascono. Perché avendo le buone e ordinate armi partorito vittorie e le vittorie quiete, non si può la fortezza degli armati animi con piú onesto ozio che con quello delle lettere corrompere, né può l’ozio con il maggiore e piú pericoloso inganno che con questo nelle città bene istituite entrare. Il che fu da Catone, quando in Roma Diogene e Carneade filosofi mandati da Atene oratori al Senato vennono, ottimamente cognosciuto; il quale veggendo come la gioventú romana cominciava con ammirazione a seguitarli, e cognoscendo il male che da quello onesto ozio alla sua patria ne poteva risultare, provide che niuno filosofo potesse essere in Roma ricevuto. Vengono pertanto le provincie per questi mezzi alla rovina; dove pervenute, e gli uomini per le battiture diventati savi, ritornono, come è detto, all’ordine, se già da una forza estraordinaria non rimangono suffocati. Queste cagioni feciono, prima mediante gli antichi Toscani, dipoi i Romani, ora felice, ora misera la Italia. E avvenga che dipoi sopra le romane rovine non si sia edificato cosa che l’abbia in modo da quelle ricomperata, che sotto uno virtuoso principato abbia potuto gloriosamente operare, nondimeno surse tanta virtú in alcuna delle nuove città e de’ nuovi imperi i quali tra le romane rovine nacquono, che, sebbene uno non dominasse gli altri, erano nondimeno in modo insieme concordi e ordinati che da’ barbari la liberorono e difesono.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. X, pag. 100)